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Gay & Bisex

Danilo e Federico - Parte I: Nella tana del lupo (4)


di vgvg91
18.01.2022    |    6.517    |    9 8.6
"Ogni tanto, Danilo mi dava dei buffetti più o meno vigorosi sul viso..."
Alla fine, non riuscii ad ottenere tramite concorso il posto di ruolo a Milano, ma fortunatamente mi si presentò una supplenza annuale, con enorme sollievo da parte mia. Sebbene fossi legato profondamente alla mia famiglia, ero anche consapevole che non avrei potuto vivere per sempre sotto il tetto dei miei genitori. Affittai un minuscolo monolocale che mi prosciugava buona parte dello stipendio, lasciai definitivamente la mia terra natale e mi trasferii in città. Anzi, nella città. Milano mi chiamava a sé, in coincidenza con l’esigenza sempre più impellente di indipendenza.
Mi appassionai al lavoro con estrema dedizione e il primo mese trascorse serenamente. Il tempo libero che mi restava era davvero centellinato, ma me lo godevo appieno. Da quel giorno in hotel, mi capitava di ripercorrere ciò che avevo forzatamente vissuto e, a volte, mi ritrovavo ad avere delle erezioni che continuavo a reputare non propriamente normali. La foto che l’uomo mi aveva inviato era ancora visibile in chat e un paio di volte l’avevo sfruttata come stimolo di masturbazione.
Era una fredda sera di novembre, durante un weekend anonimo come tanti altri. Non avevo nessuno con cui uscire, i colleghi che avevo conosciuto avevano già altri impegni; l’alternativa rimasta era di chiudermi in camera a segarmi. Però, quella sera, le mie dita presero inaspettatamente un’altra direzione. Aprii Facebook e sulla barra di ricerca digitai “Danilo Rinaldi”. Il profilo si presentava identico a poco più di un mese prima ma, scorrendo le informazioni, un dettaglio rapì la mia attenzione e mi fece balzare il cuore in gola: “vive a Milano”.
Strano, fino a un mese fa risultava che abitasse a Roma. Ero perplesso. Mi conoscevo: la mia curiosità non si sarebbe sedata così facilmente, quindi mi feci coraggio e aprii la conversazione, rimasta invariata con il suo ultimo messaggio che ancora mi balenava nel cervello nei momenti più disparati.
“Vivi a Milano ora?” digitai. Non so perché presi questa decisione, agii unicamente seguendo il mio istinto. Incredibilmente, il cellulare notificò il messaggio dopo pochi minuti.
“Sì”; risposta fredda e laconica.
“Anche io” replicai.
“Ok”. Segno di onesto disinteresse per la notizia.
“Vorrei incontrarti” risposi, mettendo in campo un coraggio che raramente nella mia vita avevo tirato fuori.
“Come scusa?”.
“Sì. Abbiamo un conto in sospeso”.
“Non credo proprio, ho molto da fare. Lasciami in pace”.
Presi del tempo prima di trovare le parole giuste. Alla fine, formulai il messaggio seguente: “Credo che tu me lo debba. Devo chiederti una cosa e devo farlo di persona”. Anche la sua risposta si fece attendere, ma poi lessi sullo schermo: “Non credo di doverti nulla, ma fai un po’ come ti pare. Questo è il mio indirizzo. Interno C2”. In allegato, la posizione su Maps. Nell’arco di 5 minuti, mi preparai e uscii di casa, sospirando.
Fortuna volle che le nostre abitazioni fossero separate da una sola fermata di metro, quindi era passata appena mezz’ora da quando mi aveva scritto a quando il mio dito tremante si poggiò sul campanello dell’interno C2. La spia della videocamera si accese dopo pochi istanti e il portone si aprì, con un duro suono metallico che mi vibrò nel petto. Lo spinsi e percorsi il corridoio fino all’ascensore: l’interno C2 si trovava al quinto piano. L’ascensore raggiunse il piano sferragliando e, con un ultimo sobbalzo, le porte scorrevoli si aprirono. Misi il piede sul pianerottolo e notai che la porta era già aperta. Prima di entrare mi sfregai le mani, congelate dal freddo improvviso di novembre, e bussai, varcando la soglia.
L’appartamento era lussuoso e spazioso, nulla a che vedere con la mia topaia.
«Chiudi la porta, ho il riscaldamento a pavimento acceso» risuonò da un’altra stanza la voce calda e profonda che non sentivo da oltre un mese, cosa che mi procurò un brivido lungo la schiena. Effettivamente, il tepore aveva già cominciato ad avvolgermi, così allentai leggermente la sciarpa, che sembrava già volesse soffocarmi, e mi introdussi nella tana del lupo.
Chissà se ne uscirò vivo, pensai ironicamente, mentre attraversavo il corridoio cercando di individuare la fonte di un rumore simile a fogli di carta consultati in fretta e furia. Notai in fondo a destra una porta socchiusa da cui fuoriusciva una lama di luce, così avanzai e aprii la porta.
Danilo era dietro una modesta scrivania in legno, a petto nudo, con indosso un paio di pantaloncini grigi. Quando entrai, levò lo sguardo, per poi subito riabbassarlo sulle pile di documenti che stava consultando.
«Perché sei qui?» mi chiese, senza sollevare la testa.
Esitai. «A dire il vero, non lo so bene nemmeno io».
L’uomo sorrise beffardo: «Non cominciare a prendermi in giro. Come vedi, sono piuttosto occupato, quindi vedi di parlare chiaramente».
Mi feci coraggio e mi diressi verso un piccolo divano a due posti sul lato sinistro della stanza e mi accomodai.
«Togliti il cappotto. Dio, non stai morendo di caldo?» mi fece notare lui.
«Effettivamente…» convenni e mi spogliai lentamente, rimanendo in pullover. Calò il silenzio: il fatto che io fossi in quella stanza con lui non sembrava interessargli particolarmente, così decisi di schiarirmi la voce: «Ecco, sì. Ho una cosa da chiederti».
«Dammi un paio di minuti».
«D’accordo» e mi ammutolii. L’orologio a muro segnava in maniera quasi assordante lo scorrere dei secondi, mentre mi sfregavo le mani in imbarazzo. Dopo qualche minuto, anche il pullover sembrava essere eccessivamente soffocante per quella temperatura, ma non lo diedi a vedere.
Danilo si alzò. Non ricordavo che fosse così alto e imponente: la visione mi fece arrossire violentemente. Lo vidi recarsi verso una teca di vetro, da cui prese del whisky e se ne versò un bicchiere. Poi, come ricordandosi della mia presenza, mi chiese: «Ne vuoi un po’?».
«No, grazie» risposi.
«Come vuoi» disse, con una scrollata di spalle, e fece scendere lungo la gola il liquido ambrato.
«Ok, hai la mia completa attenzione ora».
Cominciai a sudare freddo, mentre il suo sguardo glaciale si posava fisso su di me. All’istante, ricordai la sua espressione penetrante mentre possedeva senza pietà il mio corpo. Tossii e provai a parlare con estrema fatica.
«Ehm… ecco… io volevo chiederti perché…».
«Perché cosa?» mi interruppe subito lui, avvicinandosi al divano. A questa distanza, mi sembrava ancor più imponente, e mi costrinsi ad abbassare lo sguardo. Mi sentivo così insignificante.
«Perché lo hai fatto…?» risposi, a testa bassa.
«E tu sei venuto fin qui per questa cazzata?» esclamò sorpreso, alzando le sopracciglia. «Avrei potuto rispondere anche via cellulare, senza perdere ulteriore tempo».
«Volevo che me lo dicessi di persona» provai ad andare avanti. «Deve esserci una ragione, no?».
Danilo sospirò, aumentando del doppio il volume dei suoi pettorali. «Purtroppo no. Ripeto, il lavoro mi stava stressando particolarmente in quel periodo. Ero in lizza per una promozione qui a Milano, che sono riuscito ad ottenere poco fa, e avevo solo bisogno di un buco per sfogarmi un po’».
«E così vai in giro a scopare come un forsennato la gente? Non avresti potuto semplicemente masturbarti?» dissi, levando finalmente lo sguardo e sostenendo il suo.
Danilo bevve un altro sorso, noncurante delle mie parole. Alla fine accennò: «Non l’ho mai fatto con nessuno, sia chiaro. Ho solo degli istinti molto accentuati e non mi era mai capitato di stare così tanto tempo lontano dalla mia ragazza. E poi mi pareva di aver scorto qualche sguardo fugace da parte tua che ho interpretato come una palese dichiarazione di via libera».
È vero, pensai a malincuore. Deve aver notato che lo avevo guardato di sfuggita arrossendo.
«Sugli sguardi che ti ho lanciato ti do ragione, non mi era mai successo prima».
Danilo sogghignò sornione: «Evidentemente, non avevi visto nulla del genere prima. Comprensibile» e bevve un altro sorso.
«…è così» convenni, poi aggiunsi: «Un po’ pretenzioso, però, credere che avessero quel significato, non ti pare?» e arrossii di nuovo. Il pullover cominciava ad essere davvero insopportabile.
«Alzati» disse all’improvviso con un tono di voce duro, mentre posava il bicchiere sulla scrivania.
Istintivamente, mi alzai. Ci trovammo uno di fronte all’altro, ma ero costretto a tenere lo sguardo verso l’alto, mentre lui torreggiava su di me. Cominciai a sentire le gambe cedere.
«Non sei venuto qui solo per questo, vero?».
«Ecco… io… mi chiedevo come fosse possibile per me essere riuscito a prendere un cazzo del genere. Sinceramente sono ancora molto scettico».
«La prova materiale l’hai avuta, ma sì, effettivamente sono rimasto sorpreso anche io. Come ti ho già detto, è evidente che tu abbia un dono» e qualcosa di indefinibile brillò nei suoi occhi.
«Cosa provi in questo momento?» mi chiese tranquillo, ignorando il mio silenzio.
Deglutii. «A dire il vero… mi sento… estremamente piccolo». Non feci in tempo a finire la frase che mi afferrò la gola con la sua mano. Sbarrai gli occhi e provai a divincolarmi, ma esattamente come un mese prima fu del tutto inutile. Era troppo forte per me.
«L’ho notato, dal fatto che non riesci a tenere troppo tempo lo sguardo su di me». La sua bocca era leggermente socchiusa e si avvicinava al mio viso, spargendo il pungente odore di whisky. Poi, inspiegabilmente, lasciò la presa. Respirai a pieni polmoni.
«Cosa ti rende scettico?» mi domandò con viva curiosità.
«Parlo sinceramente. Per me è stata la prima volta, quindi immagino che qualsiasi cazzo mi avrebbe procurato quelle lacerazioni. Immagino che sia normale averlo percepito come immenso, ingestibile».
Danilo non replicò. Mi squadrò per qualche secondo, poi vidi che con le mani abbassò i pantaloncini, rimanendo in slip aderentissimi. Il bozzo lasciava presagire delle dimensioni enormi. Respirai a fatica. «D’accordo, forse hai ragione».
«Non è ancora duro» mi fermò. La testa mi girò all’impazzata e Danilo sembrò accorgersene, perché mi mise prontamente una mano sul fianco, sostenendomi. Stavo pian piano realizzando concretamente cosa fosse effettivamente successo quella sera e avere l’artefice davanti ai miei occhi mi scombussolava terribilmente.
«Togliti il pullover» mi disse, con una leggera vena autoritaria.
Ubbidii. Ormai ero in ballo ed ero intenzionato ad andare fino in fondo. Dovevo vedere, dovevo capire. Un po’ mi vergognai del mio fisico, che impallidiva davanti al suo. Ero un normale ragazzo magro, con una lieve peluria disseminata sul petto. Ma davanti a me avevo un vero uomo, anzi, un maschio.
«I pantaloni, ora».
Rimasi in mutande.
«Toccalo». Lo presi in mano e immediatamente avvertii il pezzo di carne che cresceva a dismisura. Danilo era visibilmente eccitato da quella situazione, ma si rese conto che più di lui ero io ad esserlo, tanto che sorrise in direzione dei miei slip e mi disse: «Toglili, mi sa che stai dando chiari segnali».
Ero nudo, nudo come un verme davanti a quella divinità. Il mio cazzo pulsava dritto ed era già gocciolante.
«Nemmeno fossi una ragazzina in calore» osservò, divertito. A quel punto, scostò la mia mano dal suo pacco e abbassò gli slip. Il pene schizzò in alto, enorme, maestoso. Non aveva mentito sulla veridicità della foto e davanti ai miei occhi avevo finalmente il cazzo che ormai avevo impresso nella mia mente. Enormi vene ne costellavano la superficie e la cappella pulsava vogliosa.
«Avvicinati» mi intimò. I nostri arnesi si toccarono, ma il mio, pur essendo un normale cazzo di 15 centimetri, scompariva dinanzi a tale maestosità.
«Cosa provi adesso?» mi chiese nuovamente.
«Mi sento… insignificante rispetto a te» riuscii a pronunciare a fatica.
Danilo mi prese il mento fra le dita e mi costrinse a guardarlo. Ghignava soddisfatto.
«Le tue misure sono assolutamente irrilevanti, non ci pensare. Qui il maschio sono io».
«Sì…» risposi, ormai rapito dal suo sguardo e dalla sua voce calda e profonda.
Danilo spostò la mano dal mio mento sulla mia spalla e, con una lieve ma decisa pressione, mi fece capire di mettermi in ginocchio. Lo guardai da quella posizione: era enorme, il suo pene ricopriva interamente la mia faccia.
«Se vuoi il mio cazzo, prendilo in bocca» mi disse. «Ma ricorda. Se farai questo, mi darai il via libera per disporre del tuo corpo come meglio mi aggrada. A te la scelta».
Fedele alle mie intenzioni, spalancai la bocca e provai a prendere quell’enorme palo di carne in bocca. Tossii violentemente.
«Non ci riesco, è troppo grosso» mi lamentai.
Un altro lampo nei suoi occhi glaciali. Mi pose una mano sulla testa e la spinse verso il suo cazzo.
«Aprila tutta, so che ce la fai».
Riprovai, mentre Danilo spingeva con la mano e con il bacino. Riuscii a prendere interamente la cappella. Sapeva di maschio e già da sola riempiva interamente il mio cavo orale.
«Brava, troietta. Sei nato per questo». Mi lasciò degustare con calma la cappella. Ero affamato: la lavoravo con la lingua mentre con le mani carezzavo le sue gambe possenti e leggermente pelose. Iniziai a sentire i suoi gemiti di piacere e rivolsi la mia attenzione ai coglioni. Erano gonfi e pelosi, sembravano pieni da un bel po’ di tempo. Li soppesai con entrambe le mani.
«Sì, non sborro da una vita. Direi che sei arrivato al momento giusto» e condusse la mia testa nuovamente sulla cappella. La annusai e la rimisi in bocca, mentre con la mano lavoravo l’asta spessa e venosa. Il mio cazzetto, nel frattempo, grondava pre-sperma. Ero davvero bagnato come una ragazzina qualunque.
Dopo qualche minuto, Danilo disse: «Credo che tu sia pronto per lo step successivo». Così dicendo, mi prese la testa con entrambe le mani e la tenne ferma, mentre spingeva a fondo con il bacino.
Il suo cazzo mi invase la bocca e urtò contro l’ugola, provocandomi dei conati violentissimi, ma Danilo non se ne curò, continuando a martellarmi la bocca.
«Sì, puttana, prendilo tutto» disse sospirando. Mi arresi davanti a quella dimostrazione di forza e, con pazienza, cominciai a sentire la cappella che si affacciava nella mia gola. Era una sensazione nuova ma estremamente soddisfacente. Mi stava letteralmente scopando la gola e cominciammo a gemere dal piacere entrambi. Ogni tanto, Danilo mi dava dei buffetti più o meno vigorosi sul viso. A volte erano veri e proprio schiaffi, ma sembravano eccitarlo più del dovuto, tanto che accelerò il ritmo della scopata orale. I miei occhi erano colmi di lacrime, mi sentivo soffocare. La mia mano percorreva il suo addome scolpito fino a giungere ai pettorali. In quel momento, ebbe un fremito violento.
«Oh dio sì, sto venendo. Ti sborro in gola, troia!» e assestò dei colpi ben precisi. Sentii fiotti caldi di sperma invadere il mio cavo orale ma erano talmente densi e violenti da fuoriuscire dalla mia bocca e cadere a terra. Altri getti scivolarono direttamente lungo l’esofago, mentre il suo volto era contorto dal piacere. Mentre mi sborrava in gola, io avevo cominciato a segarmi furiosamente il cazzo. Danilo se ne accorse e tuonò: «No». Smisi immediatamente.
«Ti ho già detto prima che l’unico cazzo qui è il mio. Ora pulisci».
Lasciai perdere il mio arnese e mi fiondai sulla cappella, ripulendola dagli umori maschili. Aveva un sapore intenso e pungente, ma mi faceva esplodere il cervello dal piacere.
Lo guardai con gli occhi gonfi e grati, mentre scuoteva il cazzo sul mio viso, facendo scendere le ultime gocce di sperma. Poi guardò a terra.
«Ho detto di pulire tutto» disse. A terra c’erano dei goccioloni densi e grossi sfuggiti dalla mia bocca, uno dei quali sul suo piede. Fu lì che notai la bellezza dei suoi piedi: erano grandi, le dita non erano affusolate ma massicce, e una leggera peluria ne ricopriva alcuni punti. Feci per allungare il dito per raccogliere lo sperma, ma arrivò improvvisamente uno schiaffo dall’alto.
«Con la lingua» intimò Danilo.
«Ma…» provai a replicare io.
«Ti ho dato la possibilità di scegliere fino al momento in cui hai preso in bocca il mio cazzo. Ora fai come ti dico io. Il seme del maschio non va mai sprecato. Con la lingua».
Ubbidii. Leccai dapprima le gocce sparse sul freddo marmo e poi mi dedicai al residuo presente sul suo piede. Ero timoroso, ma fortunatamente avevano un buon odore.
«Bene» chiosò, allontanandosi. Sembrava soddisfatto, mentre si accasciava sul divano. Prese il bicchiere di whisky dalla scrivania e ne bevve un altro sorso.
Ero ancora in ginocchio sul posto dove Danilo mi aveva lasciato a ripulire i suoi umori. Mi alzai in piedi e mi andai a sedere timidamente accanto a lui sul divano. Nel frattempo, l’uomo aveva preso altri documenti dalla sua scrivania e li stava consultando.
«Scusami se ti interrompo» ruppi il silenzio con un filo di voce. Danilo continuava a sfogliare le carte, ma diede cenno di parlare.
«Vorrei farti una domanda. Tu non fai sesso protetto?».
«È bizzarro che tu me lo abbia chiesto soltanto ora» rispose lui di rimando, senza staccare gli occhi dai documenti. «Vedi, è molto semplice. Sono sicuro del fatto mio, quindi ho preso questa decisione. Negli ultimi 5 anni ho scopato solo con Vanessa e con te. Ogni 6 mesi faccio il test dell’HIV e così la mia compagna. Tu di te cosa mi dici?».
Riflettei un attimo sulla mia condizione e poi risposi: «Ho avuto solo una storia con una ragazza anni fa e lo abbiamo fatto sempre protetto».
Danilo posò i documenti e si concesse un altro sorso di whisky: «Ne ero sicuro» disse, dopo aver deglutito. «Poi, francamente, i preservativi mi inibiscono un po’. Non fanno proprio per me». Detto ciò, calò nuovamente il silenzio.
Mi soffermai sul corpo da trentaseienne di Danilo. Era davvero in forma, ogni curva e ogni pelo trasudavano testosterone e la sua pelle emanava un odore intenso e piacevole. Queste sensazioni fecero rizzare nuovamente il mio cazzo, che implorava di essere liberato del suo carico.
«Ho un’altra domanda» chiesi, imbarazzato.
«Dimmi».
«Non riesco a capire. Sei venuto, anche abbondantemente, ma il tuo cazzo è ancora bello grosso».
Danilo volse lo sguardo verso di me e abbozzò un sorriso soddisfatto. «Più di così non si rimpicciolisce».
«Ma… a riposo è grande quanto il mio in erezione!» esclamai, tentando di portare la sua attenzione sul mio membro pulsante e gocciolante. Effettivamente, Danilo posò lo sguardo sul mio membro, ma si limitò a dire: «Già», facendo intendere di tagliare il discorso.
Niente da fare, pensai. Mi alzai e mi rivestii lentamente, lanciando qualche occhiata all’uomo, che nel frattempo si era alzato per riordinare la sua scrivania. Indossato anche il cappotto, mi recai verso l’uscita. Notai che mi seguì a tre passi di distanza e quando fui sul pianerottolo mi disse: «Ah, devo ringraziarti». Arrossii: non credevo che potesse dimostrarsi gentile.
«Per cosa?» chiesi.
«Domani verrà a trovarmi Vanessa. Grazie a te, riuscirò a durare molto più del solito. Ci divertiremo da matti». E così dicendo, chiuse la porta alle sue spalle.
Impiegai un po’ di tempo prima di tornare nel mio appartamento. Feci il giro dell’isolato un paio di volte, finché il freddo padano non ebbe la meglio e mi costrinse a rincasare. Mi svestii e feci una doccia calda. Una volta sul letto, non resistetti più e le mie mani corsero a una sega furiosa pensando agli eventi di quella bizzarra serata.
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