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Danilo e Federico - Parte 2: Recupero (3)


di vgvg91
22.02.2023    |    5.033    |    9 9.5
"I loro scambi di battute suscitavano sempre la mia curiosità, perché erano davvero unici nel loro genere..."
«Ho detto di no!» urlai, battendo il pugno sulla cattedra. Ero furente. Il silenzio fu quasi immediato. Non avevo mai perso il controllo, per questo me ne pentii quando scorsi sui volti dei miei studenti espressioni di genuino stupore.
Cercai di ricompormi quanto meglio possibile, passandomi una mano tra i capelli.
«Ragazzi, vi prego…» ripresi, con un leggero tremolio nella voce. «Abbiamo fatto un percorso eccellente finora e siete migliorati tantissimo. Ma non potete chiedermi di aiutarvi con la stesura degli elaborati di letteratura, devono essere un vostro prodotto personale».
Una timida mano si levò in aria: «Prof, è solo che…» provò a rispondere l’alunna migliore del corso, che spesso si faceva portavoce delle problematiche della classe. I suoi folti capelli ricci rilucevano sotto i raggi del caldo sole di fine maggio.
«… avete paura?» la interruppi io. La classe annuì con un gesto unanime. Sospirai, lieto di aver compreso il problema.
«Lo capisco, siete spaventati. Sono stato studente anche io. Gli esami di Stato possono sembrare un gioco e avete una paura matta di fallire. Ma dovete assumervi le responsabilità del vostro impegno, dei vostri errori, accettare i vostri difetti e limiti e imparare a superarli. Se intervenissi pesantemente sugli elaborati, vi faciliterei la vita adesso, ma dopo cosa farete? Cercate di…». Il mio discorso motivazionale venne interrotto dallo schermo del mio cellulare, che si illuminò notificando un messaggio. Il mio cuore perse un battito: era di Danilo.
“Domani dimettono Serena dal centro di recupero. Vieni con me?”.
Sorrisi di cuore: era la notizia giusta al momento giusto.
«Prof?». Il richiamo degli studenti mi fece riscuotere.
«Sì, scusate. Stavo dicendo…».
Quando tornai a casa, trovai Danilo intento a lavorare nello studio.
«Ehi, tu» feci io, in un sussurro. Danilo levò lo sguardo nella mia direzione e mi sorrise, facendomi cenno di avvicinarmi. Non me lo feci ripetere due volte: feci il giro della scrivania e mi accostai a lui, passandogli una mano dietro la schiena. Diedi una rapida scorsa allo schermo del pc: davanti ai miei occhi si pararono una serie di tabelle fitte di numeri, dati e calcoli complessi.
«Inutile, non ci capirò mai nulla di questa roba» esordii ironicamente, senonché all’improvviso Danilo mi tirò a sé, facendomi sedere sulle sue forti gambe. Mi guardò intensamente negli occhi per qualche secondo interminabile, poi mi scoccò un bacio intenso e appassionato, che ricambiai con altrettanto trasposto.
«Tu pensa a Manzoni e lascia a me queste tabelle noiose» disse lui alla fine, sghignazzando e abbracciandomi vigorosamente.
«Allora, come ti senti?» chiesi io con premura.
«Per cosa?» fece lui di rimando, che non aveva palesemente colto il mio riferimento.
«Mi riferisco a tua madre. Sei contento, vero?» insistetti io, sondando il terreno sullo stato d’animo del mio uomo.
Danilo non rispose e si limitò a fissarmi, respirando lentamente. Poi bassò lo sguardo e mi prese le mani, stringendole tra le sue. Il suo gesto mi comunicò l’idea che non sapesse trovare le parole giuste da usare per esprimere i suoi sentimenti: provava sollievo? O forse era turbato per l’onda di cambiamento che questa importante novità avrebbe significato per le nostre vite?
«Ho capito» proruppi io, in tono rassicurante. «Stai cercando di capire come mettere a posto le cose d’ora in poi, se questo comporterà dei cambiamenti significativi proprio ora che abbiamo trovato la nostra stabilità…».
«Ma come fai?» chiese lui, stupito. «Riesci sempre a capirmi così bene, sei meraviglioso».
Arrossii violentemente, grato per la sua osservazione spontanea.
«Bada bene, la mia è solo una proposta» dissi io, cautamente. «Casa tua è molto grande e non faresti fatica a ricavare uno spazio per una camera dignitosa per Serena. Potrebbe vivere con noi».
«Ribadisco, sei meraviglioso. Però…».
«Nessun però» lo interruppi io. «Io adoro tua madre e per me non rappresenterebbe assolutamente un problema averla in casa».
«Ascolta Fede. Non serve dimostrarti quanto io tenga a mia madre, nel profondo» fece Danilo, con voce seria e profonda. Io annuii senza parlare, per dimostrargli di voler ascoltare il suo ragionamento senza frenarlo.
«Però, io credo che questo rappresenterebbe un cambiamento enorme per la nostra stabilità che abbiamo guadagnato a fatica. A prescindere dal nostro rapporto, inoltre, vivo da solo da non so più quanti anni ormai. Ho conquistato a fatica le mie abitudini, i miei spazi, che un tornado recentemente ha stravolto» e si fermò, arricciando le labbra in un sorriso sarcastico. «Capisci bene che avere in casa un’altra persona, sebbene sia mia madre, non sarebbe adeguato all’attuale situazione. Poi, il rapporto che ho attualmente con lei non è sicuramente quello che avevo da bambino. Certo, manteniamo dei toni civili ogniqualvolta vado a trovarla in struttura, ma non è… la stessa cosa. Puoi capirmi?». Per la seconda volta annuii, poi aggiunsi: «Hai considerato, però, che potrebbe essere l’occasione giusta per riconsolidare il vostro rapporto?».
«Certo, ci ho pensato» rispose Danilo e prese una pausa di qualche secondo. Da parte mia, non incalzai, dandogli la possibilità di mettere ordine tra i pensieri, che in quel momento ero sicuro fossero simili a una matassa ingarbugliata.
«Ho preferito confrontarmi con te proprio per questo motivo» disse alla fine. «In realtà, ho già trovato una soluzione».
«E qual è?» chiesi io, tradendo una forte curiosità.
«Sai che l’appartamento sul pianerottolo accanto al mi… al nostro, volevo dire, è disabitato da mesi? L’affitto è effettivamente poco abbordabile economicamente, ma penso di potercela fare. Ecco, stavo pensando…», ma fui più veloce e completai per lui la sua frase.
«…di affittare l’appartamento per tua madre per i primi tempi e darvi l’opportunità di riavvicinarvi con questa soluzione provvisoria. Se ritieni di poter sostenere le spese, credo che sia un’ottima idea».
«Io ti scopo. Adesso» disse lui, sollevandomi di peso e poggiando la mia schiena sulla scrivania, mentre con poche cerimonie faceva spazio sul ripiano con gesti rapidi e decisi della mano. Scoppiai a ridere per la sua reazione, mentre mi baciava, anche se dopo cinque minuti il suono delle mie risate aveva lasciato prepotentemente spazio ai miei gemiti forsennati mentre il mio uomo mi apriva il culo con la sua solita e consueta foga.
Quando andai a visitare l’appartamentino con Danilo, ci rendemmo subito conto che in futuro sarebbe stato sufficiente creare una apertura nel muro comunicante per collegare le due unità abitative. I mobili già presenti erano in buono stato, anche se di primissima necessità, quindi prendemmo l’impegno di acquistare qualche suppellettile in più per evitare l’effetto di ambiente spoglio e poco vissuto.
Quando, dopo tre settimane, varcammo la soglia dell’appartamento, Serena si reggeva saldamente al mio braccio, mentre Danilo si affrettava a collocare la valigia in un angolo dell’ingresso.
«Allora? Cosa ne pensi?» chiesi a Serena, scoccandole un rapido sguardo indagatore.
Per tutta risposta, la donna si allontanò da me, liberandomi dalla sua ferrea presa, e mosse i suoi primi e timidi passi nell’appartamento. La sua solita aria imperscrutabile non mi permetteva di cogliere cenni di apprezzamento o disappunto, mentre la vedevo attraversare l’ingresso e recarsi nel piccolo ma confortevole cucinino. In quel momento lanciai un’occhiata a Danilo, visibilmente teso nello studiare i movimenti di sua madre: era una statua di sale, al punto che mi strappò un sorriso di tenerezza. Un omone grande e grosso impaurito per una eventuale reazione di diniego di sua madre.
Il tour di Serena continuò anche in camera da letto e nel bagno: seguendola come due ombre, ci affacciamo in bagno e la trovammo osservare il suo riflesso allo specchio. Poi, si sistemò una ciocca di capelli fuori posto e sentenziò improvvisamente: «Credo che vada bene».
Sia io che Danilo non ci preoccupammo di tirare un immenso sospiro di sollievo, gesto che fece roteare gli occhi di Serena. «Posso essere anche una donna esigente, ma di certo non sono ingrata. Grazie».
«Posso fare qualcosa per aiutarti?».
«No. Preferisco cominciare ad ambientarmi già per conto mio».
I loro scambi di battute suscitavano sempre la mia curiosità, perché erano davvero unici nel loro genere. Senonché, la sveglia del cellulare mi riportò bruscamente alla realtà.
«Cazzo, gli esami» feci io, scorgendo il display. «Scusate, devo proprio lasciarvi. Il dovere chiama. Serena, prometto di passare da te più tardi, non appena avrò terminato».
«Non serve» fece Danilo, mentre avevo già messo piede nel corridoio, «stasera ceniamo tutti insieme a casa per festeggiare».
«Ah, che bello! D’accordo, allora a più tardi». Sorrisi fugacemente alla donna e mi allontanai. Quando fui sulla soglia del pianerottolo, però, udii distintamente Serena ammonire aspramente il figlio: «Ci arrivi da solo o devo darti un calcio per farti capire che devi andare a salutarlo decentemente?». Trattenni le risate e attesi Danilo con sguardo divertito, mentre si avvicinava col volto paonazzo a me.
«Hai sentito?» mi chiese, visibilmente imbarazzato.
«Cosa?» replicai io, sollevando le sopracciglia.
«Stronzo» rispose, soffocandomi in un lento e caldo bacio.
Giugno trascorse in maniera frenetica. La nuova dimensione a cui io e Danilo stavamo cercando di adattarci fu più semplice del previsto: da parte mia, ero spesso fuori casa per via degli esami di Stato, che occupavano la quasi totalità del mio tempo e dei miei pensieri. Sullo sfondo, tuttavia, si stagliava la preoccupazione martellante che, una volta terminati gli esami, si sarebbe concluso anche il mio contratto a tempo determinato e, da quel momento, sarebbe ricominciata l’ansia di vedermi assegnato un nuovo impiego. Chissà dove, chissà quando.
Danilo, dal canto suo, era preso dagli impegni di lavoro e dall’assicurarsi che sua madre vivesse nella nuova sistemazione nel modo più confortevole possibile. Nei momenti in cui notavo la sua estrema premura, se possibile mi innnamorai ancora di più di lui.
Serena, donna estremamente intelligente, aveva colto sin da subito che il percorso di riassestamento sarebbe stato lungo e avrebbe richiesto molta pazienza. Per questo, i suoi atteggiamenti e la sua presenza nelle nostre vite si mossero sempre all’insegna della massima discrezione. Aveva accettato di pranzare con noi esclusivamente la domenica ed erano rari i momenti in cui si tratteneva di sera nell’appartamento di Danilo. Il più delle volte, eravamo noi a ritagliare del tempo delle nostre giornate da trascorrere da lei.
Serena era curiosissima sul mio lavoro e tutte le volte che ne aveva occasione, mi bombardava di domande sugli argomenti più disparati: gli studenti di oggi, gli esami, nuovi libri da leggere. Gradivo molto il rapporto che stavamo costruendo. Raramente, le capitava anche di sincerarsi su come Danilo si comportasse con me.
«Mio figlio è un uomo molto difficile» ripeteva spesso, noncurante di aver affrontato il medesimo argomento anche la sera prima. «Spero solo che sappia come comportarsi in un rapporto».
Pazientemente, mi affrettavo a rassicurarla in ogni singola occasione. Certo, capitava che io e Danilo avessimo qualche battibecco, ma nulla di così grave che un confronto intelligente e aperto e una sana notte di sesso non risolvessero adeguatamente. Routine di coppia, insomma.
I primi giorni di luglio, gli esami finirono. Ero molto orgoglioso del percorso costruito con i miei studenti, che si diplomarono tutti egregiamente e senza rimpianti. Nel contempo, mi affrettai a richiedere la disoccupazione. Decisi di affrontare questo periodo in maniera positiva: con un po’ di fortuna, avrei ottenuto un altro incarico annuale a Milano, ma era presto per preoccuparsi e rovinarsi le ferie estive.
Provvidenzialmente, ricevetti un messaggio da mia sorella qualche giorno dopo, mentre ero disteso sul divano a leggere pigramente un romanzo.
“Ciao Fede! Tutto bene? Hai finito a scuola, vero?”.
“Ciao Chiara! Sì, ho finito la settimana scorsa. Mamma e papà che dicono?”.
Dopo aver inviato il messaggio, il cellulare squillò e mi affrettai a rispondere.
«Ehi Chiara, che succede?» chiesi, lievemente allarmato.
«No, nulla. Ho pensato che avrei fatto prima a spiegarti in chiamata» disse lei in tono pratico e tranquillo e mi rilassai.
«Mi hai fatto preoccupare per un attimo. Dimmi tutto».
«La prossima settimana sono in ferie. Perché non scendi e stai un po’ con noi?».
«Chiara, a dire il vero ci avevo pensato anche io. Dammi del tempo per pensarci e ti do conferma».
«Guarda che se è per Danilo, può venire anche lui».
Sbiancai, senza rispondere, dimenticando di avere un interlocutore in attesa dall’altro capo del telefono.
«Pronto, Fede?» fece lei, dopo qualche secondo di attesa.
«Ci sono» risposi, biascicando. «Chiara, perdonami, ma credi che sarebbe opportuno secondo te?».
«Mamma ha già detto che va bene» replicò lei prontamente.
«E papà…?» continuai.
«Mamma ha detto che ci pensa lei, perciò non ti preoccupare».
Non risposi. Mi presi qualche secondo di tempo, attendendo che la testa smettesse di aggrovigliarsi su se stessa.
«Sei… sicura? Sii sincera, ti prego».
«Fede, stai tranquillo».
Quindici minuti più tardi, ero nello studio di Danilo. Quando gli riportai la notizia, la sua unica risposta fu un secco: «Ah».
Sollevai le spalle, in risposta. «Non sei obbligato, ci mancherebbe. Sarebbe anche un peccato lasciare Serena da sola qui per una settimana».
«Non è quello il problema» disse lui con una punta di irritazione nella voce. «Serena mi ha già detto che se volessimo prenderci qualche giorno di vacanza, lei non avrebbe nessuna intenzione di rappresentare un ostacolo e che riuscirebbe a cavarsela benissimo da sola. Ha anche aggiunto che la riterrebbe una grave offesa di essere considerata una vecchia bacucca». Accennai un sorriso per il tono estremamente serio con cui Danilo aveva pronunciato quelle parole. Poi aggiunsi: «Allora quale sarebbe il problema?».
«Νon voglio metterti in imbarazzo né a disagio, sia tu che qualsiasi membro della tua famiglia».
«Perché dici questo?» chiesi io, levando un sopracciglio.
«Non lo so» rispose Danilo, laconico.
Lo guardai fermamente negli occhi e lui sostenne il mio sguardo, con aria interrogativa. Infine, ruppi il silenzio, dicendo: «Non potresti mai mettermi in imbarazzo, toglitelo dalla testa. Io ho conosciuto tua madre e mi farebbe immensamente piacere che tu abbia l’occasione di conoscere la mia famiglia. Vieni con me».
Mi avvicinai e gli diedi un bacio sulla guancia, con fare rassicurante. Poi, lo vidi annuire impercettibilmente. «Chiedo subito una settimana di ferie al mio capo». La sua determinazione mi obbligò a saltargli addosso in maniera molto poco delicata, schiacciandogli inavvertitamente uno dei testicoli. Danilo prese a lacrimare violentemente, mentre io ridevo di gusto.
Un altro piccolo angolo di paradiso.
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