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Come una gatta


di Membro VIP di Annunci69.it Occhidimare12
26.02.2023    |    543    |    15 9.6
"Lui le chiedeva di raggiungerlo ovunque si trovasse per lavoro..."

"Un gatto non vuole che tutto il mondo lo ami,
ma solo quelli che lui ha scelto di amare".

H. Thompson

Gaia si era sempre sentita più gatta che umana. In un'altra vita, forse, lo era stata davvero. Lei era buddista e credeva nella reincarnazione. Occhi color cemento se pioveva e turchese quando c'era il sole; grandi, limpidi, espressivi. A volte freddi, di abisso profondo o di ghiacciaio che disgela ma sempre molto comunicativi. Si può dire che comunicasse più con lo sguardo che con le parole. Passo leggero e voce calma, profonda. Stridula mai. Parole, poche e ben scelte. Scandite con cura per evitare fraintendimenti. Personalità particolare, sfuggente, meditativa, solitaria e sempre proiettata in una dimensione tra il sogno e lo Spirituale.
Ogni tipo di rumore le provocava fastidio, intolleranza, nervosismo. Il suo mondo era ovattato. A volte apollineo e luminoso, altre volte, e sempre più spesso in questa fase della sua vita, oscuro e dionisiaco. Era incline ma non ossessionata al senso dell'ordine, pur non essendo abitudinaria e metodica. Colpita e ferita dalle piccole disonestà cui assisteva ogni giorno osservando a scuola i suoi colleghi. Invidiosi e subdoli agivano nell'ombra con malizia e perfidia per crearle sempre inutili problemi da risolvere. Con i ragazzi andava d'accordo. I suoi alunni la trattavano come un essere superiore da cui essere ispirati. Le ragazze si vestivano come lei e i ragazzi le lasciavano biglietti d'amore sul parabrezza dell'auto. Le piaceva essere una brava persona. Prima ancora di essere una brava madre, moglie e insegnante. E le brave persone non hanno bisogno di ergersi ad esempi. Non sono modelli volontari ineccepibili ma figure che animano, illuminano e ispirano le vite degli altri, anche senza volerlo, anche attraverso i propri errori o le proprie stranezze. Sospingono verso il bello, così naturalmente. Senza sforzo appassionano ma si sforzano troppo di adattarsi a una realtà borghese piena di regole ma senza un effettivo codice morale. Trascorse tre anni in quella scuola dove declinava la letteratura in modo sempre vario e originale, tanto che anche l'alunno più refrattario alla poesia, si era costruito un vocabolario nuovo di tutto rispetto dimostrando un proprio pensiero libero sempre più maturo e articolato. Gaia era soddisfatta dei progressi dei suoi alunni. Li aveva visti diventare insieme con lei umani più consapevoli e multisfaccettati. Le dispiaceva lasciarli ma aveva deciso,  avrebbe abbandonato l'insegnamento. "Non voglio avere la responsabilità di forgiare vite umane. Devo essere libera di plasmare ancora me stessa" pensava tra sé. Rinunciare alle certezze per le incertezze era da sempre la sua specialità. Comprò un piccolo appartamento in centro e andò a vivere con il suo gatto. Poteva fare quello che le pareva ma soprattutto non aveva più colleghi morbosi e infidi dai quali essere osservata e giudicata in ogni piccola azione del quotidiano. Lo smart working era stato un toccasana e correggere bozze per un'importante editrice era più rasserenante che assegnare voti a ragazzi impacciati, spesso preparati ma ancora acerbi nella padronanza e nell'espressione della loro identità, globalmente intesa. Gaia odiava giudicare, valutare, esprimere voti. Da questo si era potuta affrancare in tempo e ora ne era davvero felice. Un giorno incontrò un suo ex alunno. Damiano era altissimo, bruno e con i grandi occhi scuri che la osservavano alla cattedra un tempo e mentre provava in quel frangente un paio di décolleté color avorio. Si erano riconosciuti. Lui le si fece incontro nel negozio di calzature e la salutò con un sorriso nuovo. Non più adolescenziale ma da uomo. Erano passati sette anni dall'esperienza scolastica che li aveva visti protagonisti, Gaia come docente e Damiano come suo alunno, al liceo artistico. "Professoressa Allevi, come sta? Che bello rivederla. Non è cambiata affatto. Anzi, è molto più affascinante!". "De Persi, come stai? Sei diventato un uomo" balbettò lei. "Anche tu, hai mantenuto l'aspetto piacevole ma non più da ragazzino!". Si ritrovarono a mangiare un gelato lungo il corso e a chiacchierare allegramente come due amici non più così distanti, separati dai rispettivi ruoli istituzionali e dall'età. Damiano aveva avuto sempre un debole per la prof Allevi, lo sapevano tutti e lei ammirava la sua intelligenza vivace e sempre sul pezzo. "Le piacciono ancora tanto i gatti, prof?" le chiese ricordando un particolare molto intimo da cui Gaia fu piacevolmente sorpresa. "Sì. Ne ho uno che è un amore ma tu chiamami Gaia, ormai non c'è bisogno di usare titoli, tanto più che ho lasciato l'insegnamento molto tempo fa ormai" disse guardandolo negli occhi ma costretta a sollevare il viso di molti centimetri per lo sbalzo di altezza che li divideva. "Come si chiama? Posso vederlo?" chiese lui con aria sicura e tenera. "Non ho qui una sua foto. Però puoi guardarlo sul mio profilo instagram". Si salutarono con una stretta di mano e con l'incrocio di sguardi che tradiva qualcosa di molto molto elettrizzante. Ora molto più intrigante di un tempo, quando guardarsi era stato, invece, innocente e puro. La sera Damiano mise dozzine di like alle foto di Kim, il bel gattone  dagli occhi verde oliva di Gaia ma ancora di più ne mise alle foto di lei. Proprio a quelle più sexy, lanciando così un inequivocabile messaggio di chiara seduzione in corso...
"Ho scoperto che siamo vicini di casa. Il parco delle foto è quello dove porto a passeggio il mio cane, Doors" le scrisse la sera successiva al casuale incontro in centro. "Incontriamoci là fra un'ora. Devo vederti" le scrisse sostituendo al rispettoso lei un tu più intimo e immediato. Gaia non rispose. Usava al minimo il linguaggio verbale, specialmente per messaggio. E poi era imprevedibile. Davvero imprevedibile come un gatto. Era una fredda serata invernale ma non così fredda da non poter fare due passi al parco. Lui la vide in controluce, la luna rischiarava le sagome dei passanti e tra quelle notturne distintamente riconobbe quella di Gaia. "Sentivo che saresti venuta anche se non mi hai risposto in chat. Riconosco il tuo modo di camminare felino" disse lui accogliendola con due veloci baci sulle guance arrossate di lei. "Cioè?" gli chiese. "A scuola avevamo dato un soprannome ad ogni prof e a volte vi imitavamo... tu eri la gatta e camminavi cosi..." le confidò Damiano muovendosi in modo leggiadro e allungandosi gli occhi all'indietro con gli indici delle mani a simulare lo sguardo da gatta. Gaia sorrise. Lui sorrise, felice che la sua autoironia fosse la stessa di un tempo.
"Ti pensavo sempre al tempo della scuola. E ho ricominciato a farlo ora che ci siamo rivisti" le confessò per niente imbarazzato. Lei abbassò lo sguardo e gli rispose: "Bel labrador!". Tornarono a casa. Ognuno nella propria, naturalmente. Divenne una piacevole abitudine incontrarsi la sera al parco. Scoprirono cose interessanti l'uno dell'altra. Senza fretta. Ogni giorno un qualcosa di nuovo li faceva affacciare nelle rispettive vite. In mesi di frequentazione si scoprirono simili nonostante la differenza d'età che nessuno dei due aveva mai tuttavia tirato in ballo. Dopo il liceo Damiano aveva iniziato a lavorare nell'azienda vinicola di famiglia disegnando etichette di vini divenuti famosi in tutto il mondo. Per il suo talento nel disegno e l'originale uso dei colori era già all'epoca tra i più promettenti futuri pittori del liceo. E tale era diventato nella realtà, dopo gli studi. Alla morte del padre aveva ereditato un enorme capitale che gli consentiva di destreggiarsi con abilità e successo tra l'esportazione di pregiati vini rossi e la rubedo dei suoi quadri, a tema unico: la passione erotica. Gaia aveva perso il marito militare in una missione in Afghanistan e di volersi rifare una vita sentimentale non ne voleva proprio sapere. Lui si era separato da poco. Una sera la raggiunse a casa. Kim stava poco bene e Gaia non se l'era sentita di raggiungerlo al parco e lasciare da solo il gatto.
Pioveva e la pioggia li univa. Si percepiva. Finirono al letto. E fu bellissimo. Non solo quella notte ma tutte le notti per i successivi anni. Il loro equilibrio si basava sulla libertà e sul rispetto degli spazi di ciascuno dei due ma ancor di più la loro intesa era assicurata da un modo di fare l'amore dolce e bestiale. Erano calamitati dal modo di guardarsi, di annusarsi la pelle, di incastrarsi l'uno nell'altra come una pietra al proprio castone. Lui non era un toy boy. Lei non era una cougar. Nessuna etichetta li definiva. A trattenerli era il collante naturale dei rispettivi umori che spargevano sulle lenzuola bianche. Ogni volta che erano lontani respiravano nell'aria la loro essenza, come i gatti. Lei quieta gatta aveva trasformato lui in un impaziente felino, sempre voglioso del suo corpo di femmina, morbido, succoso e pronto ad accogliere la sua giovane e incontenibile possenza di maschio.
Non riuscivano più di tanto tempo a stare lontani, a resistere senza scopare. Lui le chiedeva di raggiungerlo ovunque si trovasse per lavoro. Ad entrambi non mancavano occasioni per fare sesso con altre persone ma non era mai appagante, mai come tra loro. Ciò che volevano era che i loro corpi dialogassero anche nel silenzio delle parole. Che fosse a casa di lui, a casa di lei, in un ristorante ad Amsterdam, in un hotel di Tokyo, in un museo di Parigi o in una galleria d'arte a Madrid il loro erotismo era arte vivente che spesso si divertivano maliziosamente ad esibire dalla finestra di un qualunque alloggio ospitasse quel fuoco indomabile che li univa in qualsiasi posto del mondo. Erano autonomi come gatti e al guinzaglio come cani e spesso capitava che in particolari momenti di furore animalesco dormissero ammanettati o legati con corde di seta nere per rispondere ad un bisogno ancestrale di appartenenza.
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