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Danilo e Federico - Parte I: Il mostro (10)


di vgvg91
28.01.2022    |    4.760    |    5 9.7
"Avrebbe potuto essere anche un malintenzionato, un serial killer, un criminale, sebbene il suo candido sorriso trasmetteva sicurezza..."
Quando il mattino dopo mi svegliai, Danilo dormiva ancora profondamente. Il suo braccio era rimasto attorno a me, come se mi volesse tenere imprigionato o al sicuro, dipendeva dai punti di vista. Percorsi il suo corpo con gli occhi assonnati: il petto e l’addome si sollevavano e si abbassavano, assecondando il ritmo lento del respiro. La gamba destra era leggermente piegata e, su di essa, era ancora adagiato il suo membro come la notte precedente.
Sbadigliai e presi un respiro profondo: potevo sentire il suo odore di maschio colpirmi le narici, un odore inteso che mi pervase il cervello. Poi scossi la testa: per quanto volessi restare lì, protetto nell’alveo di quella pace dorata, mi resi conto che per me era giunto il momento di bilanci, di scoprire chi fossi e cosa volessi davvero una volta per tutte.
Con estrema lentezza e delicatezza, mi liberai della sua presa e, facendo quanto meno rumore possibile, mi alzai dal letto, poi indossai gli stessi abiti che mi ero infilato due sere prima, nel maldestro tentativo di abbandonare quella casa in cui ancora mi trovavo. Mi recai in bagno e mi sciacquai il viso, levando via gli ultimi residui di sonno rimasti sul volto. Poi mi guardai allo specchio: il sonno ristoratore aveva avuto un effetto positivo, ma era evidente che non mi fossi ancora ristabilito del tutto. Ripensai nuovamente alla possibilità di sembrare ridicolo così conciato per strada, però non avevo molte altre scelte. Il mio giubbotto avrebbe parzialmente coperto quello scempio.
«Stai andando?». Trasalii, mentre la voce di Danilo sulla soglia della porta del bagno raggiunse le mie orecchie. Era poggiato allo stipite con la spalla, ancora nudo e visibilmente assonnato.
«Sì» feci io: su questo sarei stato irremovibile, ma non servì. Danilo sbadigliò e, grattandosi la nuca, mi disse: «La scelta è tua. Se dipendesse da me, preferirei che restassi un altro giorno».
Sospirai, cercando le parole giuste, mentre le mie mani reggevano saldamente il bordo freddo del lavabo.
«Lo sai che non mi è possibile» replicai alla fine.
«Lo so».
«C’è dell’altro» aggiunsi.
«Posso immaginare». La conversazione procedeva ad un ritmo fastidiosamente lento, scandito dai nostri reciproci sospiri e sguardi intensi.
«Non posso far finta come se nulla fosse successo. Lo capisci, no?».
Danilo si guardò i piedi, poi sussurrò: «Sì. Sei libero di sparire, io non ti tratterrò».
Annuii e lo guardai, stringendo le labbra. Ero davvero grato che avesse compreso il mio stato d’animo, ma non aggiunsi altro con le parole. Si fece da parte per lasciarmi uscire dal bagno e mi seguì nel corridoio, mentre raccoglievo il giubbotto dall’appendiabiti.
Avvertii come la sensazione di abbandonarlo lì, da solo, in quella grande casa, mentre abbassavo la maniglia. Lo guardai per un’ultima volta, fissando nella mia mente la sua figura: il suo sguardo era indecifrabile, le labbra erano strette in segno di imbarazzo, i muscoli del corpo erano tesi e i bicipiti erano messi in evidenza dalle braccia posizionate incrociate. Poi uscii.
Una volta varcata la soglia del mio appartamentino, sospirai sollevato. Nella tromba delle scale non avevo incontrato fortunatamente nessuno dei miei vicini, ma per strada avevo cercato di raggiungere il più velocemente possibile la metro, camminando a testa bassa. Mi ero seduto in un posto all’angolo, tentando di non dare negli occhi e stringendomi il più possibile nella mia figura.
Nel tragitto, avevo richiamato alla mente la reazione di Danilo: quell’uomo poteva avere una miriade di difetti, ma a volte sembrava che mi leggesse come un libro aperto, come se sapesse esattamente di cosa avessi bisogno.
Mi spogliai e mi feci una doccia: l’acqua calda leniva i muscoli ancora indolenziti e, in parte, anche il mio spirito. Mi passai una mano sui polsi: i segni delle manette erano quasi spariti, mentre quelli delle corde alle caviglie erano più marcati, a causa della forte pressione esercitata per tenermi fermo. Ebbi un sussulto, ripensando a quella scopata e mi ritrovai a chiedermi se fosse accaduta in circostanze del tutto diverse. Il mio cazzo mi rispose, gonfiandosi e dando cenno di voler essere soddisfatto, ma dovetti deluderlo: non ero assolutamente dell’umore per farmi una sega.
Quando il vapore acqueo si fece talmente fitto da procurarmi difficoltà nel respirare, uscii dalla doccia. Indossai una comoda tuta e raccolsi gli abiti di Danilo dal pavimento, osservandoli. Avrei potuto farglieli recapitare, pensai, mentre ne accarezzavo distrattamente con la mano il tessuto. Alla fine, decisi di lavarli e riporli con cura in un angolo del mio armadio.
Nel pomeriggio, provai a concentrarmi per preparare le lezioni del giorno dopo, ma la mente si rifiutò categoricamente di collaborare, così decisi che avrei proiettato un film in classe.
Mi accasciai sul letto e passai l’intero pomeriggio solo con i miei pensieri, in posizione fetale, come a volermi rinchiudere in me stesso, ma senza riuscirci totalmente. In questo momento, pensai, sarebbe stato molto più utile un poderoso abbraccio di Danilo. L’immagine delle sue forti braccia mi spinse spontaneamente a ripercorrere con la mente tutte le piccole accortezze che aveva dimostrato nei miei confronti. Seppur con i suoi modi, Danilo si era preso cura di me, ma qualcosa mi impediva di esserne sinceramente grato: era stato mosso esclusivamente dalla volontà di espiare le sue colpe, oppure si era trattato di gesti genuinamente disinteressati? Per quanto ci pensassi, non riuscivo a venirne a capo.
I giorni si susseguirono inesorabilmente: il tempo non ha pietà degli esseri umani, quando questi vorrebbero che tutto rallentasse e si dilatasse. Compie il suo lavoro con freddezza e metodica precisione, senza perdere un millesimo di secondo.
Non mi feci sentire con Danilo, non ero ancora pronto, e lui rispettò la mia scelta, tenendo fede alla sua parola. Non un singolo messaggio arrivò dal suo numero: in alcuni momenti avevo quasi la sensazione che si sarebbe tradito, che mi avrebbe cercato, irretito da me, da qualsiasi cosa significassi per lui. Quando il cellulare squillò in una serata qualunque, ebbi un fremito, ma era solo un messaggio da parte di mia sorella.
“Ciao Fede! Come stai?”.
“Ciao Chiara! Insomma, abbastanza bene. Tu?”.
“Mamma è preoccupata. Vuole sapere se hai più rivisto quell’uomo”. Mi presi del tempo per rispondere, poi optai per la verità, ma senza approfondire alcunché.
“Sì, solo una volta, ma non l’ho più visto e non lo sento da giorni”.
“E ti sta bene?”.
“L’ho deciso io”.
“Lo sai, Fede… se hai bisogno di parlare, sono sempre qui. La tua sorellona è pronta all’ascolto ogni volta che vuoi!”.
“Grazie Chiara, lo farò” risposi. Ero sincero: non mi andava di tenere nuovamente all’oscuro mia sorella di tutta questa situazione.
Mentre il tempo continuava la sua corsa inarrestabile, un evento del tutto inaspettato turbò notevolmente la mia psiche, un evento in cui precipitai per mia stessa volontà.
Era un weekend particolarmente noioso e piovoso di febbraio. Una strana sensazione di vuoto aveva cominciato a divorarmi dentro: lo avvertivo come un mostro che si nutriva della mia confusione, del mio stesso essere, alimentando le mie pulsioni sessuali. Per placare la bestia, mi iscrissi su un sito di incontri e scelsi anche una foto a metà strada tra il pudico e lo sfacciato del mio culo.
“Cerco maschio per stasera. Disponibile a ospitare”.
Dopo qualche minuto, il cellulare notificò una risposta al mio annuncio.
“Ciao, posso essere io quel maschio?”. La foto ritraeva un uomo sulla cinquantina: aveva barba e capelli brizzolati, il giusto pelo sul petto e un fisico niente male.
“Con piacere” risposi d’istinto e condivisi con lui la mia posizione. Avrebbe potuto essere anche un malintenzionato, un serial killer, un criminale, sebbene il suo candido sorriso trasmetteva sicurezza. Non me ne importava niente: l’impulso sessuale ebbe la meglio sulla ragione, nel disperato tentativo di sfamare quel vuoto che mi stava divorando.
Dopo un’ora, il campanello suonò e andai ad aprire in intimo: non avevo tempo da perdere. L’uomo corrispondeva alla foto del profilo, notai con sollievo: mi sorrise, rendendosi conto della mia accoglienza, ed entrò in casa.
«Sono Franco, piacere» fece lui, tendendomi una mano. Era più o meno della mia stessa altezza. Ricambiai la stretta con poco trasporto e disinteresse: quei convenevoli non solleticavano minimamente il mio interesse. Però captai nella sua pronuncia un marcato accento meridionale.
«Sei del sud?» gli chiesi.
«Sì, sono calabrese. Credo si senta» rispose lui, ridendo.
«Io sono pugliese». Poi mi avventai su di lui, senza pensarci.
Franco, sorpreso dal mio gesto impulsivo, mi disse: «Accidenti! Sei focoso come un vero meridionale» ma lo zittii con un bacio che ricambiò con passione. Mentre le nostre lingue giocavano, cercandosi nei rispettivi cavi orali, Franco portò le mani sul mio culo e lo strizzò. Risposi palpandogli il cazzo e strofinando la mano. Pomiciammo intensamente sul posto per qualche minuto, finché il suo membro non divenne ormai durissimo e pronto a darsi da fare, così lo presi per mano e lo condussi in camera da letto.
Mentre Franco si spogliava, io mi sfilai le mutande e lo attesi lì, a gambe aperte. I suoi occhi rovistarono con desiderio il mio corpo, poi si inserì tra le mie gambe e cominciò a leccarmi tutto il corpo e a mordicchiarmi i capezzoli. Gemetti, facendogli avvertire il mio piacere, e avvolsi le braccia attorno al suo busto, baciandogli il petto. Poi Franco mi prese in mano il cazzo e avvicinò la sua bocca. Chiusi gli occhi: nessun uomo prima mi aveva mai praticato del sesso orale. Fu una esperienza nuova per me: percepii le sue labbra schiudersi sulla mia cappella e cominciò a spompinarmi avidamente, risucchiando i miei tessuti. Inarcai la schiena, affondando il cazzo nella sua gola, ma Franco non si fece trovare impreparato: era palesemente un uomo navigato nel sesso omosessuale, perciò accolse divinamente il mio membro, anzi cominciò a succhiare con più vigore. Leccava l’asta con maestria, passando poi ai coglioni, succhiandoli e stuzzicandoli con la punta della lingua, per tornare a prendere il mio cazzo interamente in bocca.
Prese a dilatarmi il buchetto, umettando la zona con la saliva prodotta dal suo pompino. Inserì due dita nel mio ano e stantuffò con decisione, mentre continuava a leccarmi il cazzo. Quando Franco si staccò, grondavo abbondanti umori. Lo vidi prendere un preservativo dalla tasca del suo giubbotto e indossarlo, facendolo scorrere sul membro eretto. A occhio e croce, doveva avere una dignitosa lunghezza di 18 cm ed era anche piuttosto spesso. Aprii ancora di più le gambe, passandomi una mano sul mio buco pronto ad accoglierlo, mugolando di piacere. Franco, leccandosi le labbra a quella vista paradisiaca, si avventò nuovamente su di me e avvicinò la punta del suo membro al mio buco, iniziando a spingere. Le pareti del mio ano cedettero subito e accolsero la carne calda, mentre l’uomo mi sollevò la gamba sinistra, portandosela sulla spalla. Poi iniziò ad assestare colpi profondi e decisi, penetrando totalmente in me. Io mugolavo dal piacere e sobbalzavo a ogni suo colpo assestato, godendomi la scopata ad occhi chiusi. Franco ci sapeva decisamente fare, scopandomi con decisione e passione, mentre con la mano destra mi solleticava i capezzoli e con la sinistra mi palpava la coscia. Poi, fece scorrere la mano lungo la mia gamba, fino a toccare gentilmente la caviglia con le dita e a giungere al mio piede.
Franco lo annusò: «Hai dei piedi bellissimi» mi disse, gemendo dal piacere. Lo annusò, mentre col bacino aveva il perfetto controllo della sua cavalcata. I coglioni di Franco erano duri e gonfi, potevo sentirli sbattere contro il mio culo.
Mentre continuava ad annusare il mio piede, lo guardavo curiosamente: sembrava davvero preso, al punto che, senza avvertirmi, cominciò a ciucciarmi l’alluce avidamente. Lo lasciai fare, non volevo interrompere la soddisfazione del suo feticismo. Il suo cazzo sembrò farsi ancora più duro e pulsante dentro il mio culo, aumentando la velocità degli affondi. Poi, d’un tratto, allontanò il mio piede e mi girò di spalle, facendomi stendere completamente di pancia sotto.
Franco si posizionò su di me: sentii i peli del suo petto solleticarmi la schiena, mentre riportò il membro a contatto con la rosa del mio ano, facendosi strada all’interno. Riprese a fottermi con vigore e passione: entrambi gemevamo dal piacere, mentre Franco mi portava una mano sulla testa, accarezzandomi i capelli e avvicinando la bocca al mio orecchio. Sentivo i suoi respiri affannosi nel cervello. Il suo cazzo stantuffava il mio ano a ritmo incessante, mentre il mio membro sfregava sul materasso, mosso dai colpi di bacino di Franco. Ero sul punto di venire: chiusi gli occhi, godendomi appieno il momento. Avrei sporcato le lenzuola, ma non me ne curai, la sensazione che provavo era troppo piacevole.
«Sto per venire, cucciolo» lo sentii dire. Ero talmente preso dall’orgasmo imminente, che quel sussurro caldo e profondo accompagnato dall’affettuoso epiteto mi ricordò la voce di Danilo. Mi abbandonai ad esso: era lui che mi stava scopando, che possedeva il mio corpo e stava per scaricare la sua potenza dentro di me, marchiandomi, reclamando la sua proprietà. Il mio cazzo, cullato da questi pensieri, esplose e urlai di piacere: «Sì Danilo, prendimi!». Rivoltai gli occhi e sborrai copiosamente, imbrattandomi il ventre, mentre le contrazioni frenetiche del mio ano portarono all’orgasmo anche lo stallone. Lo sentii grugnire e fare pressione sulla testa e sul culo, mentre godeva come un animale. Tuttavia, l’orgasmo non fu accompagnato dalla consueta sensazione degli schizzi di sborra che inondavano le pareti del mio ano, bloccati dal preservativo. Presi bruscamente contatto con la realtà: non era stato Danilo a scoparmi, ma Franco. Non era stato Danilo a possedermi, ma Franco.
Improvvisamente, avvertii nuovamente il profondo senso di vuoto, a cui si aggiunse una sensazione di inadeguatezza: i miei occhi si fecero umidi, il mio cuore batteva all’impazzata e sentii perdere fiato, mentre Franco si sfilava da me e mi assestava un ultimo ceffone sul culo, soddisfatto.
«Hai un culo fantastico» fece lui, allontanandosi.
Mi girai: lo vidi sfilarsi il preservativo carico del suo seme e chiuderlo in un fazzolettino. Poi cominciò a rivestirsi. Io mi infilai le mutande, mantenendo la testa bassa, e lo riaccompagnai in salotto.
«Posso offrirti qualcosa?» gli chiesi, sforzandomi di mantenere un tono di voce naturale e rilassato.
«No, grazie» mi rispose sorridendomi. «Adesso devo proprio andare, ma è stato bellissimo. Dovremmo proprio rifarlo, non appena sarai di nuovo disponibile». Sorrisi a mia volta in risposta, ma non aggiunsi altro, mentre Franco aprì la porta di ingresso. Poi si fermò, evidentemente pensieroso, e mi chiese: «Chi è Danilo?».
Mi raggelai, ma feci finta di essere sorpreso. «Danilo?» replicai, simulando perfettamente un’aria profondamente interrogativa.
Franco era perplesso: «Non so, mentre venivi hai urlato il nome di Danilo, ma non ci ho fatto molto caso perché stavo per sborrare anche io».
«Non… non so davvero cosa dirti» risposi balbettando e abbozzando un sorriso.
Franco scrollò le spalle, poi mi ripeté: «Spero di rivederti. Buona serata, bellezza» e si chiuse la porta alle spalle.
Mi trascinai verso il divano e mi sedetti, piegando le gambe e portandole al petto: il mostro che avevo tenuto a bada nel mio petto fino a quel momento ruggì, provocandomi una serie di lunghi sospiri profondi. Mi sentivo sporco, vuoto: quella scopata non aveva giovato minimamente al mio spirito; eppure, in cuor mio, sapevo che sarebbe accaduto esattamente questo. Non riuscii a riconoscermi, non era da me comportarmi in quel modo. In un angolino remoto del mio cervello, si faceva strada il senso di colpa. Che strano: a Danilo non dovevo assolutamente nulla ed ero libero di vivere la mia vita come meglio credessi. Ciononostante, quella sensazione era lì, a divorarmi pazientemente i neuroni.
Ci volle qualche minuto per calmarmi: mi passai una mano sugli occhi, che nel frattempo si erano fatti leggermente umidi e sentii il bisogno irrefrenabile di ficcarmi sotto la doccia, per lavare via anche l’ultima cellula di Franco dal mio corpo. Un po’ mi dispiacque per lui: ero già consapevole che non l’avrei mai più chiamato, che sarei sparito nel nulla. Ma, a quanto pare, il sesso usa e getta funziona esattamente così. Finché lo squillo del cellulare non arrestò il flusso dei miei pensieri, proprio mentre mi avviavo verso il bagno.
Spero non sia mia sorella o, peggio ancora, un messaggio di qualche altro infoiato, pensai. Non avevo la testa per pensare a nient’altro che al mio stato d’animo, ma mi ero ripromesso di affidarmi al sostegno di Chiara se ne avessi avuto bisogno, così presi il telefono.
Mi sentii svenire: il mittente del messaggio era Danilo.
“Tra qualche giorno è Carnevale”.
Fui costretto a sedermi sul divano, nonostante stessi tremando e avessi bisogno di riscaldarmi.
Persi la cognizione del tempo: fissavo lo schermo del telefono senza muovere un muscolo, mentre una nuova ondata di pensieri prese il sopravvento. Ero esausto, fisicamente e mentalmente: crebbe in me l’improvviso desiderio di abbandonare tutto e tutti, fuggire su qualche isola sperduta e rifarmi una nuova vita. Per un po’, quel rassicurante pensiero mi cullò dolcemente; poi, la mia parte razionale mi trascinò bruscamente con i piedi per terra, costringendomi a dare un senso a quello che stavo vivendo.
L’unica certezza che avevo di Danilo risiedeva nel fatto che fosse un uomo di parola: una volta presa la sua decisone, niente e nessuno lo avrebbe fatto desistere. Mi aveva promesso di lasciarmi in pace, che avrei potuto decidere in totale libertà, che sarei potuto sparire dalla sua vita, se solo avessi voluto. Eppure, quel messaggio era inconfutabile: i caratteri neri su sfondo bianco avevano tradito le sue intenzioni, ma la palla da giocare era ancora dalla mia parte del campo. Avrei potuto semplicemente ignorarlo, bloccarlo, eliminarlo dalla mia vita con una passata di spugna: sapevo che Danilo fosse consapevole di tutto questo. Quello che non sapevo era se il mio tempo di bilanci fosse stato sufficiente o meno.
«Mi stai rendendo tutto più difficile, bastardo!» urlai in direzione dello schermo, conscio del fatto che non avrebbe mai potuto sentirmi, ma mi permise di allentare un attimo la tensione e di compiere una scelta: la curiosità vinse la sua partita.
“Lo so che tra pochi giorni è Carnevale, ma non capisco cosa tu voglia” scrissi, con le dita che si muovevano febbrilmente sulla tastiera. Il messaggio venne visualizzato immediatamente.
“Approfittare di questo periodo”. Lo odio, pensai: lui e le sue dannatissime mezze frasi ermetiche.
“Non ho tempo di decifrare i tuoi sottintesi. Parla chiaramente o lasciami in pace”.
“Devo stare con te”. Un brivido mi percorse la schiena, mentre nello stesso istante avvertii un fuoco diffondersi dai polmoni e risalire lungo la gola.
“Perché mi hai scritto?”.
“Non avrei dovuto?”.
“Le tue intenzioni mi parevano piuttosto palesi. Ma cosa c’entra tutto questo con il Carnevale?”.
Danilo impiegò una eternità a comporre il messaggio seguente, ma non mossi un muscolo e rimasi impalato su quel divano. La brama di sapere mi faceva sentire come un beduino assetato nel mezzo del deserto.
“In occasione del Carnevale, l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavoro mi ha scelto come rappresentante per presenziare a un importante convegno annuale a Firenze. Ci saranno imprenditori da tutto il mondo: è la nostra occasione per imporci sul mercato”.
“Continuo a non capire come le due cose siano correlate”.
“Per quanti giorni la scuola dove lavori sarà chiusa?”. Ci pensai un attimo, poi risposi:
“Credo quattro giorni… Sì”.
“Accompagnami”.
A quel punto, ero completamente inebetito. Guardavo lo schermo, ma senza vederlo davvero: i miei occhi percepivano una indistinta macchia luminosa sfocata. Poi il panico mi assalì. Danilo attendeva una risposta, perciò cercai di essere il più sincero possibile, manifestando le mie preoccupazioni.
“Io… non credo che sia una buona idea”.
“Non ho pensato a nessun’altra persona all’infuori di te, Federico. Vieni con me”.
“Non… non posso. Ho delle lezioni da preparare, verifiche da correggere…”.
“I miei incontri si terranno di pomeriggio. Avrai del tempo per dedicarti al tuo lavoro in santa pace”.
Pian piano stava smontando le mie difese, i miei alibi, sbattendomi in faccia una fredda logica risolutiva. Ero terribilmente combattuto, temevo di non capirci più nulla, di rimanere imbrigliato in una rete dalla quale non avrei mai potuto liberarmi. Poi, arrivò la stoccata finale:
“Che tu venga o meno, ho prenotato una camera matrimoniale ed è già tutto spesato. Se dovessi venire, ma non te la sentissi di avermi vicino, c’è un divano letto sul quale potrò dormire. Deciderai tu, qualsiasi cosa”.
“Danilo, non lo so…” digitai con estrema lentezza, ma i miei muri erano prossimi al crollo definitivo.
“Ti prego, Federico”.
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