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Gay & Bisex

Siamo le tre troie del paese


di pirlino
05.05.2023    |    8.800    |    6 9.5
"Vi si trovavano alcuni scaffali pericolanti, con pacchetti di fazzolettini di carta appoggiati sopra là ma soprattutto una vecchia e lisa poltrona di pelle, ..."
Io ed un paio di miei amichetti eravamo le puttanelle del paese.
I ragazzotti più grandi, vogliosi porcellini, ci avevano preso sotto la loro ala protettrice.
Devo dire che la più zoccola di tutte ero io, anche perché mi ero rivelato subito come una femminuccia disponibile e sottomessa.
Sono stato sverginato molto presto, tant’è che non mi ricordo quando è stata la prima volta che me l’hanno messo dentro, ho il culo rotto da sempre.
Comunque grazie a questa precocità sono sempre stato penetrato con facilità, almeno da quando ho memoria del mio buco per aria e di qualcuno che ci sborrava dentro, i pochi casi in cui c'era dolore magari scaturivano da cazzi fuori misura o maldestramente usati. Ricordo che la frase più usata nei miei confronti era “Cazzo, ce l’ha spanato, si entra facile”.
Questi ragazzi, spesso molto più grandi, ci portavano in qualche luogo nascosto e tranquillo e li ci sodomizzavano senza troppi convenevoli.
Del resto, questa cosa si adattava perfettamente alla mia personalità.
Mi toglievo i pantaloni, sfilavo le mutande, mi piegavo, appoggiato da qualche parte, oppure, se c'era un divano, un letto o qualcosa di simile mi sdraiavo sulla pancia e poi loro mi montavano, uno dietro l'altro, come un cagnetta in calore, uno sputo e via.
A volte facevano delle gare tra loro (chi l'aveva più lungo, chi pisciava più lontano, etc), chi vinceva aveva il diritto di incularmi per primo, oppure di farne due, se ce la faceva, robe così. Oppure scommettevano soldi o sigarette su chi durava più a lungo o su chi mi faceva strillare (questa era più difficile perché, come ho detto, raramente mi facevano male. Fu più semplice quando, maggiormente consapevole, iniziai a mugolare più per il piacere che per il dolore). Utilizzavamo anche la bocca, soprattutto per “farglielo venire duro”.
Lo vollero molto presto. Ho questo flash di alcuni cazzi penzolanti davanti a noi, mentre io ed il mio amichetto Robertino, già nudi, ci apprestavamo, appunto, a farli erigere con la bocca. Ho in mente l'odore di piscio, il sapore acre, la sensazione di molliccio, di “lumaca”, che non mi piaceva, ma che poi si trasformava in soddisfazione quando quei cosi flaccidi si trasformavano e diventavano duri come l'acciaio ed a stento mi stavano in bocca, pronti a spaccarci il culetto. Come ho già detto, eravamo tre troiette, io Robertino e Miki.
In ordine di troiaggine funzionava così, per Miki la cosa era sporadica, poi veniva Robertino ed infine la mignotta del gruppo: io. Inoltre, io avevo un debole per Robertino ed eravamo, praticamente, una coppietta.
Noi due, oltre che a farci scopare assieme dal gruppo, lo facevamo, parecchio, anche fra di noi. Lo abbiamo fatto di continuo. Era una sorta di palestra, sperimentavo con lui ciò che poi mettevo in pratica con tutti gli altri. Ci inculavamo e succhiavamo a vicenda ma il maschio quando era con me era lui.
Intendiamoci, era anche lui una ninfetta vogliosa, però molto meno remissiva e sottomessa di me. Se a lui un cosa non andava bene oppure gli stavano troppo addosso, le pretese aumentavano ed altre menate del genere, prendeva e se ne andava, io non ci sono mai riuscito, ero incapace di dire di no. Poi ce l’aveva decisamente più grosso del mio.
Ce l’avevano tutti più grosso del mio, questo li spingeva ancora di più a trattarmi ed ad usarmi come una femmina. “Dai Robertino, succhiagli il cazzetto”, gli dicevano ridendo quelli più porci degli altri, ai quali faceva sangue guardarci fare le cose fra di noi, prima di sbatterci a turno. Ormai la compagnia dei cazzi ritti aveva trovato base stabile in una vecchia casa, poco fuori da paese, un posto dove non andava mai nessuno, era comoda, perché c’era ancora la luce elettrica ed i vecchi mobili. Uno dei ragazzi si era procurato le chiavi. A loro piaceva farci stare lì, inizialmente con i nostri bei culetti di fuori. Volevano che limonassimo o ci toccassimo, oppure Robertino mi scopava mentre loro si masturbavano. Eravamo il loro spettacolino. Quando ce lo avevano bello tosto, ci mettevamo a pecora e ci inculavano. Eravamo sempre pieni di sborra, come dei bignè.
Nonostante Robertino fosse il mio fidanzatino, come ho già raccontato, capitava che durante queste giornate in compagnia, facevano il culo anche a lui.
Tra l’altro Miki, la terza troietta, era sparita, con la famiglia era andato via dal paese. C’erano chiacchiere in giro, leggende metropolitane, su un presunto incesto con un parente, un non ben definito zio o cugino che se lo faceva in casa sua e vennero scoperti.
Quando, poi, ebbi occasione di rivederlo, mi disse che erano tutte stronzate, suo padre aveva semplicemente cambiato lavoro.
Era, invece, vero il fatto che aveva smesso di prenderlo nel culo, lui non era una vera checca, si era trovato coinvolto in questa cosa, come gli altri culetti del paese che si erano già defilati. Per questo quando tornò, in estate, non lo fece più.
Fu proprio nel corso di un'assolata estate che imparai a tirare dei pompini come si deve.
Ho già detto che l'uso della bocca era quasi limitato alla funzione di rizza cazzi, qualche ciucciata ma niente di più. Intendiamoci, conoscevo già il sapore della sborra, perché più di uno si divertiva, poco prima di venire, a tirarlo fuori e poi io stavo lì con la faccia all’altezza giusta, la bocca aperta, oppure glielo tenevo fra le labbra e lo smanettavo fino a farlo sborrare. Questo fin dalle prime scopate.
La sputavo sempre, perché ancora non mi piaceva ingoiare, però avevo già imparato che ogni sborra ha il suo sapore, non ce n'è una uguale all'altra, addirittura quella della stessa persona varia da un giorno all'altro. Poi conobbi un giovane slavo, Domio, un biondino, mio coetaneo veramente carino che si era rivelato subito una pompinara di primo grado. Era venuto ad abitare con la madre, che faceva la colf nel paese. Aveva più o meno la mia età ed una bocca incredibile. Anche a lui piaceva prendere il cazzo. Tirava dei pompini che facevano svenire. Un maestro. Infatti, quando ci chiesero il canonico: “Fatecelo venire duro”, noi ci inginocchiammo davanti a loro e cominciammo a spompinarli, erano tre ragazzoni di oltre vent'anni. Domio era una vera pornostar, gola profonda, lavorava di lingua, passandola dappertutto, sul frenulo, nel solco sotto la cappella, poi comincio a leccare le palle, sopra sotto, sul perineo. Aveva scoperto che se succhiava forte la punta del cazzo faceva impazzire il suo occasionale amante.
Il tizio al quale era toccato il trattamento belava come una pecora.
Lo imitavo in tutto e per tutto, alcune volte succhiò anche il mio. Gli piaceva veramente tanto succhiare il cazzo, era instancabile.
La cosa più difficile fu apprendere la gola profonda, il “deep trhoat”: quando mandavo giù il cazzo fino all’epiglottide mi venivano dei conati di vomito, però, con un po’ di esercizio anche questo passò. Domio si faceva anche aprire il culo, fino al limite senza la minima difficoltà, era largo come un tubo del dodici. Con il suo italiano stentato ci raccontò che prima di raggiungere la madre viveva in una grande città, in uno di quegli enormi condomini costruiti dal regime comunista, con il padre, un piccolo delinquente alcolizzato che entrava ed usciva dal carcere, due sorelle zoccole ed una vecchia zia suonata.
Ci disse anche che nessuno l’aveva mai controllato, faceva i cazzi suoi da sempre.
Aveva cominciato a frequentare un uomo che viveva alcuni piani più sopra. Questo era piuttosto scafato e lo iniziò ai piaceri del sesso passivo, anche perché Domio fu subito curioso e consenziente.
Assieme guardavano film porno, di continuo. Domio replicava quello che vedeva con il suo amico, diventando bravissimo. L’amico lo sverginò durante un pomeriggio, gli ruppe il buchetto prendendo spunto da un film dove alcuni energumeni sfondavano, a turno, il culo ad una biondina urlante.
Ci volle poco perché il suo giro si allargasse e lui diventasse una checca piuttosto famosa nel quartiere, c’erano uomini che gli facevano regali pur di andare con lui, anche soldi.
Una vera puttana.
Eccitati dal suo racconto, quel giorno ci scoparono ad oltranza, più e più volte. Arrivò anche Robertino e beccò un’abbondante razione di cazzo pure lui.
Per la prima volta ingoiai la sborra ed ora si poteva parlare veramente di “pompino”.
Avevo imparato a bere, non ne andava fuori neanche una goccia.
Dopo questa prima esperienza non avrei più provato alcuna repulsione, tanto è vero che sarebbe diventato normale utilizzare la mia lingua per ripulirselo da parte di coloro che erano venuti in un culo, il mio o quello di qualche altra ninfetta sodomizzata assieme a me.
Stavo lì con la faccia appoggiata alle natiche di Robertino o di Domio, o incastrato fra loro, mentre li scopavano nel culo, appena finivano aprivo la bocca, a volte ci sborravano dentro, oppure no, comunque io li dovevo lavare per benino. Devo dire che lo stesso faceva Domio quando inculavano me e Robertino. Solo lo stesso Robertino non volle farlo mai, gli faceva schifo.
Grazie a Domio quella fu un’estate intensissima, alla fine della quale ero diventata anch'io un’espertissima puttana. Facevo tutto e non mi negavo a nessuno.
Poi, con me, alzarono il livello: siccome ero la più femminile, mi procurarono delle mutandine di pizzo, dei perizomini che li facevano impazzire, delle calze autoreggenti ed alcuni cerchietti di quelli per tenere i capelli (tipo l’avatar), che allora li portavo lunghi.
Domio si limitò alle mutande, Robertino, ovviamente, non volle nulla.
Io, invece, concedevo tutto. Guido, un ragazzone che aveva 22 cm. di cazzo venne da me e disse “Leccalo, vai giù, succhialo sulla punta poi apri la bocca e fallo entrare, vedrai... brava zoccola… sei una vera pompina ora fino in fondo, più che puoi… quanto sei troia!”.
Lo baciai sulla punta ed all’attaccatura del frenulo, poi cominciò a spingermelo in bocca, la aprivo il più possibile per farmelo arrivare fino in gola ma tutto in bocca non ci stava, ne entrava circa la metà. Era enorme, uno così lungo fino a quel momento non mi immaginavo nemmeno che esistesse. Un serpente, giuro, 22 centimetri dichiarati e constatati. Il diametro, invece non era eccessivo, poco sopra alla media.
Guido, il proprietario di quella bestia, era leggermente scuro di pelle, probabilmente le sue doti provenivano dai geni di qualche lontano antenato di colore.
Sapevo chi era perché il paese è piccolo, ma non avevo ancora avuto contatti diretti con lui. Aveva saputo delle mie “capacità” da uno di coloro che soddisfacevo quasi quotidianamente la loro porcaggine e la nostra. Gli feci un bocchino da maestro, ma purtroppo mi sborro' in bocca dopo nemmeno 3 minuti. Mi promise di essere piu' longevo la prossima volta che mi avrebbe visto.
Era pazzesco, c'era il mondo normale, con la solita quotidianità, poi c’era quello parallelo, la mia, essere femmina sempre disponibile e dei suoi amichetti. Poi trovammo un circolo, allora questi posti erano frequentati da vecchi pensionati e nullafacenti, dove c’erano molti uomini, a cui piacevano i ragazzini come noi, che ci cercavano, qui prendevamo cazzi da tutte le parti, di continuo e dove io ero sempre più spesso il piu' gettonato, ormai, ci conoscevano quasi tutti. Pochi giorni dopo Guido mi aveva avvicinato mentre mi trovavo nel circolo a giocare a flipper. Mi chiese subito di tiragli un pompino.
Andammo in uno scantinato, vicino al locale caldaie del palazzo dove si trovava il locale, al quale si accedeva attraverso una scala quasi invisibile, dove saltuariamente mi portavano i frequentatori del luogo che mi facevano il culo. Era uno dei posti alternativi alla vecchia casa in periferia.
Il locale era stato sistemato, la luce del giorno lo illuminava appena, proveniente oltre che dalla porta in cima alle scale anche da una minuscola finestrella, praticamente un buco. Vi si trovavano alcuni scaffali pericolanti, con pacchetti di fazzolettini di carta appoggiati sopra là ma soprattutto una vecchia e lisa poltrona di pelle, segnata dagli schizzi di sborra, portata in quel posto da chissà chi. Mi inchiappettavano lì sopra, da solo o con gli altri frocetti che ci venivano con me.
Si sedette sulla poltrona, mi chiese subito di succhiarglielo, non voleva altro.
Nonostante questo mi tolsi i pantaloni ed i minuscoli slippini color carne, il culo bianco risaltava nella penombra. Mi chinai, ero in ginocchio, questa volta con un bel cazzone in gola. Applicai tutta la mia tecnica, ciò che mi avevano insegnato.
Muovevo la lingua e succhiavo, contemporaneamente, stimolando le palle con le mani, lui si inarcò tirandosi indietro ed alzando le gambe, passai e leccare anche quelle ed il buco del culo. Lo approcciai col dito e lui: “Si, dai, infilamelo…”.
Mugolava di piacere mentre lo succhiavo con forza ed il dito si muoveva, massaggiandolo dall’interno. “Sei proprio Bocca di Rosa!” esclamò, mentre io sbrodolavo il fiume di liquido precum che produceva. Andai avanti così per alcuni minuti poi: “Dai Guido, mettimelo nel culo”. Proprio così, fui io a desiderare che quel coso lunghissimo mi esplorasse l'intestino.
Un attimo di follia, mi faceva un po’ paura, ma volevo vedere fino a dove mi sarebbe arrivato. “Lo vuoi nel culo? Occhio perché non te ne risparmio nemmeno un millimetro…”.
Mi sistemai nella mia posizione preferita, in ginocchio, abbassato sulla poltrona, porgendogli incondizionatamente il culo per farne uso. Inizialmente la cosa fu abbastanza facile, me lo appoggiò un attimo sopra, come per farmelo sentire, mi arrivava fino a metà schiena, dopo mi penetrò un po’ alla volta. Avanti e indietro, ogni spinta un po’ più profonda. Era durissimo, mi schiacciò la prostata, facendomi gocciolare il cazzo, poi raddrizzò la curva del retto, e cosa rara, mi faceva male, un cupo dolore di pancia.
In un attimo era tutto dentro. Le sue palle sbattevano contro le mie, colpiva con forza, ciack… ciack… ciack…, le chiappe risuonavano ad ogni spinta, ogni volta uno schiaffo.
Quanto ero profondo! Sbuffava come un buffalo, mentre dalla mia bocca usciva un flebile, involontario, lamento: Il lungo tubo mi picchiava contro le pareti dell’intestino da qualche parte, in un punto ancora mai raggiunto da alcuno, dove mi provocava un dolore piuttosto acuto. “Fai piano Guido, mi spacchi” implorai.
Ma lui ci stava prendendo gusto: “Ti piace il mio cazzone! Dai, troione, dimmi che ti piace!”.
“Miiihhh… mi arriva in gola… non lo so se mi piace… mhhh… è lunghissimo… ma si, forse mi piace… ahhh! Si che mi piace… ghhhh… ma fa male... piano!”, blateravo sconclusionatamente io fra un gemito e l’altro, mentre i colpi potenti di Guido mi sconquassavano le viscere.
Mi scavò per un bel po’, quando venne si bloccò improvvisamente, disse una parolaccia e schizzò così profondo che mi parve di sentire il sapore della sborra in bocca, sulla punta della lingua.
Era bello quando sborravano nelle mie viscere, la sensazione di bagnato mi piaceva moltissimo.
Quando lo tirò fuori se lo ripulì con uno dei fazzoletti di carta, poi lo rimise nei pantaloni, non gli venne in mente di farlo pulire a me, magari con la bocca, gli altri lo avrebbero preteso. Francamente non so se l’avrei fatto, ma dopo la passata col kleenex forse si. C’ero abituato. Stavo cercando le mutande ed i pantaloni, che avevo posato lì, da qualche parte. Avrei buttato fuori la sborra e tutto il resto più tardi, magari sopra un water.
Per quel giorno pensavo di averne avuto più che abbastanza, mi aveva riempito come un uovo. Sbagliavo.
Improvvisamente nel locale fece ancora più buio, dalla porta di ingresso entrava meno luce, infatti proprio davanti alla stessa c’era qualcuno. Ci prese un coccolone. Poteva averci beccato qualcuno ignaro delle mie abitudini.
Invece no, era Ciccio, uno che ogni tanto veniva al baretto. Era nel “giro”, scopava Robertino e Domio e qualche trans.
Non mi piaceva molto, era un bastardo che godeva di una brutta nomea, ma con lui dovevamo stare al gioco, “Ahhhh! Guido, ti sei scopato la zoccoletta! dicono che è il migliore, si fa fare tutto, dai frocio, non ti rivestire… succhiamelo un po’ che poi te lo metto dentro anch’io, lo so che ti piace tanto”. Con un sospiro glielo presi in bocca, sapeva di piscio, lui mi afferrò i capelli, spostandomi la testa avanti e indietro.
“Dai bocchinaro, sei proprio una zoccola, passi da un cazzo all’altro di continuo… una vera vacca. Pensate che la sua mammina pensa sia un angioletto… io mi farei anche lei, magari tutte e due assieme. Ah ah ah!”.
Mi tappava il naso schiacciandolo fra il pollice e l’indice, poi mi spingeva il cazzo in gola quasi fino a farmi soffocare, dopo: “Dai, girati che ti inculo”.
Mi voltai, mi abbassai appoggiato alla poltrona e me lo schiaffò tutto in culo con un colpo solo. “Accidenti sei più bagnato di una scrofa!”, spingeva di brutto, bruciava e mi faceva quasi più male lui che Guido, che ce l’aveva ben più grosso.
Questo stava li a guardare e lui: “So che gli piace quando gli sborri dentro… invece a me piace un’altra cosa… guarda”, diede ancora alcuni colpi, poi lo tirò fuori e me lo mise davanti alla faccia, io, sporco come era, allargai le labbra e glielo presi ancora in bocca, appiccicoso. Venne quasi subito, dovetti bere tutto quanto, nemmeno tre secondi dopo e mi riempi' la bocca di piscio caldo che subito sputai fuori, ma il sapore mi piacque.
“Dai, brava signorina, ora puliscilo per bene che devo tornare al bar”, obbedii.
Mentre andavamo via disse al Guido che la prossima volta doveva pisciarmi anche lui . “Ha la bocca come un bidet, non so come faccia, te lo lucida a specchio anche se oltre che nel suo l’hai messo dentro a qualche altro culo, quando inculiamo le altre troiette è sempre lì, pronta a farti un bidet con la lingua e bersi la sborra. Lui è la migliore, ma non sono male neppure la sue amichette, Robertino e Domio... organizzo qualcosa e gli fai assaggiare il tuo biscione anche a loro”, proseguì Guido mentre si rimetteva a posto il cazzo dentro i pantaloni.
Risalimmo di sopra ed io mi fiondai in bagno per liberarmi, mi faceva ancora male là, dove era arrivato il cazzo di Guido. Ma durò poco.
Le numerose altre occasioni durante le quali mi scopò non provai più dolore, solo piacere.
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