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Lui & Lei

Notte di stelle e di suoni


di Membro VIP di Annunci69.it Occhidimare12
21.01.2023    |    304    |    12 9.6
"Soccombevo ma senza eccitazione..."
IL CONCERTO IN PIAZZA


Notte d'estate e di stelle ribelli sopra di noi. Lui mi guardava con occhi diversi. Soffusi, come la luce di una lampada dal paralume nocciola che diffonde la luce calda, avvolgente. Il fumo e il vapore della piazza antica ci inglobavano in un'atmosfera febbrile e ipnotica. La sua camicia bianca si stagliava tra le ombre nerastre di agosto. I bottari risuonavano i propri ritmi primitivi su antiche botti e i suoi occhi, incollati alla mia pelle di bronzo e luce, parevano, a tratti, ferini e di fuoco. Mi sentivo alta, sui tacchi vertiginosi delle mie nuove scarpe di camoscio, aperte, color carta da zucchero mi inchiodavano, a tratti, sui sanpietrini di quella piazza, circuita da crepe di vecchi edifici. Sentivo che qualcosa stava per cambiare e che io stavo per allontanarmi da come ero stata fino a quel momento. Quella notte cominciai a capire la potenza seduttiva di uno sguardo. Ballammo, persino, come nella danza di due crotali; circondati dagli amici ignari dell'inferno sensuoso che stava per accendersi, di lì a qualche ora, con molta probabilità. Le ombre nere intorno a noi si muovevano al ritmo della musica dello sciamano e io ero sicura, incredibilmente sicura di me. Mi sedetti, intorno vennero i suoi amici a parlarmi, eccitati come api su un fiore appena aperto alla primavera. Lo vedevo andare ovunque, in cerca. Gettando lo sguardo, da ogni direzione, su di me. Sul mio seno racchiuso da un top nero glitterato e minimo. Sentivo nell'aria il suo istinto selvatico e voluttuoso spingersi alla ricerca di troppe cose. Mi alzai, come sazia e mi diressi via. I suoi occhi dalle pupille sfuocate mi seguirono da sotto una tettoia. Attraversai la piazza e mi attardai sul sagrato della chiesa ad osservare lo spettacolo di giovani acrobati che si esibivano con lance di ferro infuocate. Sentivo le loro fiamme penetrarmi la pelle del viso, del collo, delle spalle. Ero ebbra, quasi felice. Obnubilata da pensieri possibilisti.

A CASA

Rincasai in un notturno e diafano delirio di onnipotenza femminea. Soddisfatta, paga del nulla successo e del potenziale tutto che in qualsiasi istante sarebbe potuto accadere e accendersi come scintilla di un fuoco già da tempo, come pira, predisposto. Mi addormentai come cullata dagli eventi ottenebranti. Chiusi gli occhi offuscati di voglie d'agosto. Forse sognavo ancora di lui, quando a notte inoltrata, il telefono squillò. Quel suono riverberato e continuo mi irritò e il cuore cominciò a battermi più forte, nell'attesa di conoscere quale disgrazia fosse accaduta. I telefoni di notte squillano quasi sempre per annunciare qualche cosa di brutto. Tremavo e sudavo e le mie mani erano renitenti. Sul display il suo nome e la foto di noi due abbracciati, in posa per una foto scattata alla sfilata dei carri allegorici il giorno di Carnevale. Risposi con voce aggressiva forse, assonnata. La sua di voce era, invece, concitata, il tono morbido ma deciso. Mi rituffai nelle lenzuola color cappuccino, fissando il soffitto. Non poteva succedere quello che stava per succedere, non in quel modo vago, fumoso, ambiguo. Non ero cosciente, ne ero cosciente. Il tempo di lavare i denti, di indossare una canotta basica nera e una gonna di jeans, che il citofono suonò riverberando nella notte fonda, più fonda di un sogno, nel fondo di un pozzo scuro, il proprio suono stridulo come voce di vecchia alterata. Lo ignorai.
Ricevetti allora due messaggi al cellulare, con due lapidari: “Sono qui, davanti a casa tua!”.

SONO QUI!

Aprii, confusa, tremolante ma col cuore in pace e la mente ormai quieta, quasi indifferente. Il suo sguardo si rivolse alle mie scarpe color oro, col tacco e risalì sulle mie gambe nude non ancora abbronzate ma olivastre da intonarsi alle chanel. Le tolsi, per non far rumore. Mi seguì nel salotto tra i divani chiari, le lampade spaziali e un tappeto che odorava di cuoio. Il suo sorriso bellissimo ma enigmatico si spense sulle mie labbra, baciate con forza. La stessa forza che dalle sue mani, arrivava a circondarmi i fianchi e a premerli contro il suo ventre. Non mi spogliò. Non mi spogliai. Non sfiorò nemmeno il mio seno. Il suo animo di tenebra, selvaggio sembrava sciogliersi sulla mia pelle. Le sue mani s'affaccendavano tra le mie gambe nervose, come a ricercare maldestramente qualcosa di inconosciuto o di perduto.
“Sei ubriaco?” gli chiesi.
“No, affatto. Ho bevuto solo una birra!” rispose, con voce soffiata e graffiante. Non eravamo in noi, lo sapevamo. Ma il desiderio era quello di sempre, nostro. Che si rinnovava ad ogni occasione, ad ogni sguardo da tre anni, senza mai esondare dal nascondiglio privato, in cui ciascuno dei due lo aveva, di volta in volta, relegato per motivi di opportunità. Lui si era da subito attaccato al mio svago multisfaccettato che ci vedeva protagonisti in ogni momento libero, virtualmente e nelle occasioni in cui condividevamo impegni o qualcosa di comune. Improvvisavamo, come bambini presi dalla cosa più seria che potesse unirci: il gioco libero. Avrei dovuto liberarmi dalla sua morsa decisa. Invece, no. Soccombevo ma senza eccitazione. Non avevo voglia del suo corpo. Avevo voglia di lui. Dei suoi pensieri crudeli che mi sfasciavano l'anima in mille brandelli. Mi riversò sul lino bianco del divano e mi fu dentro con la precisione e la potenza della lancia di un templare. Non potevo muovermi, il mio corpo era come un monastero intagliato nella pietra, freddo, pesante, immobile. E lui un minareto che si stagliava nell'azzurro ma aggettante su di me, sprofondata negli inferi. Durò poco e poi fui io sopra di lui a inclinare il capo e ad appoggiarlo sulla sua spalla quando tutto era già concluso. Gli presi da bere. Poi tornai a sedermi su di lui fissandolo nelle pupille dilatate e serpentine. Lo schiaffeggiai e lui con dolcezza, abbozzando un mezzo sorriso, mi disse: “Fallo per quanto vuoi, ma senza far rumore. Siamo pazzi, pazzi!”. Poco dopo richiusi il portone dietro la sua sagoma imponente che si allontanava nell'atrio ampio e illuminato del palazzo silenzioso. Tra le mie braccia mi era sembrato più minuto. Piccolo. Mi avviai stordita verso la camera da letto. “Non è successo nulla. Ho immaginato, come sempre” mi dissi e mi addormentai, calma, dopo aver fatto una doccia tiepida con balsamo di mirra per levarmi di dosso il suo odore selvatico, che tuttavia permaneva ovunque e che mi intrideva le narici con prepotenza. Non saprei descrivere come fu quel fare l'amore in modo fuggitivo e clandestino. Fu bello e inaspettato, almeno nel modo e nella circostanza. Ma le mie aspettative, come sempre però, erano state viziate dai miei consueti e alti esercizi di immaginazione.

LA REALTÀ SUPERA LA FANTASIA

In quel caso la realtà aveva di gran lunga superato persino la mia immaginazione nelle modalità ma non nelle sensazioni, quasi annullate. La rapacità del momento mi aveva dapprima agghiacciata e poi, poi la sua insospettabile dolcezza, come un cubetto di ghiaccio in una spremuta d'arancia, mi aveva liquefatta. Avrei voluto solo dirgli: ti amo, senza averne paura. E salire sul tetto della sua anima per irrigarla con le mie ree lacrime, che sentivo imminenti e sorgive; inondando le sue grondaie rigide di pioggia d'amore e lampi di gioia. Anche questa battaglia mi sembrava di averla persa, ma non la guerra di sensi sconosciuti che andavo da quel momento esplorando con una frenesia mai avuta prima. Il giorno dopo non ci sentimmo. Il silenzio fu ovvio, spudorato e scontatissimo. Contattò la mia migliore amica per dirle che era stata una serata bellissima di musica. Di musica, le disse. Mi contattò giorni dopo. Non risposi. Non risposi mai, fin quando mi decisi con freddezza a ricambiare uno dei messaggi. Uno qualunque: “Sono stato male. Cioè non male, malato. Ecco. Mi è venuta la febbre e una specie di disidratazione. Non saprei ben spiegare. Un malessere, un turbamento, uno sconvolgimento totale”. “E il mio maldanima?”, pensai. "È stato troppo bello. Ma una parola sull'altra notte?" quell'affermazione e quella domanda, combinate, non erano da lui. Eppure le aveva scritte. Allora, forse, non era così impenetrabile e indifferente come appariva ai miei occhi. Non dicemmo nulla. Per mesi non parlammo dell'accaduto come se nulla mai fosse accaduto. Se non in un romanzo o in una canzone, che d'amore non era mai.



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