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La contessa Matilde e l'orgia di perle


di Membro VIP di Annunci69.it Occhidimare12
10.10.2023    |    512    |    17 9.7
"Abbi cura di te e non dimenticarmi..."
La casa, messa a soqquadro dalla polizia, così come si presentava alla vista non era, purtroppo, un belvedere. L'ispettore Fanfarillo si fece strada tra gli agenti della scientifica in tuta bianca, simili a larve deambulanti, che repertavano gli oggetti rinvenuti vicino al corpo e si mise ad osservare con lo sguardo vitreo rivolto al soffitto. La contessa Matilde, smilza e nuda come madre natura l'aveva creata, pendeva dal lampadario di cristallo con al collo un elegante foulard blu di Prussia con stilemi rinascimentali dorati che la teneva sospesa e dritta come una ballerina su un carillon. Il vento d'autunno spogliava gli alberi e contemporaneamente agitava le tende di broccato verde cinabro alle vetrate del salone nella grande villa Marasco in cui l'atmosfera calata era gelida e silenziosa. Opere d'arte, tappeti, candelabri, raffinati vasi finemente decorati e soprammobili in argento costituivano, non più il salotto delle chiacchierate di un tempo passato, all'ora del tè, ma l'ammasso confuso della scena di un probabile crimine. Delitto o suicidio? A Davide Fanfarillo l'arduo compito di indagare e di scoprirlo. Matilde era nuda, ondeggiante come un giunco, vestita solo del foulard di seta, sofisticato cappio attorno all'esile collo di cigno, usato per soffocarsi o per essere soffocata e da un filo di perle che ancora le pendeva sui seni, piccoli e sodi come boccioli di rosa. Davide osservava il corpo della vittima ancora giovane e flessuoso nonostante i sessant'anni riportati nel documento d'identità. Un piccolo cespuglio di peli bianchi le copriva il pube e i capelli sciolti ricadevano sul viso come delicati fili di seta dello stesso colore non colore. Le fattezze estremamente femminili, la pelle di porcellana e un odore antico di gelsomino dattorno si prestavano ad uno scenario immaginifico, foriero di suggestioni da romanzo francese di fine Ottocento. Quell'immagine così eterea, impalpabile, muta catturava totalmente Davide che, come magnetizzato da una profonda energia oscura, promanata dalla donna inerme, gli procurò un imbarazzante, quanto inaspettato e meccanico, rigonfiamento del pene. Istintivamente, dalla tasca destra dei pantaloni, portò una mano all'altezza del membro guardandosi intorno e tentando di coprire quell'inattesa reazione fisiologica da maschio depensante. Kofì correva in circolo formando una specie di ossessivo girotondo sotto la propria padrona penzolante. Il cagnolino, adottato dalla contessa alla morte del conte, avvenuta due anni prima, era l'unico compagno della donna che, rinchiusa da allora nel suo funebre dolore, era diventata sempre più solitaria e scontrosa. Kofì rincorreva le perle cadute a terra dagli altri due fili strappati, di cui la collana era composta, come a volerli riunire perché non si disperdessero nel pavimento di granito nero, lucidissimo. Proprio su quelle perle furono ritrovati diciassette DNA maschili. Come fosse possibile se lo chiedeva, non solo Fanfarillo, ma tutta la squadra di inquirenti coinvolti nell'indagine. I conti non avevano figli, né eredi diretti e nella casa lavoravano solo due cameriere e un maggiordomo. L'autista non entrava mai e diligentemente attendeva la contessa sempre fuori in giardino per accompagnarla nelle sue uscite settimanali, guidando la vecchia Jaguar dell'ormai defunto marito. Ogni volta le stesse tappe, dal parrucchiere e dal gioielliere. In ordine ciclico e mai inverso.
Raffaele, mastro orafo, napoletano di origini e trasferitosi nelle colline toscane da studente, era un uomo sulla cinquantina, molto giovanile nell'aspetto e piuttosto ammanierato nel fare. Sempre gentile e sorridente, accoglieva Matilde con fare garbato e discreto. Discrezione che si estendeva alla sua vita privata, ammantata nel più misterioso riserbo. Niente amici, niente famiglia, niente vita mondana. La sua esistenza sociale era pressoché racchiusa nell'elegante "Boutique delle gioie", sita da sempre in una delle più vivaci vie della cittadina di provincia. Il loro era un appuntamento fisso. Matilde e Raffaele si incontravano il venerdì. L'acquisto della collana di perle a tre fili non era dei più recenti ma risaliva a tre mesi prima, come dichiarò puntuale il gioielliere, interrogato dall'ispettore. Tutti furono ascoltati e tutti, a turno, dimostrarono concordanza nel ritenere la contessa una donna morigerata e senza segreto alcuno. "La serietà è nell'anima, non nel corpo né negli status sociali. Abbi cura di te e non dimenticarmi. Ho desiderato solo te per le gioie che mi hai dato" aveva scritto il conte Augusto prima di morire in una lettera indirizzata a R, scritta con bella calligrafia, rinvenuta da Davide frugando sullo scrittoio dello studio del nobile ed evidentemente mai spedita dallo stesso. Incuriosito da quella R iniziale Davide cominciò ad ipotizzare i vari destinatari della missiva. Chi avrebbe potuto essere l'amante del conte? Che ad uccidere la contessa fosse stata una donna? Come fu possibile che tra i diciassette DNA accertati vi fosse anche quello del conte Augusto morto prima dell'acquisto del collier di perle? "Per capire una mente geniale ci vuole un cuore semplice" nella mente dell'ispettore riecheggiavano queste parole che da bambino la nonna gli aveva più volte ripetuto e che sempre aveva tenuto a mente nel proprio minuzioso lavoro di investigazione. "Ti aspetto!", un messaggio probabilmente inaspettato aveva fatto sobbalzare l'ispettore che per quella giornata ne aveva avuto abbastanza di indagini e congetture. Clara gli aprì la porta e per Davide fu come una visione. Capelli neri raccolti dietro la nuca e ciocche libere, che le contornavano il volto, pendevano come tratteggiate dall'abile matita di un artista, a sottolineare l'ovale perfetto del suo viso bianco, su cui si stagliavano piccoli occhi neri, allungati come semi di zucca, a conferirle l'aspetto esotico di piccola geisha occidentalizzata. Una musica da relax zen e candele bianche un po' ovunque nella mansarda facevano da golfo mistico. Davide la strinse a sé traendola dai fianchi nudi, coperti solo da un kimono di seta nero a fiori scarlatti. Lei appoggiò le mani sul petto scolpito dell'ispettore che con foga si liberò della t-shirt ruggine, dei pantaloni sabbia e delle sneakers multicolor offrendo alla vista della donna un fisico tonico e armonioso. Nessun tatuaggio, nessuna cicatrice, solo la pelle perfetta, liscia, residualmente abbronzata e la voglia furtiva di appartenersi che lo legava da cinque anni alla moglie del procuratore. I due amanti si incontravano quando potevano ma con la stessa intensità che dal primo giorno aveva acceso in essi il desiderio sessuale con un solo fugace sguardo nell'aula di un tribunale. Carla era uno stimato avvocato e Davide un irreprensibile ispettore di polizia. Razionali e meticolosi professionalmente, quanto istintivi e animaleschi al letto. O in qualsiasi luogo l'avessero fatto, in modo, a volte dolce, altre volte selvaggio e altre ancora brutale. Il primo amplesso era sempre veloce e intenso. E gli altri a ripetizione più lenti, più distesi ma egualmente intensi. "Davide si ricarica come un'arma dai colpi sempre numerosi e imprevedibili. È la mia debolezza e la mia forza" aveva confidato alle amiche durante una delle loro cene trascorse a spettegolare delle prestazioni fisiche dei rispettivi amanti. Ogni orgasmo era un tripudio di gemiti, grida e urli liberatori. Quasi a sfidare, nel contesto, ove si trovassero, l'eventualità di essere scoperti. L'adrenalina e il continuo rischio che correvano nell'incontro di ogni volta determinavano un cocktail di dipendenza pazzesca a cui Clara e Davide non sapevano rinunciare. Gli anni passavano ma la voglia non era mai scemata. La passione mai diminuita. Dopo il sesso che migliorava col tempo, parlavano e ridevano di tutto. Persino dei possibili reati commessi dalla gente. Fu proprio Clara a dare una dritta a Davide che dritto tra le mani teneva il cazzo ancora duro dopo l'ultima copiosa esplosione. "Cerca un varco dietro qualche opera appesa alle pareti, sotto qualche tappeto o dietro la libreria! È tipico dei nobili avere degli spazi celati e sorprendenti che possano raccontare la loro vita più intima" gli suggerì. Kofì gli fu complice e aiutò l'ispettore ad aprire un inconsueto bunker del sesso dove campeggiavano corde pendenti dal soffitto, manette, vibratori e ogni genere di aggeggio deputato al piacere sadomaso. A beneficio di chi? Il mistero venne svelato da una quantità sterminata di filmati contenuti in vecchie videocassette che ritraevano il conte, dotato di un gigantesco arnese, con il quale in orge di champagne, caviale e gioielli possedeva, sodomizzandoli violentemente, non solo il gioielliere ma anche il parrucchiere, il maggiordomo e l'autista. Le orge non avvenivano solo in casa del conte evidentemente ma anche nel negozio di gioie dove le schizzate del conte e degli altri finivano sui gioielli esposti. Sulla collana di perle, nella fattispecie, con cui la contessa venne addirittura sepolta. "Essere dei perversi sessuali non fa di essi degli assassini" pensava correttamente Davide. Anche se c'è da ammettere che sesso, perversione, lusso e tradimenti spesso si accompagnano e preludono ad eventi luttuosi. Il mistero restava. Chi aveva ucciso la contessa? E perché? Aveva forse scoperto le perversioni del marito? Doveva essere punita per qualcosa? Un altro serrato giro di interrogatori non fece luce sul fitto mistero che tale sarebbe rimasto se in commissariato, in una tepida mattina di fine ottobre, non si fosse presentato spontaneamente Raul. Argentino di nascita, il ragazzone, poco più che trentenne, era stato assunto da Matilde qualche mese prima come giardiniere, solo per la potatura delle alte siepi e presto trasformato in notturna in prestante e sexy toy boy. Sfortunatamente lo sventurato ragazzo, poco avvezzo alle pratiche di bondage, padroneggiate invece con maestria dal conte, aveva trasceso il gioco in assassinio. La contessa era stata curiosa di provare i giochi erotici del proprio coniuge ma rimettendoci la vita. D'altronde, ogni gioco ha le proprie regole e quello erotico non fa eccezione! Davide consegnò il malcapitato aspirante bull al procuratore. L'ispettore era insieme sorpreso e dispiaciuto. Di fatto non se la sentiva di giudicare i costumi sessuali di qualcuno essendo egli stesso in difetto. La contessa avvizzì come un fiore troppo in fretta sfiorito, seppellita nella cappella di famiglia e la sua presenza nella tomba di travertino fu contrassegnata da una fotografia in bianco e nero dove sul viso consunto, immortalato in un beffardo sorriso, i denti sporgenti facevano pensare ad una fila di bianchissime perle.
Nel paese si diffuse così, ben presto, la leggenda di Matilde di canassa per riecheggiare ironicamente la celeberrima omonima Matilde di Canossa.
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