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Prime Esperienze

ASTRID E L'INTER RAIL: un pompino alla norvegese


di Membro VIP di Annunci69.it Shoganai65
09.12.2021    |    6.352    |    3 9.6
"Saremmo stati in giro per l'Europa per un mese, dovevamo imparare ad adattarci, ad essere elastici..."
Astrid mi tirò con decisione dentro la toilette del vagone-letto e mentre il treno correva veloce lungo i binari che fiancheggiano l'Ossiachersee, tra Villach e Tiffen, seduta sulla tazza del cesso mi tirò fuori l'uccello dai pantaloni e cominciò a farmi un pompino.

Eravamo partiti da Venezia con l'InterCityNotte che collega la città lagunare con Vienna. Io e il mio amico Giorgio avevamo acquistato un paio di giorni prima un biglietto Inter Rail e ci aspettava un mese di vacanze in giro per l'Europa. Avevamo deciso di viaggiare di notte per risparmiare i soldi dell'hotel e la prima tappa doveva essere la capitale dell'Austria Felix, con i suoi musei, i palazzi, la cattedrale di Santo Stefano, la Sacher-torte, per il resto non avevamo fatto altri programmi.

Avevamo riservato due cuccette in uno scompartimento da 6, sperando fino all'ultimo che non arrivasse nessun'altro, in modo da poterci allargare e dormire tranquilli.
Eravamo saliti a bordo con largo anticipo per prendere posto e sistemare con calma i nostri bagagli nello scompartimento numero 7, e ogni volta che vedevamo qualcuno dirigersi verso la nostra carrozza facevamo gli scongiuri invitandolo mentalmente a passare oltre.
"Ci mancherebbe solo di iniziare la nostra avventura con una famiglia di mangiacrauti o un gruppo di bevitori di birra incalliti" ci eravamo detti ridendo.

Quando mancavano solo 10 minuti alla partenza, ed eravamo pressochè sicuri dello scampato pericolo, ecco che dal corridoio si affacciarono due ragazze bionde e lentigginose, più o meno della nostra età.
"Sorry this is the sleeping car n. 7? We booked two sleepers, n. 12 and 14…" chiesero mostrandoci le loro prenotazioni.
"Yes, by now we thought no one was coming ... Your bunks should be those two, one on top of the other" rispondemmo invitandole ad entrare.
(tradotto: "Si, oramai pensavamo non arrivasse più nessuno... Le vostre cuccette dovrebbero essere quelle due, una sopra l'altra")

Io e Giorgio ci guardammo con un sorriso che parlava da solo: "ci poteva andare decisamente peggio".

Sistemarono i loro zaini sulla cuccetta libera sopra le loro e poi si sedettero sorridenti di fronte a noi proprio mentre il treno si metteva in marcia e lasciava la stazione di Santa Lucia.
Facemmo subito le presentazioni e cominciammo a conversare in inglese. Si chiamavano Ingrid e Astrid, non erano austriache come avevamo pensato vedendole entrare ma norvegesi, di Bergen. Anche loro viaggiavano con l'Inter Rail ed erano già state in Francia, Spagna, Firenze, Roma, Venezia e adesso avevano iniziato a risalire pian piano l'Europa. Dopo Vienna avevano in mente di andare a Budapest, Praga, Berlino, e poi a casa.

Erano molto simpatiche e sveglie. Ma erano anche due fighe da paura. Alte più o meno come noi, occhi azzurri come il cielo, le labbra rosa, denti perfetti, sembravano le tipiche modelle dei Paesi nordici che vedi sulle copertine patinate. Indossavano jeans e maglietta e, nonostante la loro bellezza, non se la tiravano affatto.

Gli raccontammo quali erano i nostri progetti di viaggio, o meglio, che non avevamo affatto progetti e risero di gusto. Io e Giorgio cercavamo di fare i brillanti (ringraziando i genitori che ci avevano fatto studiare bene l'inglese) e le ragazze si lasciavano coinvolgere dalle nostre spiegazioni e dai nostri discorsi.

Verso Udine cominciammo a tirare fuori dagli zaini un po' del cibo che ci avevano preparato le nostre mamme e che ci eravamo portati dietro: panini col crudo e il salame, biscotti, taralli, due mele, un paio di bibite oramai calde… Ingrid e Astrid si misero a ridere di fronte a quel ben di Dio e ci chiesero se avevamo viveri per tutto il mese.
Naturalmente le invitammo a condividere la nostra mensa e accettarono di buon grado, visto che negli ultimi giorni a Venezia avevano dovuto tirare un po' la cinghia.

Mentre mangiavamo di gusto iniziai a guardare Astrid con particolare attenzione e trasporto e vidi che anche lei ricambiava i miei sguardi. Era troppo figa per me, pensavo, però nessuno mi impediva di fantasticare. Sarebbe stato un'inizio fantastico se io e Giorgio fossimo riusciti subito ad andare in buca, già la prima sera, e per di più sul treno: neanche nel migliore dei nostri sogni.

Terminata la cena, con soddisfazione reciproca, le ragazze tutte sorridenti dissero che volevano ricambiare il favore e brindare al nostro incontro. Aprirono lo zaino e tirarono fuori una bottiglia di vetro squadrata, di colore verde scuro: era Jägermeister…
Io e Giorgio ci guardammo con un sorriso forzato: brindare con un amaro tedesco a base di erbe non era proprio il massimo ma se questo era quello che passava il convento, pur di non scontentare le nostre compagne di viaggio, avremmo bevuto anche l'amaro calice.

Ingrid versò quattro dosi abbondanti in altrettanto bicchieri di plastica che alzammo verso l'alto urlando: “Skål“ (si pronuncia “Skol”) per poi trangugiare tutto in un colpo, senza lasciarne nemmeno una goccia.
"Cazzo che forte e che schifo" pensai mentre l'alcool mi scendeva lungo l'esofago incendiandolo.
Guardai Giorgio che, con una smorfia tirata sul viso, immaginavo stesse pensando esattamente la stessa cosa.
Le due ragazze invece non diedero cenno di turbamento. Anzi, rilanciarono subito dicendo che ora toccava a uno di noi riempire il bicchiere e fare il brindisi, questa volta in italiano.
Se proprio dovevamo…
Presi io la bottiglia, cercai senza farmi sgamare di versare un po' meno liquore nei bicchieri, e poi alzandomi in piedi dissi con tono solenne:
"Brindo al nostro incontro, alla nostra amicizia e all'amicizia tra i popoli di Italia e Norvegia!"
Dovevo essere stato molto buffo perchè Astrid e Ingrid iniziarono a ridere come matte. Una volta ripresesi alzarono anche loro il bicchiere e insieme urlammo:
"Salute!!!" e giù un altro bicchiere di Jägermeister alla goccia.
Questo lo sentii meno nella gola ma più nella testa: l'alcool cominciava già a fare effetto. E non era finita.

Toccò poi in rapida successione a Astrid e poi a Giorgio completare il primo giro di brindisi, e l'intera bottiglia di Jäger.
Il treno arrivò alla stazione di Tarvisio, al confine tra Italia e Austria, e noi eravamo già belli brilli e completamente su di giri.

Fu in quel momento che Astrid guardandomi fisso negli occhi mi chiese se sapevo dove si trovava la toilette e se potevo accompagnarla, "please…".
Guardai Giorgio con espressione sorpresa ed interrogativa. In genere le ragazze italiane che conoscevamo, quando andavano al bagno andavano insieme tra di loro, e guai se un maschio le seguiva. Paese che vai usanze che torvi, pensai. Saremmo stati in giro per l'Europa per un mese, dovevamo imparare ad adattarci, ad essere elastici.

Mi alzai con la testa che mi girava, uscii con Ingrid dallo scompartimento e la guidai in fondo al vagone dove la luce verde indicava che la "ritirata" era libera.
"Wait for me here please" ("aspettami qui per favore") mi disse sorridendo maliziosa e chiudendosi la porta del bagno alle sue spalle.
Annebbiata dai fumi dell'alcool la mia mente cercava di immaginarsi Ingrid dall'altra parte mentre faceva pipì, o forse si era sentita male e stava vomitando: sarebbe stato comprensibile dopo tutto quello che ci eravamo scolati.

Invece, dopo 5 minuti che aspettavo lì fuori in piedi, appoggiato con la testa al finestrino, Astrid aprì la porta e mi tirò dentro la toilette.
Rimasi basito, non me lo aspettavo. Lei invece aveva già preparato tutto: aveva steso fogli di carte igienica sulla tazza per non sporcarsi, si sedette, mi slacciò la cintura dei pantaloni e mi tirò fuori l'uccello.

All'inizio non era affatto pronto e, con quel barlume di lucidità che mi rimaneva, mi vergognai un po'. Tuttavia lei ci sapeva fare e, aiutandosi con la mano e con la bocca, in pochi istanti lo fece resuscitare. Lo segava con la destra mentre lo accoglieva nella sua bocca calda e vogliosa. Il ritmo del treno accompagnava le sue succhiate. Io mi reggevo alle pareti del cesso mentre la guardavo inebriato cercando di soffocare sul nascere i conati di vomito che mi stavano per salire dallo stomaco.

"Mmmmmhhhh… I love it!" disse con la bocca piena del mio cazzo che oramai aveva raggiunto il pieno del suo splendore, mentre le palle stavano per scoppiare da quanto erano gonfie di desiderio.
Accelerò i movimenti della mano e l'intensità delle ciucciate. Mi stava mandando in visibilio. Oramai ero prossimo a venire.
"I'm coming, Ingrid, sto venendo… mi fai godere…"
Non fece nulla per togliersi il mio uccello dalla bocca. Mi strinse a sè e accolse i miei fiotti che le giunsero direttamente in fondo alla gola. Degluttì e li bevve come aveva fatto in precedenza con lo Jägermeister, fino all'ultima goccia.

"Very good, molto buono" disse, rimettendo a posto il mio membro appassito e passandosi del burro di cacao sulle labbra.
Dovevo avere un'espressione totalmente stralunata perchè mi prese la mano sorridendo e in inglese mi disse:
"Forse è meglio che adesso ti accompagni alla tua cuccetta".

Quando entrammo nello scompartimento Giorgio e Ingrid stavano già dormendo, completamente vestiti, ognuno al suo posto. Io avrei voluto giocare ancora un po' con Astrid, tornarle il favore, farle vedere che è proprio vero che gli Italiani "Do it better" (lo fanno meglio), ma la testa mi girava come una giostra.
Forse era meglio se mi stendevo un attimo – le dissi - e, magari, prima di arrivare a Vienna, avremmo potuto fare il secondo tempo.
Mi sorrise con uno sguardo che non capii al volo se era di comprensione o commiserazione, della serie: "guarda tu che maschi…"

Mi sdraiai, pensando di fare solo un sonnellino, giusto per riprendermi. Quando mi svegliai il treno era fermo. Stetti con gli occhi chiusi ancora qualche minuto cercando di capire dov'ero e cosa stava succedendo. Poi guardai da una fessura della tenda fuori dal finestrino: eravamo già arrivati nella stazione di Vienna e la gente stava scendendo dal treno.
A fatica mi sollevai dalla cuccetta: Giorgio era ancora sopra di me che russava. Gli zaini delle ragazze invece erano spariti e loro anche. La prima reazione da malfidente fu quella di controllare se per caso fosse sparito qualcosa dai nostri bagagli ma erano intatti, non avevano toccato nulla.

Svegliai Giorgio e gli dissi che dovevamo scendere in fretta.
"E le norvegesi?" mi chiese.
"Sono svanite, se ne sono andate così come sono arrivate: senza salutare, senza dirci nulla, senza lasciarci neanche un indirizzo, un numero di telefono per poterle rintracciare o ringraziare".

In quell'istante, nonostante il pompino ricevuto la sera prima, mi sentii come se fossi stato usato, un oggetto abbandonato, oramai inutile.
Fu un risveglio amaro, un risveglio col sapore di Jägermeister.


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