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Gay & Bisex

Danilo e Federico - Parte I: Danni collaterali (9)


di vgvg91
26.01.2022    |    4.776    |    7 9.3
"Ci soffiai dentro con delicatezza, mentre Danilo prese posto all’altro capo del divano..."
Mi trovavo rannicchiato in un angolo dell’ampio divano in morbido tessuto del salotto. Ero avvolto da una coperta di delicata lana e indossavo uno dei grandi maglioni di Danilo. Sentivo il corpo tremare impercettibilmente: il mio braccio poggiava su uno dei braccioli del divano, con la mano reggevo il mio capo e vi nascondevo parzialmente il viso.
Il respiro si era fatto regolare: a scandire il tempo, il consueto ticchettio dell’orologio. A prima vista, poteva sembrare che avessi la mente costipata di pensieri. Invece, proprio come la mattina di quella strana giornata, era del tutto sgombra.
Sentii i passi di Danilo raggiungermi in soggiorno.
«Ho trovato solo della camomilla, spero vada bene ugualmente» mi disse, con voce calma.
Scostai la mano dal viso e lo vidi, con indosso una canotta e un paio di boxer, porgermi una tazza fumante. La presi e la avvolsi con entrambe le mani, avvicinandola al naso e godendo del tepore che emetteva. Ci soffiai dentro con delicatezza, mentre Danilo prese posto all’altro capo del divano. Allargò le gambe e poggiò su di esse gli avambracci, iniziando a fissarmi.
«Come ti senti?» fece lui.
Scrollai le spalle: la testa mi scoppiava, ma non risposi alla sua domanda. Bevvi un sorso di camomilla e percepii il liquido caldo scorrermi nel corpo e pervadermi piacevolmente, interrompendo per qualche secondo i brividi. Poi dissi: «Ti ascolto».
Prima di cominciare a parlare, prese un lungo respiro.
«Ricordi la prima sera in cui sei venuto a casa mia?». Annuii quasi impercettibilmente.
«Il giorno dopo venne a trovarmi Vanessa, no?». Sembrava attendere da me chissà quali conferme, ma ricordavo tutto fin troppo nitidamente. Rimasi in silenzio, permettendogli di proseguire.
«Ecco… abbiamo fatto tutto tranne che quello» continuò, con una punta di imbarazzo nella voce. «Ci abbiamo provato, per carità. Però… io… era come se vedessi davanti a me il tuo viso e non il suo, mentre stava per farmi un pompino».
La difficoltà nel pronunciare quelle parole era quasi palpabile. Vidi con la coda dell’occhio il suo sguardo puntato su di me, ma per tutta risposta non staccai gli occhi dalla tazza, bevendo un altro sorso. Le mie orecchie, però, carpivano ogni suo singolo respiro. Il mio atteggiamento risoluto lo costrinse ad andare avanti.
«Ho inventato una scusa, dicendole che non mi sentivo molto bene per via del forte stress causato dalla mole di lavoro. Non mi era mai accaduto prima di allora di rifiutare una scopata, così Vanessa si preoccupò a giusta ragione, sebbene non lo desse molto a vedere». Deglutì sommessamente.
«Lasciammo cadere il discorso, godendoci quel che restava del weekend. Durante la settimana, i miei pensieri correvano sempre lì. Poi una sera, mentre davo una sistemata in casa, notai la tua sciarpa finita a terra dietro il divano. Così decisi di scriverti, per consegnartela. Ma il mio scopo era un altro».
«Posso intuire quale fosse» dissi flebilmente, dopo il prolungato silenzio.
Danilo scosse la testa: «Dovevo capire cosa mi stesse succedendo, ma ho preferito viverla a modo mio. Così ti presentai la scusa che sarei passato di lì solo per pura coincidenza, quando in realtà si trattava di un incontro premeditato. Sai bene come abbiamo vissuto quella domenica. Ogni singolo gesto che compivo, ogni minima azione rappresentava un test al quale sottoponevo me stesso».
Il cuore cominciò a battere furiosamente nel petto, mentre i brividi aumentavano a dismisura, nonostante la bevanda calda avrebbe dovuto teoricamente calmarmi.
«Non ti nego che, dopo quell’episodio, ero sempre più curioso di capire, di capirmi. Ma non avevo un valido pretesto per rivederti, senza suscitare in te nessuna illusione. Poi, come un segno del destino, Vanessa mi disse che non avrebbe potuto partecipare alla cena aziendale. Ero sollevato, sono sincero. Perché mi si presentò l’occasione di ricontattarti. Sei stato il mio primo pensiero, a dispetto di quanto tu possa leggere in quel messaggio».
Danilo prese una pausa, sistemandosi sul divano e abbassando il capo.
«Quella sera è stata diversa. Ho cominciato a osservarti con occhi diversi, che andavano oltre il mero interesse fisico. Il tuo atteggiamento mi ha fatto scoprire un altro lato di te. Non avevo più davanti a me il Federico insicuro e sottomesso… Ma un uomo coerente con la sua natura, che non indossa una maschera per apparire chi non è. In macchina, non facevi altro che tenermi testa, a rispondere a tono senza permettermi di esprimermi. Non sono molto bravo in questo» aggiunse, piegando le labbra in un timido sorriso.
«È stato più forte di me. Ho avvertito l’istinto irrefrenabile di baciarti, anche per farti tacere una volta per tutte. Quella notte, non temo di dirlo, non ho fatto solo sesso con te: ho fatto l’amore».
Il mio cuore pareva dovesse uscirmi definitivamente dal petto.
«…stai bene?» disse lui, interrompendo il fiume in piena delle sue rivelazioni, «hai un aspetto orribile e sei molto pallido».
«Sto bene» sentenziai io. «Continua».
«D’accordo. Il mattino dopo… ecco, ero terrorizzato. Per quello che era successo, per quello che avevo provato tenendoti stretto a me. Sentivo di volerti proteggere ma, allo stesso tempo, non volevo rischiare di prenderti in giro. Dovevo allontanarti, tenerti al sicuro da quello che sono davvero… sparire per un po’ dalla tua vita e mettere ordine nella mia».
«Lasciandomi senza uno straccio di risposta per due mesi» sbottai io, stringendo le labbra.
«Hai ragione. Mi è servito più tempo del necessario. Non potevo permettermi di rispondere nemmeno ai tuoi auguri di Natale. Temevo che avremmo cominciato a parlare, andando a interrompere il percorso che avevo intrapreso. Ho passato la vigilia di Natale qui su questo divano, da solo con i miei pensieri. Poi ho raggiunto Vanessa il mattino dopo. Lei si accorse subito che ero distante, diverso dal mio solito animo passionale. Dopo le vacanze abbiamo discusso, anche pesantemente. Non facevamo l’amore da oltre un mese, ormai, ma a me non importava. Non ne sentivo né mancanza, né necessità. Finché non siamo arrivati al punto di rottura. Ciò che hai visto oggi, è stata solo la conclusione più dignitosa possibile di una storia durata 5 anni».
«Hai lasciato la tua ragazza per qualcosa che teoricamente senti nei miei confronti. Fattelo dire» dissi io, ridendo amaramente, «quello che senti per me è solo voglia del mio culo».
Danilo sollevò di scatto la testa: ne approfittai per restituirgli uno sguardo carico di delusione.
«Non è così…» disse lentamente.
«Ah, e come dovrebbe essere? Ho avuto la dimostrazione di chi sei davvero quella notte in hotel!» proruppi io, giunto al limite, cominciando ad avvertire le lacrime che bagnavano i miei occhi.
Il silenzio che seguì fu interminabile e di una pesantezza inesprimibile. Io stringevo la tazza ormai vuota con la vista offuscata dalle lacrime, ma non distolsi lo sguardo dall’uomo. Danilo si guardava i piedi nudi vistosamente imbarazzato, la bocca contorta dal nervosismo. Poi parlò, rompendo finalmente il silenzio.
«Ti ho violentato, quella sera». Non era una domanda, ma una affermazione, una presa di coscienza.
«Sì» feci io, liberandomi finalmente di un peso che mi schiacciava da mesi.
«Mi dispiace».
Trasalii. Danilo non si era mai scusato prima d’ora e le sue parole trasudavano sincerità e commozione, il tono di voce sembrava provenire dai più oscuri recessi del suo animo. Aveva il volto in fiamme.
«Non capisco» continuò lui, «perché sei ancora qui?».
Seppi cosa dire senza esitazione: quei mesi mi avevano permesso di riflettere e giungere a una conclusione.
«Mi sentivo macchiato di una colpa non mia. Poi ho iniziato a riflettere. Più riflettevo e più non trovavo una spiegazione per quella attrazione che provavo. Mi credevo malato, è stato orribile. Dovevo capire il perché. Doveva esserci una spiegazione al fatto che il trauma fisico non si fosse riversato sul mio animo come mi aspettavo, mandandomi in frantumi. Ritenevo fosse una reazione sbagliata, ma che dovevo necessariamente indagare, per scoprire me stesso. Perciò sono venuto da te quella sera, per capire cosa avrei provato nel rifarlo con te, constatare e prendere consapevolezza di alcune sensazioni. Nonostante in quei momenti ti vedessi assolutamente distante e indifferente, era la cosa giusta da fare. Tu pensi di avermi usato, di aver disposto del mio corpo come meglio credessi. Ma anche io avevo uno scopo: sono stato io, in fondo, a concedertelo. Ti ho usato anche io. Il resto, lo sappiamo entrambi». Una lacrima mi rigò il volto.
«Ti sei sentito violentato anche stasera?» chiese Danilo, tormentandosi le mani.
Non mentii. Scossi la testa in segno di diniego, ma aggiunsi: «Mi ha ferito il tuo atteggiamento, non come mi hai scopato. Quando mi hai lasciato scelta le scorse volte, ero pronto a quello che sarebbe accaduto, ero consenziente. E lo rifarei ancora. Ma non così, non come oggi, non come in hotel. Non te lo permetterò più». La mia voce era ferma.
«Sei stato coraggioso» concluse lui.
«Vorrei andare via, ora» feci io, a mezza voce. Senza accorgermene, il mio corpo sbatteva incontrollabilmente. Pareva fossi attraversato da un terremoto interno e mi sentii nauseato. Tentare di alzarmi si rivelò una fatica immane.
Danilo si avvicinò prontamente e porse una mano verso il mio viso. D’istinto, mi scostai piegando la testa.
«Non ti faccio nulla, stai tranquillo. Ma hai un aspetto tremendo, sei pallidissimo». Poggiò con delicatezza una mano sulla mia fronte.
«Sei bollente». Si alzò e mi lasciò lì, mentre si recava in bagno. Tornò dopo pochi secondi con un termometro, porgendomelo.
Lo infilai sotto l’ascella. Dopo qualche minuto, un bip segnò la temperatura.
«Trentotto e mezzo» lessi con un filo di voce. Mi sentivo stanchissimo.
«Tu non ti muovi di qui stanotte» disse Danilo, improvvisamente serio.
«No, ho lezione domani» e provai ad alzarmi, ma lui con una mano mi costrinse a restare seduto, facendo pressione sul mio corpo.
«Tu domani non vai proprio da nessuna parte. Adesso mandi una mail a scuola e li avvisi che non potrai fare lezione».
«Sono un supplente, non posso permettermelo» protestai.
«Non sei carne da macello. Ti prenderai un paio di giorni di permesso, non succederà nulla» disse lui, in tono rassicurante.
Annuii debolmente, seppur restio a passare la notte lì. Ma ero davvero sfinito e non riuscii a oppormi.
«Reggiti a me» sussurrò, portandomi le braccia attorno al suo collo, e mi sollevò in braccio con facilità. Non dissi nulla, poggiai solo il viso sul suo petto caldo mentre mi trasportava in camera da letto. Mi poggiò sul letto con delicatezza e mi avvolse nelle lenzuola, lasciandomi anche la coperta di lana.
«Riposa. Chiamami se hai bisogno, resterò sveglio tutta la notte per sbrigare alcune pratiche di lavoro» e se ne andò, spegnendo la luce e socchiudendo la porta. Sentii i suoi passi pesanti muoversi verso lo studio.
Mi strinsi nella coperta, i miei occhi si fecero pesanti. Mi addormentai quasi istantaneamente, sprofondando in un sonno senza sogni.
«Ma che cazzo!!». L’urlo mi fece svegliare all’improvviso, un po’ allarmato. Rimasi steso per qualche secondo, provando ad ambientarmi. Sentivo come dei fischi in lontananza, ma immaginai che dipendesse dal mio stato di salute. La testa mi pulsava e i muscoli erano doloranti, notai mentre mi mettevo a sedere. Tenevo gli occhi aperti a fatica, grattandomi la testa con confusione. La camera da letto era nella penombra: le persiane socchiuse facevano filtrare pochissima luce. Mi girai verso il comodino e trovai un bicchiere colmo d’acqua: lo presi insieme al termometro e lo svuotai in pochissimi sorsi, dando sollievo alla gola arsa.
Il bip del termometro segnava trentasette gradi e mezzo. Effettivamente, mi sentivo meglio, ma ancora molto stordito. Avevo bisogno di urinare, così mi alzai con calma e, con la coperta di lana ancora addosso, uscii dalla stanza per cercare il bagno. Mi mossi, però, verso la fonte del rumore ed entrai in soggiorno.
Danilo era seduto sul divano, a gambe aperte e con indosso una canotta e un paio di slip. Beveva una birra e imprecava contro il televisore, che stava trasmettendo una partita di calcio. Si interruppe, quando mi vide lì immobile accanto alla porta.
«Che ci fai in piedi?» mi chiese, facendo per alzarsi.
Levai una mano per fermarlo. «Cercavo il bagno» risposi, con la bocca impastata.
«Certo, ti accompagno».
«Non mi serve un baby-sitter» replicai acidamente.
«D’accordo» disse, lievemente a disagio, grattandosi la barba folta. «Lo trovi in fondo al corridoio a sinistra».
«Grazie».
Dopo aver urinato abbondantemente, tornai in soggiorno. Senza fiatare, Danilo seguì i miei movimenti con lo sguardo, finché non mi sedetti sul divano, tenendomi una mano sulla tempia.
«Che ore sono?».
«Uhm… le 15 e 30».
«Ho… dormito finora?» chiesi, allibito. Danilo annuì.
Poi sobbalzai. «Non ho avvisato la scuola!» esclamai.
«Tranquillo, ci ho pensato io» intervenne lui. Aggrottai le sopracciglia: «Non sai nemmeno in che scuola insegno».
«Stamattina ho preso il tuo cellulare e ho trovato il numero della scuola tra le ultime chiamate. Ho spiegato loro la situazione e hanno acconsentito a concederti due giorni di riposo» disse, con una scrollata di spalle e bevendo un sorso di birra.
Lo guardai con disappunto: «Non avresti dovuto».
«Vuoi polemizzare anche su questo?» fece, sollevando le sopracciglia.
Non risposi. Restai in silenzio, mentre l’omone continuava a guardare la tv.
«Fanculo» imprecò sottovoce, quando la partita terminò con una bruciante sconfitta per la sua squadra. «Ti senti un po’ meglio?». Annuii in risposta: sembrò sollevato.
«Sai che non ti sto chiedendo di fare nulla di tutto questo?» precisai io.
«Non mi crei disturbo» fece lui, alzandosi in piedi. «Ti serve qualcosa?».
«Tu… la stai vivendo come una sorta di espiazione. Mi sbaglio?». Rimase muto dinanzi alla mia domanda, torreggiando su di me. I muscoli delle gambe erano tesi, mentre i piedi puntavano il pavimento con fermezza.
«Non… Non ti so rispondere…».
«Non serve. Ti ho già spiegato come stanno le cose».
«D’accordo. Io sono nello studio, per qualsiasi cosa».
Quando uscì, mi accasciai sul divano e chiusi gli occhi. Mi risvegliai che era già sera. Sentii Danilo trafficare con alcuni documenti nel suo studio, quindi preferii non disturbarlo. Mi trascinai in cucina e presi una mela: non avevo molta fame, perciò mi accontentai. Ne assaporai il dolce succo, mentre un rivolo colava dalle mie labbra. Non avevo molta voglia di restare ancora in quella casa, ma seppi che non avrei avuto speranze provando a contrastare il suo volere. Perciò mi rassegnai, ma presi la decisione di sloggiare il mattino seguente di buon’ora. Avevo delle lezioni da preparare.
Tornai in camera da letto e mi rannicchiai tra le coperte, godendo del calore che si generò quasi all’istante.
Poteva essere passata un’ora scarsa, quando avvertii il materasso piegarsi violentemente, destandomi dal torpore. Accanto a me c’era Danilo, quindi feci per spostarmi in modo tale da concedergli un po’ di spazio.
«No, stai» sussurrò lui, poi mi sollevò di peso e mi fece adagiare sul suo grande e caldo petto. Era una sensazione piacevolissima.
Prese il termometro e me lo porse. Il bip segnò sul piccolo schermo questa volta a malapena 37 gradi.
«Ti sei ripreso, fortunatamente» disse lui.
«Domattina torno a casa mia» risposi io.
«Va bene» concordò. Mi circondò con il suo enorme braccio, esitando un attimo, ma non obiettai. Sollevai lo sguardo e scoprii che mi stava osservando. I suoi occhi erano magnetici, il suo corpo emanava un tepore galvanizzante. A così stretto contatto, mi sembrava anche più enorme del solito.
Non potei fare a meno di muovere la mano e portarla sul suo pacco. Danilo non ebbe alcuna reazione, a parte il fatto che il suo membro si indurì nell’arco di pochi secondi. Infilai una mano nelle mutande e lo avvolsi stringendo lievemente. Era talmente grosso che a malapena riuscivo a circondarlo con le mie dita, notai. Ci giocai un po’, poi presi a fargli una sega delicata.
Danilo rivoltò gli occhi e gemette dal piacere. Presi i coglioni pelosi e gonfi tra le mani, carezzandoli dolcemente; passai alla cappella pulsante e lievemente umida e da lì tirai la mano verso il basso, scoprendola completamente. I suoi sospiri si fecero sempre più profondi e ritmici. Vidi le dita dei suoi piedi arricciarsi e stendersi mentre aumentavo il ritmo della sega.
Il cazzone di Danilo prese a pulsare violentemente e i suoi gemiti aumentarono di volume: capii che a momenti avrebbe sborrato e velocizzai il lavoro di mano. Il seme salì lungo l’asta turgida, pronto a venir fuori eruttando.
«Oh sì, piccolo, continua così… Vengo!» disse ringhiando e stringendo la sua mano tra i miei capelli. Gli slip si riempirono di sborra calda, riversandosi sulla mia mano. Era un torrente bollente e inesauribile, pur essendo venuto solo il giorno prima. Il ritmo del petto cominciò a decelerare, finché non si fu calmato. Mantenni la mano sul suo membro, stringendo ancora un po’ e notando che una volta a riposo non era poi così diverso. Danilo mi prese la mano ancora sporca e me la portò alla bocca, invitandomi a leccare tutto.
«Hai mangiato poco, oggi» fece lui, ironico. Io eseguii, pulendo tutto avidamente. Il sapore era acre, ma squisitamente virile, lo assaporai fino all’ultima goccia.
Danilo abbassò lo sguardo verso di me, avvicinando sempre di più il viso. Poi mi baciò: io risposi con trasporto. Fu un bacio lungo, la sua lingua esplorò ogni anfratto del mio cavo orale, spingendosi fino all’imboccatura della gola. Nel frattempo, sentii la sua mano scendere verso il mio cazzo e strofinare la zona. Io ero ancora senza mutande, quindi lo impugnò con facilità. A differenza mia, la sua grande mano circondava completamente il mio cazzo, sia in larghezza che in lunghezza.
«Se non vuoi…» provai a dire, ma con un altro bacio mi tappò la bocca.
«Voglio» fece lui, iniziando la sega. Il mio cazzo, intrappolato nella sua calda mano, venne segato con maestria e passione. Gemetti, affondando la mia faccia nel suo petto peloso. Danilo prese ad accarezzarmi la testa, mentre velocizzava il movimento di mano. La sua tenerezza imprevedibile mi fece eccitare all’inverosimile e, squittendo, spruzzai il mio seme nella sua mano, che lo contenne abbondantemente. Gli baciai il petto, mentre si sporse per raccogliere un fazzoletto e si premurò di pulire tutto.
Poi, con delicatezza, si scostò da me, si levò le mutande sporche e si alzò in piedi, dando segno di volermi lasciare dormire in pace. Lo trattenni per un braccio e lo guardai: «Resta con me stanotte».
L’omone sorrise e, stendendosi di nuovo sul letto, mi fece adagiare sul suo caldo petto, abbracciandomi. Il suo membro giaceva a riposo sulla sua coscia. Ci misi una mano sopra e mi addormentai, cullato dal suo respiro.
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