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La direttrice figa di legno


di Eulalia
21.03.2023    |    13.976    |    19 10.0
"Questo energumeno le preme la testa sul suo cazzo e con forte accento straniero le dice: “Succhia puttana, che devi salutare anche il tuo amico!”..."
Ad ogni colpo di tacco che rimbomba nel corridoio, il cazzo si tende.
È la direttrice che sta per entrare in sala.
Quando varca la soglia, io ho l’uccello in gola e lei l’attenzione di tutto il nostro pubblico.
Mi raggiunge al tavolo dei relatori, deposita la sua cartella dei documenti, si liscia la gonna e io seguo perfettamente la forma del suo culo mentre si siede. Saluta i colleghi a sinistra, il pubblico davanti e a me dedica un cenno col capo.
Partiamo con la presentazione semestrale dei dati.
Mi alzo, dico due parole introduttive in qualità di presidente della cooperativa, le solite cose sull’agricoltura, le tendenze, novità legislative, vedo che i nostri soci, tutti agricoltori come me, mi seguono con attenzione.
La faccio breve, perché so che loro vogliono sentire l’infinita serie di numeri della direttrice.
Lei prende la parola, si alza, inizia ad illustrare dati, si infervora. Io la guardo e mi immagino cosa potrebbe dire mentre le sfondo il culo con un colpo solo tirandola per i capelli. Socchiudo gli occhi e provo a mandarle un messaggio telepatico che esprima tutta la mia voglia di bombarla.
E invece no, tanto è bella quanto antipatica. È la classica figa di legno che non si rende conto che non si devono provocare gli uomini, se poi non si ha intenzione di darla.
Lei è stata così fin dal principio.
Il colloquio per la selezione gliel’ho fatto io. Avevamo tre candidati, e alla fine abbiamo scelto lei perché ci pareva avesse più polso degli altri. Il punto che oltre al polso aveva anche due tette che dimostravano l’esistenza di un’entità superiore molto benevola; tesi sostenuta anche dalle sue labbra fatte per circondare una cappella, la mia in particolare.
Infine, è toccato a me introdurla ai suoi compiti, a quelli che erano gli interessi della cooperativa. L’ho anche portata a visitare le coltivazioni, le attrezzatture e la produzione, in maniera tale che si facesse un quadro più completo. Tutto in lei mi diceva che doveva essere una gran porca, di quelle che il cazzo lo esige o lo prosciuga a modo suo, di quelle zoccole mai sazie.
In tutto questo, gli altri soci l’hanno subito informata delle mie caratteristiche di esperto cacciatore di gonnelle, del fatto che non me ne facessi sfuggire una lasciandomi alle spalle una scia di donne disperate. Tutto falso: alle spalle ho una scia di donne soddisfatte, tranne la mia ex moglie.
Da quel momento non si è nemmeno più fermata da sola nella stessa stanza con me, manco fossi satana in persona, oltre al fatto che quando mi rivolgeva la parola, sembrava che dovesse disinfettarsi la bocca subito dopo.
Però, c’erano anche diversi però. Certi sguardi, certi accavallamenti di gambe del tutto superflui. È anche vero che mi sono sempre impegnato a sfiorarla ogni volta che le passavo vicino. A farle gran complimenti sulla sua professionalità, ma sempre con quel sottotono che qualsiasi femmina riconosce. E lei era davvero una gran femmina, c’era solo da spezzare lo sbarramento.
Così per me è diventata una questione di principio e ormai da mesi sto aspettando l’occasione giusta per spezzare la sua volontà e riempirla di cazzo.
Non so perché, ma sento che oggi potrebbe essere la giornata giusta, sarà che stasera c’è la cena sociale e io voglio affondare il mio colpo.
Finita la relazione, grandi applausi entusiastici del nostro pubblico, la sala si vuota fra i vari ciao ci vediamo stasera. E io ne approfitto mentre mette via i documenti nella sua cartella.
“Ottima relazione come sempre, chiara e sintetica, alla portata dei nostri soci.”
Mi lancia un grazie senza nemmeno voltarsi nella migliore interpretazione dell’indifferenza. Indifferenza che mi prende per i coglioni facendomi desiderare di sbatterla seduta stante.
Le soffio ancora un “Ci vediamo stasera: sarò seduto accanto a te”
Mi posso sbagliare, ma ho percepito una lieve increspatura sulla sua pelle.

Sono già al tavolo quando lei arriva. Tacchi vertiginosi sotto a un abito che non lascia nulla all’immaginazione, ma solo dubbi: la biancheria intima ce l’avrà?
Mi alzo come un uomo d’altri tempi, scosto la sedia per farla accomodare e accompagno il suo movimento con una mano leggerissima sulla schiena. Una certezza: il reggiseno non c’è e tutto questo bendidio guarda al cielo alla faccia della forza di gravità.
Appena seduti mi ignora con eleganza e si dedica agli altri commensali.
“Gradisci del vino?” cerco la conversazione
Si rivolge a me con un sorrisino acido “Si, grazie. Quello che non gradisco è che si verifichi se ho il reggiseno oppure no.”
Attacco frontale di primo grado, sono basito, ma mi riprendo subito.
“Qualcuno si è permesso di sbirciare nella tua scollatura? Ma come si può anche solo suppore che una signora come te giri senza. Perché ce l’hai, vero?”
Abbiamo i bicchieri in mano e le propongo un brindisi. Ho come la sensazione che stasera la direttrice mi mostrerà la sua vera natura.
Lei si inclina verso di me e mi sussurra con un sorriso smagliante
“Senti stronzetto, ti ho evitato per tutti questi mesi, e vorrei continuare così. Sono una professionista del settore, quindi stammi alla larga.”
I nostri bicchieri si toccano e per me la caccia è aperta. Mi ha lanciato il guanto di sfida e finalmente capisco di non essere io il problema, ma il lavoro, la sua credibilità. È una cosa che capisco. Il mio cazzo no però.
Tocca a me spostarmi verso di lei e indicando con un vago gesto della mano tutta la sala con gli ospiti le dico “Non è mai stata mia intenzione molestarti in ufficio.”
Prende atto, e si dedica al secondo di pesce.
Nel frattempo, le persone in sala si divertono, da cena elegante stiamo piano piano scivolando verso la festa di paese. Compare l’orchestra e alcune coppie iniziano a ballare prima del dolce.
Lei chiacchiera, saluta, dà consigli, risponde a domande, il tutto muovendo quel corpo flessuoso con tale naturalezza che vorrei anche solo appoggiare le mie mani per sentire il gioco dei muscoli sotto il tessuto.
Occasionalmente si sfiorano le nostre braccia, le nostre cosce e vorrei ripiegarmi su di lei con tutto me stesso.
La invitano a ballare e lei ci sta. Non l’avrei mai immaginata donna da valzer e mazurca. Mi metto in fila anch’io e mi tocca un tango. Non sono un grande ballerino, ma un maestro nel far aderire le donne a me.
Lei mi lascia fare e si struscia addosso in maniera provocante, fregandosene della mia erezione, delle mie mani che faticano a restare al posto loro.
“Dicevi?” mi chiede lo sguardo fermo nei miei occhi e i capezzoli duri he si strofinano sul mio torace. La bocca a portata di lingua, il profumo che mi dà alla testa.
“Che non ti volevo molestare in ambito professionale.”
“Ma?”
Non ho capito bene questo scambio di ruoli, mi sta interrogando senza alcun pudore mentre allaccia le sue gambe alle mie, mentre la sua schiena scivola sotto alle mie mani. Non so come ha preso il sopravvento e questa cosa mi arrapa ancora di più. Sono a un passo dallo stracciarle l’abito in pista.
Si gira di scatto, seguendo la musica appoggia il suo culo al mio cazzo ormai marmoreo, accompagna la mia mano sul suo ventre, e si muove. Mi sta scopando attraverso i vestiti, la troia.
“Concentrati, non perdere il ritmo, e rispondi al mio ma.”
Le dico la verità sul collo, perché ormai mi ha in pugno, altro che figa di legno. Non ho mai sbagliato così tanto in vita mia, questa sa cosa vuole e anche come.
La mia verità “Vorrei solo scoparti fino allo sfinimento.”
Questa volta non è un’increspatura, bensì un accenno di schiena inarcata talmente aderente che rischio di perdere il lume della ragione.
Questo tango sta durando troppo a lungo, lei si rigira e mi molla in pista
“Scusa, ho caldo, vado in terrazza.”
Ipnotizzato dal suo culo ondeggiante, la seguo come un barboncino al guinzaglio.
L’aria fresca mi schiarisce le idee, la vedo in piedi nello spazio più nascosto di questa terrazza. Guarda il cielo stellato.
In un istante sono alle sue spalle. Non ci sono parole, ci siamo capiti. Le mordo il collo e mi riempio le mani dei suoi seni. Mi premia con un profondo sospiro pieno di aspettativa.
Credo non ci sia spazio per preliminari, per le gentilezze, per le carezze. Le alzo il vestito e la mia mano finisce sul suo sesso caldo, nudo e bagnato.
Mi sfugge: “Che zoccola, proprio senza intimo.”
Con le mani dietro alla schiena mi slaccia con urgenza la cintura e i pantaloni.
“La biancheria va sempre en pendant.” risponde roca e si china offrendosi.
Le tronco il respiro infilandole il mio cazzo nella fica, e la tengo ferma.
“È questo che vuoi?”
Il suo sì si trasforma in un gemito, motore dei miei affondi sempre più frenetici. La fotto come un animale.
La sento, sento il suo cuore a mille, la sua tensione che sale, la testa che si reclina indietro, le mani aggrappate alla balaustra. Quando rantola il suo orgasmo sono perso e la riempio senza risparmiarmi.
Come può una sveltina contenere tutto questo piacere esplosivo?
Non mi basta, ne voglio ancora.
La tengo stretta e glielo dico.
“Non basta nemmeno a me”
Suona come una promessa, la lascio andare.
Rientriamo in sala, la direttrice e il presidente, insospettabilmente nei nostri ruoli.
Lei si ritrova con un bicchiere in mano.
“Se ne bevo ancora un sorso, non sarò in grado di guidare.”
“Non c’è problema ti riaccompagno io”
Svuota il bicchiere fissandomi, ho già le chiavi in mano, pronto a darle tutto il cazzo di cui necessita.
Si avvia all’uscita lanciandomi un “Andiamo.” dal sapore molto deciso.

L’abitacolo della macchina si riempie subito dell’odore di sesso.
Guido con un paio di dita nella sua fica grato di avere il cambio automatico. Lei fra un sospiro e l’altro, mi dà le indicazioni.
Vado piano, fatico a concentrarmi con la sua mano bagnata di saliva che mi lavora la cappella.
“Accosta qui.”
Sono sorpreso, non mi aspettavo di fare sesso in macchina in un parcheggio di camionisti.
Lei si mette a cavalcioni, si impala sul mio cazzo mettendomi le tette in bocca.
“Quanto troia può essere una donna per mandarti fuori di testa?”
Lasciandomi sfuggire un capezzolo le rispondo con “Tanto, tanto”, ormai sono completamente stordito.
“Allora seguimi.”
Apre la portiera della macchina, scende e, con il vestito ancora alto in vita, si avvia verso un camion.
Il suo culo bianco è un faro nella notte.
Non prendo nemmeno in considerazione di rimanere in macchina, quel culo stasera lo spacco.
Il lato passeggero di un camion si apre illuminando la montagna di muscoli che deve essere l’autista.
Sono rimasto indietro di tre passi dallo stupore. Mi affretto a raggiungerla, ma lei è già salita. Appena doppio la portiera, vedo solo il suo culo alto. Questo energumeno le preme la testa sul suo cazzo e con forte accento straniero le dice: “Succhia puttana, che devi salutare anche il tuo amico!”.
Sono incerto, ma lei con le mani si divarica le natiche e con la bocca lucida di saliva mi dice:” Che cazzo aspetti! Sali che a me non basta mai!”





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