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Danilo e Federico - Parte 2: Colonizzazione (2)


di vgvg91
20.02.2023    |    4.359    |    7 9.9
"Il trasloco non richiese molto tempo..."
DUE ANNI PRIMA

Erano passati due mesi dal primo incontro con Serena. L’estate era quasi alle porte e, con essa, si avvicinava anche il termine della scuola. Nell’arco di un tempo sorprendentemente breve, la mia vita era stata stravolta nel profondo da un uomo, da quello che ormai consideravo il mio uomo, come io ero il suo. Sarebbe stato inutile negare che fossi stato io a volerlo, ad arrendermi a quella bizzarra successione di eventi che avrei potuto arrestare in qualsiasi momento. Avrei potuto, ma non voluto. Ero fermamente convinto che ogni caso della vita non avvenisse in maniera del tutto casuale, ma che ci fosse una ragione da indagare, soppesare, capire. E Danilo rappresentava, in quel frangente della mia esistenza, il mio più grande punto interrogativo e, allo stesso tempo, il mio più grande punto di riferimento.
Eravamo stati sottoposti ormai alle sfide più ardue, che avevano provocato in noi ferite fuse in una connessione unica, indubbiamente profonda e complessa. Stava soltanto a noi scoprire se questa condizione sarebbe potuta esplodere nella gioia del sole, generando un legame indissolubile di anime, o, al contrario, ci avrebbe fatto collassare su noi stessi, finendo per autodistruggerci. Ma avremmo potuto scoprirlo solo vivendoci, donandoci vicendevolmente.
Fu proprio quando arrivammo a tale consapevolezza che Danilo mi propose di andare a vivere da lui. In realtà, la proposta era rivestita di pura formalità, dal momento che ormai passavo la maggior parte delle mie giornate nel suo appartamento, ma mi colse comunque impreparato e notevolmente imbarazzato.
«Sei… sicuro?» gli chiesi cautamente, il volto in fiamme, i miei occhi persi nei suoi, mentre ero con la testa poggiata sulle sue gambe, entrambi distesi su di una panchina di parco Sempione in una assolata domenica di piena primavera.
«Più che sicuro» replicò con la sua voce calda e rassicurante, senza smettere di carezzarmi i capelli.
«È che…» replicai, in evidente difficoltà. «Non mi fraintendere, mi piacerebbe tantissimo. Ma non vorrei invadere i tuoi spazi».
«Oh, andiamo!» disse lui, increspando le labbra in un lieve sorriso e inarcando le sopracciglia. «Hai già invaso i miei spazi da tempo. Passi quasi tutte le sere da me: la mattina ti alzi, vai a scuola, torni nel tuo appartamento solo per pranzare e mi raggiungi non appena finisco di lavorare. Hai anche lasciato lo spazzolino e tutto l’intimo in bagno! A proposito, dobbiamo trovare un accordo: questa storia che colonizzi la mia cassettiera deve finire» concluse, improvvisamente serio.
Per tutta risposta, scoppiai a ridere in maniera molto poco dignitosa, coinvolgendolo nella mia reazione spontanea.
«Non posso darti torto. Però…» provai a ribadire, ma Danilo pose un dito sulle mie labbra, facendomi tacere.
«Nessun però. Economicamente parlando, è del tutto inutile che tu spenda buona parte del tuo stipendio per l’affitto di un appartamento di cui neanche usufruisci» rispose in tono perentorio e pratico.
Sbuffai. «Odio la tua mente logica, lo sai?».
«Lo so. Allora?» fece lui, in evidente stato di tensione per l’attesa della mia risposta.
«Allora va bene, amore». Pronunciate queste parole, si sporse su di me e mi baciò teneramente le labbra. Godetti del loro sapore, del profumo intenso della sua pelle.
«Ad una condizione, e non accetto repliche!» aggiunsi, in tono squillante.
«Sentiamo» disse Danilo, aggrottando le sopracciglia.
«Mi lascerai contribuire alle spese equamente».
«NON SE NE PARLA!».
La discussione durò a lungo, lasciando spazio a toni piuttosto accesi, al punto che alcuni passati giravano la testa nella nostra direzione, fugacemente catturati dal confronto di quei due uomini tanto testardi quanto innamorati.
Alla fine, il patto prevedeva che avrei provveduto alle spese di prima necessità, occupandomi anche di cucinare – rimediando così al pericolo ambulante di Danilo alle prese coi fornelli.
Prevedibilmente, quando rincasammo, facemmo l’amore in maniera travolgente, sugellando definitivamente il nostro accordo nella carne. Finché un paio di gambe del letto non presero a cigolare paurosamente, arrivando al totale cedimento
«Questo danno lo paghi tu, però» feci io rabbuiato, tenendomi un fianco e rialzandomi al meglio delle mie capacità. «Devi sfondare solo me, non il letto».
«Come vuoi». Accogliendo le mie parole di buon grado, Danilo mi trasportò in braccio in salotto e concluse l’opera posizionandomi a pecora sul divano e scopandomi con più foga di prima, sghignazzando per i gemiti al limite delle urla che emettevo, mentre mi contorcevo dal piacere.
Il trasloco non richiese molto tempo. Mi limitai a riporre i miei abiti e tutto l’occorrente da bagno in due capienti valigie, mentre i libri trovarono posto in alcuni pesanti scatoloni, che feci trasportare a Danilo senza pensarci due volte.
«Proprio insegnante dovevo prendermelo» lo sentii sbuffare, quando cercando di vedere dove stesse mettendo i piedi per poco non incespicò sul marciapiede.
«Su, niente lamentele. Stasera potrai fare a meno di andare in palestra» gli dissi in tono incoraggiante, aggiungendo un paio di pacche sulla schiena di conforto mentre posizionava gli scatoloni nel bagagliaio dell’auto.
«In cambio, però» fece lui a mezza voce voltandosi, paonazzo in viso per lo sforzo appena portato a termine, «stasera mi ringrazierai prendendoti il cazzo fino in gola. Niente lamentele».
«Pensavo volessi offrirmi una cena romantica» risposi, arricciando le labbra.
«Su questo ci lavoreremo» disse, richiudendo il cofano. «E poi, qualcosa lo mangerai».
Il primo giorno ufficiale a casa di Danilo fu esattamente come l’avevo immaginato. Passammo la maggior parte del tempo sistemando i miei averi e fu da subito estremamente naturale, come se fossimo entrambi già abituati a quella nuova realtà.
«Dobbiamo pensare a uno spazio tutto tuo» disse pensieroso, con una mano sul mento, quando il suo sguardo si posò sugli scatoloni dei libri.
«Ma no, posso arrangiarmi» provai a replicare.
«Non dire cazzate. Io ho il mio studio ed è più che giusto che anche tu disponga di uno spazio personale in cui lavorare il pomeriggio».
D’istinto, mi avvicinai alle sue spalle e lo cinsi in un forte abbraccio, baciandogli la schiena.
«Grazie».
«Per cosa?».
«Per la tua premura».
«Piccolo» mi rispose, voltandosi e prendendomi il mento tra le mani. «Se non ti avessi voluto qui, non mi comporterei così. Sono io a dover ringraziare te, lo sai bene».
Alla fine, decidemmo di ricavare un mio angolo studio personale nell’immenso salotto, ovviando anche al potenziale problema di disturbarci a vicenda. Si rivelò essere la scelta giusta, poiché era un ambiente poco utilizzato e appariva piuttosto spoglio. Fu sufficiente aggiungere una scrivania e posizionarvi alle spalle una libreria a muro, che arricchiva il locale nel complesso. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Ebbi modo di scoprire che, una volta trovata la sua vera essenza, parlare con Danilo era estremamente soddisfacente. Potevamo confrontarci su qualsiasi argomento e sapeva un sacco di cose. Uno dei momenti più agognati della giornata divenne il ritrovarsi la sera per cena, discutendo di politica, economia, musica. Ne ero già consapevole, ma avere la conferma di avere a che fare con un cervello pensante oltre che con un corpo da dio greco, fu la ciliegina sulla torta di quel periodo dorato, che ripagò abbondantemente tutte le sofferenze passate. Ero talmente scettico di quello di cui stavo godendo al punto che temevo di trovarmi in un sogno, che mi sarei risvegliato da un momento all’altro in quella camera d’albergo, senza trovare Danilo nel letto accanto al mio.
Al punto che una sera, accoccolati sul divano vedendo un film in TV, sussurrai: «Danilo… perché io? Perché hai scelto me?».
Danilo aveva la testa poggiata sul mio ventre e lo sentii riscuotersi dal torpore in cui era sprofondato, ma la risposta non tardò ad arrivare: «Perché mi hai reso ciò che sono ora. Perché sei la mia cupola del Brunelleschi».
«Smettila di farmi arrossire, Campanile di Giotto» lo canzonai io, profondamente grato per le sue parole.
«Beh…» fece lui, improvvisamente sveglio, «se vuoi, posso farti arrossire un’altra parte del corpo».
«Pensi sempre al sesso, tu» replicai, inarcando le sopracciglia. Senonché, con un movimento repentino, Danilo mi strattonò a sé e mi posizionò a cavalcioni su di lui, lanciandomi il suo consueto sguardo glaciale e profondo.
«Perché sei irresistibile. E mi piace dimostrarti il mio amore così».
Mi chinai su di lui e lo baciai, affondando le dita nella folta barba, mentre le sue mani percorrevano la schiena e si insinuavano nel pantalone della tuta che indossavo, calandola e strizzando i glutei con trasporto e desiderio.
Mugolando di piacere, trovai le sue mani, le ricongiunsi alle mie e gliele portai sopra la testa con un ghigno.
«Facciamo un gioco, ti va?» proposi io, scoccando un altro bacio.
«Quello che vuoi, piccolo» rantolò lui.
«Stasera comando io».
«Agli ordini. Fammi vedere cosa sai fare».
«Benissimo. Non muovere le mani» gli intimai in tono perentorio e cominciai a muovere il bacino, sfregando il culo sul suo pacco, che balzò sull’attenti, contenuto a malapena dalle mutande.
«Così mi fai impazzire…» disse Danilo, rivoltando gli occhi. Per tutta risposta, mi ritrassi e presi a sfilargli gli slip con i denti, aggiungendo qualche vigorosa palpata alle enormi cosce.
Il cazzo svettò, imponente, maschile, voglioso. Mi avvicinai e presi a leccare la cappella, solleticando il prepuzio. Il mio uomo cominciò a grugnire da piacere e, per forza dell’abitudine, tentò di porre una mano sulla mia nuca per accompagnare il pompino. Ma avevo previsto che avrebbe tentato di imporsi, così riuscii a bloccargli il braccio all’ultimo secondo e interruppi il lavoro di bocca.
«Stammi bene a sentire: se stasera vuoi scoparmi, si fa come dico io. Intesi?». Il mio tono non ammetteva repliche: il prigioniero non aveva alternative.
«Chi sei tu e cosa ne hai fatto di Federico?».
«Fai il bravo» conclusi, inghiottendo il cazzo nelle mie fauci. Presi a spomparlo con vigore e lussuria: ormai non era più necessario l’intervento di Danilo affinché prendessi quanto più possibile quel cazzo nella mia gola. Produssi un po’ di saliva per facilitare la lubrificazione e passai le mani sull’addome e sul petto del toro, avvertendo il piacere montare in lui, come un fiume in piena. Presi a mugolare: sapevo che gli piaceva da impazzire e volevo torturarlo, giocando coi suoi desideri.
«Fede… se continui così, oh Dio… rischio di venire». I suoi rantoli profondi mi allarmarono: sapevo di essere diventato bravo, ma non così tanto.
«Non ti azzardare!» esclamai, interrompendo il pompino per qualche secondo. «Non mi sono ancora divertito» dissi, rimettendomi a cavalcioni su di lui. Raccolsi parte della saliva sedimentata sul suo membro e la utilizzai per lubrificarmi la rosa dell’ano, stantuffandomi con un dito e mugolando, mentre il mio uomo godeva dello spettacolo in estasi. Sentivo il suo cazzo caldo pulsare a contatto col mio buco, intenzionato a possedermi.
«Mi vuoi?» gli chiesi, gemendo.
«Sì Fede, ti voglio da impazzire. Ti prego…» mi rispose, percorrendo il mio corpo con lo sguardo.
«Ti concedo di prendermi i fianchi» dissi, continuando a muovere il bacino. Quando le sue forti mani mi avvolsero, persi il controllo e, aiutandomi con una mano, mi impalai sull’enorme membro. Il fiato mi si mozzò in gola e presi a produrre liquidi pre-spermatici direttamente sul ventre di Danilo. Cominciai a sollevarmi e ad abbassarmi, prima lentamente e con sensualità, ma non appena vidi l’uomo roteare gli occhi, presi ad aumentare gradualmente la velocità. Sapevo che in quella posizione sarei durato poco, perché la penetrazione stimolava la mia prostata. E anche Danilo lo sapeva, quando ghignando vide quali vette del piacere stavo toccando: tremavo, gemevo, le nocche mi si fecero bianche mentre stringevo la spalliera del divano.
«Abbassati» mi fece lui. Mi sporsi verso di lui e strabuzzai gli occhi quando prese a mordicchiarmi i capezzoli e a fottermi con più vigore, tirando al limite le pareti del mio ano e solleticando tutte le terminazioni nervose. Fu la goccia: il consueto calore che solo Danilo sapeva provocarmi divampò, partendo dalle viscere e risalendo lungo il mio membro, esplodendo in un violento orgasmo che mi fece ruggire nelle sue orecchie.
Danilo rinsaldò la presa sui miei fianchi: «Te lo riempio questo bel culo, piccolo!» ed eruttò caldo sperma, inondandomi mentre io tremavo ancora per l’orgasmo appena provato.
Mi accasciai su di lui: eravamo entrambi madidi di sudore, ma questo rese il contatto dei nostri corpi ancora più piacevole. Affondai le dita nella peluria del suo petto umido, poi lo baciai dolcemente.
«Ben fatto, Campanile» dissi, con un sorriso.
«È solo l’inizio, amore» replicò lui.
Speravo che fosse così.
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