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Danilo e Federico - Parte I: Prologo (1)


di vgvg91
13.01.2022    |    10.177    |    10 9.9
"Questa volta fui io a raggelare sul posto e, a giudicare dal silenzio di tomba alle mie spalle, la medesima cosa era accaduta all'uomo..."
*PREMESSA*
Salve lettori, forse alcuni di voi ricorderanno questa storia a episodi che pubblicai un anno fa con il nickname di alex_gerv (utilizzavo uno pseudonimo per timidezza). Non ho trascorso un periodo particolarmente felice, ma mi sono reso conto che cancellando l'account venivano eliminati anche i racconti. Dal momento che sto pensando di scrivere un prosieguo della storia, ho pensato di ripubblicare la storia così come l'avevate già apprezzata. Se vorrete tornare a seguirmi, ne sarei molto felice!


Fu così che tutto ebbe inizio. A Milano pioveva. Era una di quelle classiche serate settembrine in cui sembrava che il cielo dovesse ripagare la terra per aver patito una tremenda siccità che si era prolungata ormai per troppe settimane.
Messo piede a Malpensa, riuscii a mettere un piede dietro l'altro e ad affrontare la tormenta sostenuto dal pensiero del letto d'hotel che mi attendeva per riposare le mie stanche membra dopo l'interminabile viaggio.
Ero un giovane e curioso meridionale trapiantato per cause di forza maggiore in quella terra nordica: di lì a due giorni avrei dovuto affrontare il concorso pubblico per sperare di ottenere una cattedra di ruolo come docente di lettere. Avevo appena 27 anni e tutta la vita davanti, ma non avrei potuto rinunciare a una simile opportunità. Avevo scelto la provincia di Milano per le più floride occasioni di lavoro, costretto a lasciare il mio amato Sud per mancanza di cattedre disponibili.
Ma, in quel preciso momento, tutte le mie angosce che mi avevano accompagnato nelle settimane precedenti lasciarono largo alla brama di un bel bagno caldo e di sprofondare nelle morbide lenzuola. Non avevo scelto un hotel di alte pretese, mi sarei fermato lì solo per pochi giorni; ma nemmeno l'idea di trascorrere il mio soggiorno in una catapecchia mi allettava, così avevo optato per una sistemazione dignitosa.
L'ombrello tascabile che mi riparava dal torrente che proveniva dall'alto era sul punto di cedere quando, finalmente, varcai la soglia della struttura. La calda luce dell'atrio mi avvolse e mi trasmise immediatamente serenità, mentre il portone che si chiudeva alle mie spalle attutiva di colpo il fracasso provocato dalla pioggia battente. Presi un profondo respiro e mi strinsi infreddolito nelle spalle, mentre mi avvicinai alla reception.
Il concierge, un uomo attempato di mezza età dai modi raffinati, con estrema cortesia mi rivolse la sua attenzione. Quasi non feci nessun caso al portone che si apriva e si richiudeva alle mie spalle, talmente ero sfinito.
«Salve, ho prenotato a nome Verucchio una camera doppia per tre notti». Pur essendo solo, mi piaceva avere a disposizione un altro letto dove poggiare tutti i miei effetti personali. L'esperienza mi aveva insegnato che non tutti gli hotel presentavano sufficienti piani di appoggio e detestavo utilizzare, nel peggiore dei casi il pavimento.
«Il signor Federico Verucchio, suppongo» confermò con grazia il concierge.
«Esatto» risposi io, abbozzando un sorriso.
«Scusi per il ritardo, sarei dovuto essere qui nel pomeriggio» esordì una voce alle mie spalle. Mi voltai in direzione del proprietario, rapito dal tono estremamente profondo e caldo, e notai un uomo che si era evidentemente riparato dalla pioggia sotto il suo soprabito e che portava ancora sulla testa. Era leggermente rannicchiato, ma già così mi pareggiava in altezza.
Il concierge levò il capo dal monitor del computer, intento a sbrigare il mio check in e si rivolse con il suo impeccabile garbo all'uomo che si trovava alle mie spalle. Mi voltai verso il concierge, ma scorsi sul suo viso l'ombra di una leggera impreparazione.
«Lei è il signor...?».
«Rinaldi, Danilo Rinaldi. Ripeto, sarei dovuto arrivare nel primo pomeriggio, ma ho avuto un contrattempo improrogabile».
La sua voce incredibilmente profonda mi costrinse a girarmi nuovamente nella sua direzione, ma qualcosa ai miei occhi era cambiato. L'uomo si era tolto il soprabito dalla cima della testa ed era in posizione eretta, mentre cercava di sistemare meglio che poteva i capelli castano chiaro passandoci le dita.
Io ero alto 1,78 metri, un'altezza leggermente superiore alla media nazionale, ma per poter incrociare i suoi occhi cerulei dovetti comunque sollevare lo sguardo. A occhio e croce doveva superare il metro e novanta.
Il concierge si schiarì la voce e in evidente difficoltà disse: «Si... Signor Rinaldi, se non erro lei era atteso nel nostro hotel solo fra tre giorni. È così?».
L'uomo smise immediatamente di arruffarsi i capelli e sgranò gli occhi in direzione del suo interlocutore. Io, che mi trovavo in mezzo, spostavo rapidamente lo sguardo tra loro due.
«No, deve esserci un errore» replicò lui. «Mi faccia controllare sulla mia agenda». Dalla tasca interna del soprabito estrasse un piccolo tablet, che consultò velocemente.
«Ecco, può guardare lei stesso. Ho registrato la prenotazione in hotel il 25 settembre, e anche la vostra mail di conferma riporta la stessa data». La prova era inconfutabile, al punto che il concierge raggelò sul posto.
«Controllo sul mio sistema, mi dia qualche secondo». Gli occhi del concierge si muovevano talmente in fretta da risultare sfocati. Alla fine, deglutendo vistosamente, sollevò lo sguardo e, dettaglio che inizialmente reputai strano, parlò guardando anche me. Di rimando, sostenni lo sguardo con una punta di preoccupazione.
«Signor Rinaldi, ha perfettamente ragione. È un errore umano di cui ahimè sono io il responsabile. Normalmente, questo disguido non rappresenterebbe un problema per la nostra struttura. Tuttavia...» e qui posò il suo sguardo su di me, «ci troviamo nella condizione di non disporre altre camere per il soggiorno di entrambi voi clienti».
Questa volta fui io a raggelare sul posto e, a giudicare dal silenzio di tomba alle mie spalle, la medesima cosa era accaduta all'uomo.
«Senta» replicò, prima che potessi prendere parola io stesso, «mi fermerò qui solo per una notte. Non è proprio possibile trovare una soluzione? Sa quanto è difficile trovare alloggio a Milano senza preavviso?». I suoi occhi esprimevano supplica ma, a tratti, anche nervosismo.
Il concierge sospirò: «Purtroppo no, siamo al completo. O meglio, quasi al completo. Stavo giusto per ultimare il check in del signor Verucchio qui presente» e mi indicò con un cenno del capo, gesto che mi provocò istantaneo imbarazzo.
«Si dà il caso che il signor Verucchio abbia prenotato una camera doppia. Ora, la mia è solo una umile e discreta proposta, ma il signore potrebbe essere a tal punto accomodante e venire incontro alle esigenze di tutti condividendo la stanza con lei».
Cominciai a sudare freddo. Non mi era mai capitata una situazione del genere.
«Da parte nostra, ci assumiamo la totale responsabilità dell'increscioso inconveniente rimborsandovi completamente il prezzo del soggiorno», continuò il concierge al mio indirizzo.
Mi sentivo gli occhi dei presenti addosso e la mia pressione aumentò a dismisura. Chiedevo soltanto di trascorrere un soggiorno quanto più possibile tranquillo in vista del concorso ed ora mi ritrovavo in questa situazione inconcepibile. D'altro canto, l'offerta del soggiorno pienamente spesato era assai allettante.
Feci un profondo respiro e mi voltai verso l'uomo, sfoderando un tremendo sorriso di circostanza. «Non posso di certo permettere che passi la notte sotto qualche ponte, perlopiù con questo tempaccio. Va bene, credo che non ci siano problemi».
L'uomo mi rivolse lo sguardo per la prima volta: aveva una espressione dura, ma che si sciolse giusto il tempo per ringraziarmi sommessamente.
Alzai una mano per trasmettere l'idea di non darsi pena, ma non proferii parola.
«La ringrazio infinitamente anche a nome della nostra struttura, signor Verucchio. Ora lasciate a me i dettagli del vostro soggiorno. Vi offriremo anche la miglior colazione del nostro hotel». Il concierge batté le mani e il facchino si materializzò accanto a noi, chiedendoci di consegnare a lui i nostri bagagli.
Con una strana stretta alla gola, mi incamminai seguendo il facchino che ci scortò nella mia, anzi ormai nostra, camera.
Il locale corrispondeva alle foto visionate sul sito. Almeno questo, pensai.
Era spaziosa e con ampie vetrate. Il facchino ci mostrò i letti, l'armadio e i bagni e si premurò di chiamare immediatamente la reception per qualsiasi problema, prima di chiudere la porta alle sue spalle. Calò il silenzio e, con esso, una spessa coltre di disagio.
«Ehm...» mi schiarii la voce, «allora, preferisce un letto in particolare?».
L'uomo, che fino ad allora era rimasto impalato accanto alla finestra, scosse le spalle e disse: «Non ha importanza».
«D'accordo» feci io, parlando a fatica. «Allora mi sistemo su questo letto accanto al bagno. Sa, sono abituato così».
«Figurati» rispose di rimando lui, poggiando la valigia sul letto accanto alla finestra.
Sollevai le sopracciglia. Finora gli avevo dato del lei, per essere cortese. Invece lui non si era fatto problemi a rivolgersi a me con quel tono.
Mentre cominciava a disfare la sua valigia, notai che trasportava parecchie cose per un viaggio di una sola notte. Ma non mi interessava indagare. Volevo solo che quella giornata da incubo terminasse al più presto. Mi voltai e cominciai a sistemare la mia zona. Ero già spazientito dal non avere sufficienti piani d'appoggio, quando l'uomo con la sua voce calda e profonda si rivolse a me: «Se non ti dispiace, andrei a fare la doccia per primo. Voglio mettermi a letto il prima possibile».
Cosa avrei potuto rispondere? A me non recava nessun problema, ma mi provocò un leggero fastidio il suo tono che quasi sembrava non ammettere repliche. Sfoderai uno dei miei soliti sorrisi di circostanza e, girandomi verso di lui, risposi: «Non c'è alcun problema, prego» e tornai alle mie occupazioni.
Nel giro di pochi istanti, raccolse il suo beauty e sparì nel bagno.
Non mi ha nemmeno ringraziato, notai con disappunto. Poggiai la testa sul cuscino, per dare un attimo pace alle mie membra.
Dopo una ventina di minuti, sentii la porta scattare e mi rimisi seduto sul letto, pronto per prendere il cambio in bagno. Una nuvola di vapore schizzò dolcemente fuori dal locale ed ero sul punto di alzarmi, ma ciò che vidi mi fece irrigidire sul posto.
L'uomo uscì dal bagno con indosso esclusivamente l'asciugamano bianco fornito dall'hotel attorno alla vita. Non solo era alto, ma aveva un fisico possente. I muscoli non erano troppo definiti, ma assai estesi. Il petto era prorompente e ricoperto da una ordinata peluria castana. Le braccia potevano essere grandi quanto le mie gambe, mentre le sue erano particolarmente tornite. Dalla folta barba castano chiaro erano ancora appese qua e là gocce d'acqua. A occhio e croce, l'uomo doveva essere nei suoi trent'anni inoltrati.
Il mio sguardo catturò fugacemente tutti questi dettagli mentre arrossii violentemente. Conscio di ciò, abbassai il viso prima che potesse accorgersi di qualcosa, mentre avanzava a passi decisi verso il suo letto.
Per tutta risposta, mi fiondai nel bagno alla velocità della luce e chiusi la porta alle mie spalle, tirando un lungo respiro.
Non riuscivo a spiegarmi il motivo di tale imbarazzo. Avevo sempre viaggiato con altri uomini nel corso della mia vita, amici o colleghi, ma quella visione smosse qualcosa dentro di me.
Ho bisogno immediatamente di una doccia, pensai. Aprii il getto d'acqua del soffione e mi godetti il bagno più del necessario. Stranamente stavo cercando di trattenermi quanto più possibile, ma non avrei di certo potuto passare la notte lì dentro. Chiusi l'acqua, uscii dalla doccia e con un colpo di mano tolsi l'umidità dallo specchio. Vidi la mia immagine: ero devastato dal viaggio, i miei occhi castani imploravano riposo. Mi asciugai col fon capelli e barba e indossai il pigiama leggero che avevo con me. Poi, esitando, aprii la porta e tornai in camera, che era in penombra. La luce del mio comodino era accesa, mentre quella del mio coinquilino era spenta. Sembrava già addormentato in un sonno profondo, con le braccia portate sopra la testa e il petto nudo che si alzava e abbassava a ritmo costante. Le gambe erano leggermente divaricate, al punto da occupare tutto lo spazio disponibile. Fortunatamente l'uomo non russava.
L'asciugamano che poco prima portava attorno alla vita giaceva ai piedi del letto, con un lembo riverso lungo uno dei bordi.
Spero che porti almeno le mutande, pensai. Ora mi metto a letto e dimentichiamo questi strani eventi. Mi girai sul fianco destro, dando le spalle all'uomo e spensi la luce.
Temevo che il sonno non sarebbe mai arrivato, teso com'ero, ma la stanchezza alla fine prese il sopravvento e sprofondai tra le braccia di Morfeo.
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