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Lui & Lei

La commessa


di Eulalia
07.06.2023    |    13.622    |    16 9.9
"Mi morde il collo mentre sbottona la camicetta, le spalline abbassate del reggiseno hanno liberato i capezzoli irti “Allora, conta! Voglio sentire la tua..."
Mezz‘ora alla chiusura.
La titolare mi saluta: “Ricordati di appendere le giacche in ordine di taglia!”
“Sarà fatto” le rispondo.
Appena esce, mi guardo allo specchio. Ripasso il rossetto, apro ancora un bottone della camicetta, che si intravveda il reggiseno, mi sistemo il reggicalze sotto alla gonna aderente.
Oggi non ho tempo di tornare a casa, appena chiudo vado per aperitivo. Sento che è la sera giusta, mi vedo già appollaiata sullo sgabello al bar, un bel tipo che si avvicina e chissà. Magari?
Le mie amiche mi dicono di aspettare, che sono single da soli due mesi, che non è ancora il caso di mettersi alla caccia di un uomo. Mi sembra che a loro sfugga che non voglio una relazione, voglio divertirmi. Ho passato due mesi senza scopare, sono sana, fresca come una rosa e la morigeratezza non mi si addice. Ma loro no, il maschio lo vedono come partner, non come oggetto sessuale per il loro piacere.
Sento la porta del negozio che si apre, avrà dimenticato qualcosa la titolare e mi affretto verso le giacche per sistemarle.
Sbircio per vedere chi è.
Il classico cliente che arriva un attimo prima della chiusura del negozio.
Un uomo sui quaranta, alto, vestito sportivo che studia le camicie. Speriamo che si spicci altrimenti il mio programma va in fumo.
Sceglie una camicia azzurro pallido, si rivolge alle cravatte e ne prende una bordeaux. Un classico.
Si guarda attorno smarrito con le sue cose, lo raggiungo col solito sorriso da commessa.
“Buona sera, posso aiutarla? Serve altro?”
“Si, grazie. Avete un completo blu, per favore?”
Ha una voce profonda che sale e scende per la mia spina dorsale, deve essere l’astinenza a rendermi così sensibile.
“Una cinquanta o cinquantadue?”
“Pantaloni 48 e giacca 52, sa le spalle…”
Le avevo notate anch’io le spalle larghe.
Mi do una mossa. Non so perché sono leggermente imbarazzata. Prendo pantaloni e giacca e glieli porto.
“Dov’è il camerino?”
Mi ammazza con un sorriso che quasi mi dimentico che fra un quarto d’ora devo chiudere cassa e negozio.
“Qui a destra, però fra poco chiudiamo.”
“Non si preoccupi, se mi da una mano, sarà una cosa veloce”
Qualcosa nel suo tono mi mette all’erta, ma vedo uno sguardo tranquillo.
Si infila nel camerino e io alla cassa inizio a contare i soldi per la chiusura.
“Mi scusi” mi chiama “avrebbe anche una cintura come si deve?”
Vado a prendere la e gliela passo dalla fessura della tenda e gli chiedo “Pensa di pagare in contanti o carta? Così mentre lei fa le prove posso iniziare a chiudere cassa.”
“Carta” risponde in mezzo al tramestio.
Mi sarebbe piaciuto dare un’occhiata al tipo, tanto per vedere se anche il resto non era male. Potrei, ma non voglio far la figura dell’allupata. Tornando alla cassa, do un’occhiata allo specchio per controllare se sono a posto. Mi giro di profilo, controllo che la gonna aderisca bene così che un occhio attento intuisca il reggicalze. Spero che la voglia di cazzo non mi si legga in faccia.
“Scusi ancora, signora.” sporge con la testa da dietro la tenda. Mica avrà visto le mie manovre?
“Dica.”
“Mi è successa una cosa imbarazzante, la cerniera si è impigliata nella camicia e non riesco a liberarmi.”
Cretino!
Apre del tutto la tenda e me lo trovo davanti con la camicia sbottonata, la cerniera incastrata a metà e lo sguardo furbo.
Mi manca il fiato tanto è sexy messo così.
Quasi, quasi rinuncio all’aperitivo e rimango in negozio.
In piedi davanti a lui con un blando “permetta” metto mano alla cerniera, tiro qualche strattone fissandolo negli occhi, poi un po’ di struscio sul pacco accompagnato da qualche mi scusi.
Niente da fare è proprio bloccata.
“Permetta” ripeto e mi abbasso a gamba tesa per controllare bene dove sia l’inghippo e spero che lui ammiri il mio culo riflesso nello specchio. La gonna mi risale un tantino, ma non so se già si vede il reggicalze.
Quello che so è che questo cliente profuma di buono, mi fa sangue e la mia fica conferma inumidendosi.
Mentre mi accovaccio sui tacchi per studiare bene la situazione, penso al mio triste destino. Potrei fare un pompino meraviglioso in questo momento, leccare la cappella pregustando il resto.
Invece no, mi tocca essere professionale, anche perché una donna che fa avances passa sempre per la zoccola di turno, che in questo momento corrisponde alla realtà fra le mie cosce.
Poi magari è sposato e fedele o gay o addirittura non gli piaccio.
Ma, sorpresa, gli piaccio. Al prossimo tentativo sento il pacco duro, e disgrazie delle disgrazie, riesco anche a liberare la cerniera. Non ho più pretesti per rimestare nei suoi pantaloni.
“Ecco fatto.”
Ha lo sguardo dispiaciuto o sbaglio?
“Grazie, mi cambio” risponde
Rientra nel camerino, io do un giro di chiave al negozio per non fare entrare altri clienti e aspetto che mi passi gli abiti per battere cassa.
Non succede nulla, silenzio nel camerino.
“Ha bisogno? Tutto a posto?”
“Non riesco a fare il nodo della cravatta, mi darebbe una mano?”
Altroché mano gli darei, lo rivolterei come un calzino. Cammino apposta lentamente per regolare il respiro che mi si è accorciato un poco ad immaginarmi quello che si può far lì dentro.
Scosta la tenda, e invece di uscire mi fa entrare.
Se ne sta lì in piedi la cravatta allungata sul petto e mi fissa.
Prendo i due lembi ed inizio ad annodare, lui avvicina il capo, annusa:” Potrei sbagliarmi, ma sento odore di sesso.”
Mi paralizzo a metà nodo, ci fissiamo negli occhi e mi bacia senza toccarmi.
Un bacio che è come scoparmi, la lingua che segue i contorni delle mie labbra lasciandomi a bocca aperta, le sue labbra che succhiano la mia lingua, i denti mi mordicchiano. Sembra un burattinaio, il mio corpo risponde ad ogni stimolo, ogni cellula vuole essere coinvolta, la temperatura in cabina è rovente, ma io non sono bagnata di sudore.
Le labbra si staccano, rimaniamo fronte a fronte.
Le sue mani alzano la gonna, accarezzano il pizzo delle calze, lo superano e trovano pelle calda interrotta dal reggicalze, seguita dalla striscia di stoffa della brasiliana che taglia il mio fianco. La aggancia, ci gioca, si ferma.
Ho il cuore a mille, la pelle d’oca ovunque e una voglia di cazzo come non mai.
“Se tu non avessi chiuso il negozio, avrei avuto dei dubbi, ma così non mi è rimasto altro che provarci.”
Dovrei rispondere, dire qualcosa. Non posso dire scopami per salvare quel minimo di dignità che ancora ho, ma non voglio nemmeno oppormi, per il semplice fatto che non riuscirei.
Quindi me ne sto lì ferma, con la gonna quasi in vita e lui che cala le brasiliane con una lentezza devastante.
Sento ogni centimetro di pelle, viva e pronta per essere strapazzata.
“Mi piace il culo incorniciato da un po’di tessuto, un culo splendido.”
Un rivolo di bagnato mi scende all’interno coscia. Non capisco bene cosa succeda. Certo, è un bell’uomo prestante e anche il cazzo non sembrava male. Ma non è quello che mi sta facendo sciogliere, è l’atteggiamento che ha: come se gli spettasse la mia eccitazione, la mia fica, il mio corpo, tutto.
“Capisco, la sorpresa, che sia inaspettato, ma non hai niente da dire.”
No, proprio niente. Il fatto che mi prema contro il suo cazzo duro accorcia il mio respiro, e che per farlo mi impasti le chiappe peggiora la situazione. Sono paralizzata dall’aspettativa, ho il cervello in pappa che cerca di farmi muovere, di palparlo a mia volta, baciarlo, dirgli qualcosa che non mi faccia stare qui a culo nudo sul punto di esplodere dalla voglia.
“Devo fare cassa. Chiudere il negozio.” Ma quanto sono cretina! Cosa mi è venuto in mente di dire!
“Giusto, hai ragione. Prima il lavoro.”
Per mano mi porta alla cassa, se ne frega se dalle vetrine mi possono vedere in queste condizioni. La brasiliana dalla coscia scivola all’altezza delle ginocchia.
Davanti alla cassa mi ordina di contare il denaro, mentre da dietro mi strizza le tette.
“Forza, fai quello che devi fare.”
Prendo una mazzetta da dieci e sfoglio le banconote. Mi morde il collo mentre sbottona la camicetta, le spalline abbassate del reggiseno hanno liberato i capezzoli irti
“Allora, conta! Voglio sentire la tua voce oltre alla tua fica fradicia”
Con voce rotta inizio “Dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, quaranta.”
“Hai sbagliato. Riinizia da capo.”
Le dita che rimestano nella mia fessura non aiutano. Riprendo a contare, sbaglio di nuovo. Ricomincio da capo e mi mette la sua mano in bocca
“Senti che buona che sei.”
Le succhio come se fossero quel cazzo che mi preme sulla fica, quella cappella che inesorabile e rovente mi sta aprendo.
“Conta, troia”
Dico numeri a caso, gli ultimi li grido in questo orgasmo devastante.
“Scendi, da brava, che non vogliamo sporcare niente.”
Senza capire bene come, sono in ginocchio con questa nerchia che sa di me, che entra ed esce dalla mia bocca. Lo sento che arriva, ha una tale pressione che per un momento mi sfugge di bocca. Ma poi schizza caldo e copioso, scende in gola come miele peccaminoso. Succhio, lecco e gli restituisco il cazzo lustro.
Mi pare non ci sia traccia del nostro peccato, tranne il mio rossetto sbavato.
Batto cassa facendo attenzione a non sbagliare, imbusto tutto quello che ha acquistato, prendo la carta di credito. La passo senza alzare gli occhi e di fianco alla macchinetta scorgo uno schizzo di sperma. Istintivamente lo raccolgo col dito, come fosse marmellata, e lo lecco. Controllo bene che non ci siano altre macchie, mentre succhio l’indice.
I nostri sguardi si incrociano per un istante e mi pare di essere bellissima e attraente come non mai.
Siamo in perfetto silenzio da quando ci siamo ricomposti. Mi sento imbarazzata, è la prima volta che mi capita una cosa del genere, e mi è piaciuto da matti.
Paga e se ne va.
Mentre mi ripasso il rossetto penso che mi dispiace, che ne avrei preso volentieri ancora un po’, che avrei voluto farmi scopare ancora. Andrò a bere l’aperitivo lo stesso, perché se devo essere sincera non mi è bastato e mi è salita una certa malinconia.
Finalmente tiro giù la saracinesca.
“Posso invitarti a bere qualcosa?” è lui “Mi chiamo Mario” e mi strizza l’occhio.
“Si, grazie. Io mi chiamo Carla”
Mentre ci avviamo, mi abbraccia per i fianchi e la sua mano trova subito la via per la pelle nuda sotto alla camicetta.
“Conosco un posto adatto a quelli come noi: casa mia.”
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