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Samy e il bagnino che mi punisce


di Membro VIP di Annunci69.it pamyzi1
18.02.2020    |    9.949    |    6 9.9
"Squirtavo a piccoli singhiozzi, colavo sugo come un fico maturo caduto dalla pianta, volevo con tutta me stessa che non smettesse: ero completamente persa..."
Mentre mi recavo alla mia cabina per cambiarmi, il bagnino mi chiamo' da lui e mi disse che aveva delle cose da dirmi,ma ero sicura che lui voleva punirmi per cio che avevo fatto in spiaggia con due uomini, ed ero sicura che lui mi aveva vista, entrai da lui e mi disse......Lo sai cosa ti devo fare ora? Una sonora punizione.....Sei una gran troia lo sai? Mentre ti punisco ti bagni come una porcella lasciva. Son certo che hai anche voglia di cazzo, è vero? -
Non risposi, continuai in quella movenza impudica.
Calai col busto a sfiorare il piano del tavolo, i capezzoli nelle clip lambivano il legno alimentando il dolore sottile: portai una mano fra le cosce a cercarmi il sesso, la carne frolla e umida, iniziò a scivolare tra le dita già bagnate.
Percepivo i suoi occhi bruciare di libidine, non perdeva uno solo dei miei gesti, l'anello bruno dell'ano e i petali carnosi della mia vagina, dischiusi dalle dita, erano offerti al suo sguardo bramoso. Affondai le dita nel burro della mia intimità, strinsi il clitoride tra le dita, era eretto come un piccolo pene: il gesto mi procurò una scossa di piacere. Sospiri lascivi accompagnavano la carezza, muovevo la mano con ritmo sempre più rapido, non ci sarebbe voluto molto per avere l'orgasmo.
La prima sferzata colpì di piatto i glutei, facendomi inarcare la schiena e lanciare un lamento. Il secondo colpo fu di taglio tra le natiche, il mio ano colpito in pieno si contrasse: gocce di pipì mi sfuggirono per riflesso muscolare dell'uretra.

Stavo in bilico sulla punta dei piedi, con le natiche oscenamente offerte al mio dominatore. Una serie di colpi si susseguirono ripetuti: ne persi il conto, era abilissimo nel colpirmi tra le cosce aperte. A ogni colpo sussultavo, aggrappata al tavolo per sorreggermi. Faceva delle pause per lasciarmi riprendere fiato, in quei momenti usava l'apice della canna per vellicarmi la sensibilità del clitoride, oppure l'affondava per un tratto all'interno del mio sfintere.
- Sei una sporcacciona pervertita, una puttanella in calore. -
Godeva nel battermi e insultarmi, trattandomi come una baldracca da bordello, ma non ero offesa per questo: era così che mi sentivo.
-Mi punisca ancora signor Ranieri. Lo faccia! Più forte la prego! -invocai con voce febbrile.
Ero eccitata come una cagna alla monta, lacrime vischiose del mio nettare, miste a gocce di urina, avevano creato una pozza sull'assito ai miei piedi. L'odore di sesso aleggiava nella stanza, colmava le narici, lo sentivi salmastro in bocca, impregnava pungente ogni cosa nell'ambiente.
Posò la verga, pensai fosse esausto, ma voleva solo cambiare gioco. Con calma trasse dalla solita valigetta l'impugnatura oblunga rivestita di sughero, che fungeva da manico alla canna da pesca. La ripulì sommariamente, poi recuperò dallo scaffale un contenitore azzurro di crema Nivea, tenuta lì per lenire scottature da sole. Raccolse con due dita una porzione di crema e umettò con cura la superficie dell'impugnatura, quindi tornò ad occuparsi di me.

Mi volle aderente col busto al piano del tavolo, mi ordinò di allargare le natiche con le mani, la mia rosetta anale si dischiuse morbida, Prese altra crema, la spalmò all'ingresso dello sfintere affondandoci le dita grosse e nodose: mi dilatò allo spasimo, era brutale ne penetrarmi, segnava il suo dominio e la mia sottomissione.
Ansimavo tra gemiti rauchi: era impossibile negarlo, mi piaceva essere violata in quel modo ruvido. Mi sentivo abusata: ero carne ardente, dissoluta, da sesso animalesco. Avevo la figa boccheggiante di voglia, se avesse continuato sarei venuta sulle sue dita. Era un movimento ripetuto e vigoroso: mi stava slabbrando il culo con la mano. La vescica era gonfia, sentivo crescere lo stimolo della pipì con una sensazione di urgenza esasperante e voluttuosa.
Squirtavo a piccoli singhiozzi, colavo sugo come un fico maturo caduto dalla pianta, volevo con tutta me stessa che non smettesse: ero completamente persa nello stordimento di quel piacere. Quando ritenne che l'anello del mio buchetto fosse divenuto elastico come chewingum, prese il manico lubrificato e iniziò a introdurlo nel mio retto.
Nel penetrarmi usò il lato arrotondato del manico, era il punto di maggior spessore del fuso che rastremava all'estremità opposta: lo sentì scivolare agevolmente nel budello, che lo inghiottì come se penetrasse nel burro. Era lungo quasi una trentina di centimetri, con un diametro di circa cinque, nell'inserirlo ne lasciò fuori solo una decina di centimetri, di modo che non ci fosse pericolo d'espellerlo muovendomi.
Mi tolse a quel punto le mollette dai capezzoli, entrambe nello stesso momento. Come le mie ciliegie furono libere, mi piegai su me stessa: il sangue che tornava a fluire mi procurò una fitta abbacinante: portai le mani ai seni e cacciai un lamento strozzato. Lui si chinò a leccarmi le areole e a ciucciarmi le punte turgide, me le lambì a lungo giocandoci con la lingua: il calore delle labbra e la dolcezza di quella carezza fugarono la sensazione dolorosa, trasformandola in una stimolante sollecitazione erotica.

Prese a massaggiarmi le tette a piene mani, le stinse plasmandole, le risucchiò nella bocca irrorandole di saliva e mordendole con violenta dolcezza: gli avvinghiai la testa tra le mani, tenendolo su me perché continuasse. A quel sensuale lavoro di bocca seguì la lenta manovra del manico che avevo affondato nell'ano: lo manovrava dandogli un leggero andamento ellittico che mi allargava mollemente le pareti dello sfintere.
Anche qui, come già aveva fatto con le dita lo estraeva di poco per poi riaffondarlo più profondamente: era un piacere devastante, mugolavo di lascivia. Mi magiava le tette e mi sfondava il culo, questo mi faceva sentire sporca, una troia senza più limiti. Ero in delirio, carne frolla, liquefatta negli umori che colavano alle caviglie.
Una tensione dolorosa e concupiscente scuoteva tutto il mio corpo: mescolava lo stimolo fisiologico dello sfintere, come se dovessi urgentemente defecare, all'oppressione della vescica gonfia, acuendo la curva dell'orgasmo che si annunciava come un fiume che si appresti a travolgere gli argini.
- Mi scappa la pipì, la prego, me la lasci fare signor Ranieri, non la tengo più. – Invocai con una implorazione esasperata.
- Piscerai quando avrò finito con te, piccola baldracca! -
Mi fece inginocchiare, si avvicinò e mi agguantò i capelli, trasse il mio viso al suo pube, mi trovai con la bocca sulla sua patta: sotto la tela il membro sembrava pulsare, pareva un animale smanioso in gabbia.
- Voglio scoparti la bocca. - Disse - Voglio sentire come succhi il cazzo. –
Sbottonai sollecita il pantalone, l'afrore acre del sesso sudato mi aggredì le narici, odore di secrezioni maschili: sperma e orina.

Il porco era dotato in maniera sorprendente, un arnese grosso e nodoso in perfetta sintonia con quel suo corpo animalesco, mi pareva di tenere tra le mani l'organo di una bestia. Aveva testicoli turgidi e vene a rilievo solcavano quella verga tesa e congestionata. Il glande lacrimava di liquido prespermatico, come si vedeva nei cani o nei cavalli in estro. Era peloso come un primate, mi guidò la testa perché gli ingoiassi il cazzo.
Reggendolo con una mano lo imboccai iniziando a surgerlo, aveva un sapore salato con un qualcosa di selvatico, con l'altra massaggiavo con lentezza i testicoli gonfi del suo scroto.
Lo leccavo, scivolando con la lingua dalla cappella ai testicoli, lo risucchiavo all'interno della bocca accogliendo tutta la voluminosa dimensione. La cappella mi ostruiva la gola toccando l'epiglottide, muovevo lentamente il capo nell'oscillazione voluttuosa del pompino. Filamenti di saliva lo ricoprivano ogni volta che, prossima al soffocamento, dovevo estrarlo dal cavo orale per prendere fiato.
Mi reggeva la testa con le mani e muoveva il sesso nella mia bocca con un movimento ondeggiante del bacino, lo affondava fino al fondo della gola, le mie narici premevano contro la sua sinfisi pubica. Venivo quasi soffocata dal cespuglio di pelo riccio e sudato che gli ricopriva, l'inguine, annaspavo alla ricerca dell'aria, rivoli di bave mi scendevano lungo la gola, inzuppandomi il seno.
Poi mi fece mettere prona al pavimento e si inginocchiò dietro di me.
- Ora voglio riempirti la fica di sborra puttanella... -
Avevo il sedere in alto, mi tenne con la mano la faccia a terra contro il legno polveroso delle tavole, iniziò a leccarmi la fica da dietro, introdusse tutta la lingua nel mio spacco, succhiò goloso le labbra della fica e il miele che secernevo con abbondanza torrenziale. Poi lo sentì introdurre lentamente la verga nodosa, fu come essere aperta da un membro asinino alla monta: mi sentì dilatare la fica come se me l'avessero riempita introducendo un braccio.

Scivolava nella cavità generosamente lubrificata, muoveva il bacino perché quel bastone innervato che avevo dentro, mi slabbrasse all'estremo le mucose. Il rumore liquido prodotto dal coito, unito alla cadenza rapida dei nostri fiati, si accompagnava ai miei gemiti crescenti di piacere.
Mi pompava con colpi potenti e regolari, non aveva fretta di venire, me lo infilava fino a farmi sentire i testicoli premere le grandi labbra, lo sprofondava fino all'ultimo millimetro, il glande mi martellava l'utero con la veemenza di un mortaio nel pestello.
Mentre mi fotteva con quella potenza, riprese a muovere il manico della canna da pesca nel mio ano. Il bastardo sapeva bene cosa fare per farmi perdere la ragione, bastarono infatti pochi di quei sommovimenti nelle mie viscere per farmi deflagrare in un orgasmo esplosivo e liberatorio.
- Aaaghh... sii!...vengooo!... -
Non potei più arginare il mio urlo, lo cacciai stentoreo, lungo e articolato: fu buio e poi luce accecante, la realtà perse ogni riferimento fisico, la stanza ruotava in una vertigine vorticosa, galleggiavo nel vuoto, combattevo la sensazione di essere spazzata via come una stoppia dal turbine.
Godevo! Godevo, finalmente! In maniera incontenibile, godevo e urlavo il mio piacere. Squirtavo l'anima ridotta a liquido, mi discioglievo in un orgasmo mai provato con quella intensità: ero venuta alla fine! Avevo raggiunto l'orgasmo, desiderato per tutta quella infernale giornata.
Ero accasciata sugli assi lerci dei miei umori, ansimante e sfinita, senza più volontà né forze. Lui che aveva un controllo granitico del proprio corpo e dei propri sensi, non era venuto, si era fermato dentro di me in attesa che mi calmassi. Respirava lento, sentivo il suo fiato caldo sul collo, il suo desiderio restava teso e solido dentro la carne bollente del mio sesso: attendeva come un predatore pronto a riprendersi la sua preda.

Mi carezzò i capelli intrisi di sudore spostandomeli dagli occhi, fu un gesto gentile, voltai il capo e gli porsi le labbra, mi baciò: sapeva di me e di tabacco amaro.
Trascorsero così una decina di minuti, in silenzio, avvinti nella penombra. Fuori la spiaggia si era riempita, si udivano le voci dei bagnanti, giochi di bambini che le madri richiamavano perché uscissero dall'acqua.
Lentamente sfilò il manico di sughero dal mio ano, lo fece con delicatezza, quando uscì del tutto si udì uno schiocco leggero dovuto alla pressione dell'aria che fuoriusciva dal mio budello. Era cosparso delle mie secrezioni, odorava forte di sesso, di budello, di mia intimità, compresi cosa desiderava vedermi fare: porsi la bocca e con la lingua iniziai a pulirlo, leccando il mio sapore.
Mentre lo facevo sfilò il membro dalla mia fica e con una leggera pressione, lo fece lentamente scivolare nel mio retto, era più grosso del manico della canna da pesca, ma non ebbe difficoltà ad entrare, ormai ero così dilatata che anche il cazzo di un cavallo non avrebbe fatto differenza.
- Dimmi cosa vuoi che ti faccia ora puttanella? -
Aveva la voce grave di desiderio, le gocce del suo sudore mi colavano sulla schiena.
- Voglio che mi sfondi il culo col suo grosso cazzo signor Rinaldi. -
Lo fece, assestandomi dei colpi da farmi nuovamente urlare, mi sentivo sventrare l'ano dalla furia di quel bastone teso allo spasmo.
Alla fine se ne venne dentro con un rantolo animalesco, inondandomi di un liquido denso che tracimò dai bordi del mio orifizio, colandomi nel solco della vulva: fu un clistere di sborra calda.
Restò nel mio intestino fino a svuotarsi del tutto, sentivo le contrazioni del suo sesso seguire l'estinguersi dell'orgasmo, si abbandonò su di me con la testa poggiata sulla mia spalla, i nostri respiri si andavano rilassando poco alla volta, potevamo avvertire i battiti dei nostri cuori nel riverbero della casse toraciche mentre il sudore scivolava a rivoli sui nostri corpi.

Al termine di tutto, dopo che mi fui rivestita, mi pose in mano la chiave della mia cabina e mi disse, con mia estrema sorpresa, di andarmene.
- Vai a metterti un paio di mutande, piccola sporcacciona, che sei indecente.-
Ebbi un'esultazione riconoscente: - Ma allora signor Rinaldi, alla fine ha creduto che non sono una ladra? -
- Certo troietta. Figurarsi se non sapevo chi fossi. Mi ricordavo bene di te. Con quel culo e quelle tette non è facile confondersi. Poi conosco tutti i clienti del mio stabilimento. Altrimenti che razza di gestore sarei? Ahahah! -
Mi rifilò uno schiaffo sul culo e mi cacciò fuori, alla luce accecante del pieno pomeriggio.

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