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Lui & Lei

ROBERTA: CHE COS'E' LA FELICITA ?


di Aleppe
30.05.2020    |    6.197    |    3 9.0
"Ricadde quindi al mio fianco, ci scambiammo un lungo bacio appassionato e, sfiniti, ci addormentammo nelle braccia l’uno dell’altro..."
Avevamo deciso di prenderci un giorno tutto per noi. Roberta aveva preso ferie, io mi ero inventato una trasferta per visitare un cliente che non avrei mai visto. Ci eravamo invece recati presso una spiaggia isolata dell’Adriatico, dove speravamo di trascorrere una giornata tutta per noi.

Una spiaggia libera, piena di sabbia e di sole, sulla quale stendemmo gli asciugamani per prendere il secondo. A me non piace stare sdraiato sotto il sole. Stavo seduto guardando il mare, assorto nella contemplazione delle onde e dei miei pensieri. Roberta, nel suo due pezzi, si godeva invece i raggi caldi della stella a noi più vicina sulla schiena, il pezzo di sopra slacciato per evitare di lasciare il segno. D’un tratto si alzò. «Vado a fare il bagno», disse, e si diresse verso il mare. Slacciando all’improvviso con disinvoltura anche il pezzo di sotto che, cadendo, mise in mostra il suo magnifico fondoschiena. Se non vi è mai capitato, posso assicurarvi che la vista di una donna che cammina nuda sulla spiaggia è qualcosa che rasenta l’opera d’arte. Vi è la perfetta ricomprensione tra Donna e Natura, che non ha caso è femmina. Vederla entrare nell’acqua mi sovvenne l’immagine di Venere, che tra le onde era nata.

Era nuda. Stava andando a bagnarsi nuda. La mia collega irreprensibile, sempre così compita, certo simpatica, spontanea, ma anche perbene, adesso si recava in acqua nuda, fatto per me inaspettato. Quale desiderio di libertà è insito nella mente umana da spingerlo, quando può, ad approfittarne per cogliere l’opportunità per darne sfogo? Bagnatasi, tornò a sdraiarsi sull’asciugamano mostrandomi la schiena, e soprattutto il suo fondoschiena, completamente nudi. Quindi si voltò, esponendo ai raggi ultravioletti anche quelle parti solitamente protetta. Il cespuglio di forma triangolare ricompreso tra le cosce e il ventre, solitamente coperto, sembrava riprendersi la sua rivincita ed era perfettamente in armonia con il cosmo circostante. Quei rosei capezzoli svettanti dalle grandi poppe dalla forma modificata dal tempo erano la chiara dimostrazione che la Natura, Dio stesso, se esiste, sono femmina.

Ammetto che questo sviluppo mi aveva colto di sorpresa; non avevo saputo reagire ed ero rimasto lì ad ammirarla intontito. «Allora? Non dici niente?» «Sei splendida; starei ore ed ore ad ammirare il tuo corpo» «Nient’altro? Non ti viene voglia di farmi nient’altro?» «Preferisco conservare le energie per dopo … sai, ormai ho una certa età …» «Ma io sono ancora giovane … e vogliosa … sai che potrei trovare un uomo più giovane di te …». Capita l’antifona, cominciai col carezzarle il monte di Venere, quindi, senza incontrare resistenza, le scostai le gambe per poter aver accesso alla fessura che tra quelle si nascondeva. Stimolata dalle dita della mia mano prima sul clitoride, poi sfregandole tra le labbra della fica, cominciarono i primi gemiti di piacere. Ritenni di dover compensare tanta magnificenza nel modo adeguato, per questo le infilai la testa tra le gambe e cominciai a leccarle la fica come si doveva, fino a quando Roberta raggiunse l’orgasmo.

Giunto mezzogiorno ci alzammo e, camminando lungo la spiaggia, ci recammo ad un locale dirimpetto al mare che Roberta aveva individuato sul web e dove avremmo potuto mangiare. Soli, sotto le tende bianche e azzurre oscillanti al vento, seduti ad un tavolo sul terrazzo di fronte al mare, non mi stancavo mai di guardarla mentre parlava, mentre mangiava, mentre si muoveva, mentre cambiava le espressioni del viso … forse anche sotto l’effetto del vin bianco che innaffiava il lauto pranzo di pesce, quasi quel giorno avessimo deciso di peccare più di gola che di lussuria. Intorno a noi, l’anziano proprietario del ristorante, con funzione di cuoco, la giovane cameriera dai lunghi, riccioli capelli neri e nient’altro, solo mare, cielo e vento.

Finito il mio caffè «Può darci la chiave della camera che abbiamo prenotato?» chiesi al proprietario, ricevuta la quale presi Roberta per mano e ci avviammo verso il primo ed unico piano. La stanza era semplice, senza quegli stucchevoli fronzoli che adornano le stanze di certi motel di periferia. Un letto matrimoniale, qualche semplice armadio di legno, un lavandino e ed uno specchio appeso alla parete, la finestra da cui accedere al terrazzo, dalla quale entrava a piene mani il sole. Solo una grande, ampia sedia di vimini costituiva eccezione allo scarno arredamento.

Chiusi le persiane per creare quella penombra che adoro, ci spogliammo, ci coricammo sul letto e cominciammo ad accarezzarci. Senza accorgercene, ci ritrovammo a fare l’amore nella più scontata, ed ingiustamente screditata, delle posizioni, conosciuta – per un motivo a me incognito - come quella del “missionario”, ma che sarebbe preferibile indicare come quella del “viso a viso”. Che peraltro distingue l’essere umano dagli altri animali, bonobo escluso. A me piace questa posizione, perché mi permette di vedere non solo il corpo della donna, il suo ventre, i suoi seni, in tutta la loro bellezza, ma soprattutto il suo viso e le espressioni di piacere, massima gratificazione per ciascun uomo che ama definirsi tale. Come le onde del mare di prima, spingevo senza fretta, gustandomi al massimo quel momento unico, tuttavia ad un certo momento, perso nei miei pensieri, il mio sesso cominciò a perdere colpi. Roberta se ne accorse, «cosa succede?» mi chiese allora. «Niente», risposi cadendo sulla mia parte di letto, «pensavo: ma allora è questa la felicità? Voglio dire, io credevo che la felicità risiedesse nel compiere il proprio dovere, partecipare alla costruzione della società civile, aiutare gli altri, mentre adesso scopro che la felicità è nell’intimità, nel privato, nel rapporto con una donna … Roberta, per te cos’è la felicità?» «Per me, oggi, la felicità è questo», rispose prendendomi in mano il cazzo, sollevando il corpo e mettendosi a cavalcioni sopra di me ed infilandoselo nella fica. La vista di quelle magnifiche tette penzolare sopra di me mi distolse dalle mie riflessioni e il mio pene riprese a fare il suo dovere. Mi sollevai seduto per leccarle con passione i capezzoli ed aumentai il ritmo delle mie spinte. Roberta mi cinse con le sue gambe e ci trovammo avvinghiati, sudati nell’abbraccio amoroso. Per procurarle ancora più piacere, con una mano le accarezzavo, graffiavo la schiena, mentre con l’altra le stuzzicavo l’ano fin quando lei venne quasi soffocandomi per la forza che mise nello stringermi. «Adesso voltati, e chiavami mostrandomi il tuo grosso culo rotondo», le dissi allora. A me la vista della schiena, del fondoschiena di una donna che mi cavalca mi fa impazzire. Lei ci mise tutto l’impegno richiesto, sollevandosi e calandosi lentamente sull’asta, voltandosi ogni tanto verso me per mostrarmi il suo sguardo malizioso ed assicurarsi che stessi godendo. Poi si sollevò del tutto, estrasse il pene dalla fica gocciolane e, piano piano, lo infilò nel buchetto di dietro. Ma bastò il gesto per farmi impazzire e schizzarle la sborra sulle chiappe. Ricadde quindi al mio fianco, ci scambiammo un lungo bacio appassionato e, sfiniti, ci addormentammo nelle braccia l’uno dell’altro.

Suonò la sveglia. Era presto, ma dovevamo anche tornare in tempo per non destare sospetti. Uscii dalla camera per andare in bagno, in fondo al corridoio. Roberta telefono al proprietario chiedendo una bottiglia di acqua minerale gassata. Quando entrò, si trovò di schiena Roberta, ancora nuda che si godeva la vista del mare. «Signora, ecco l’acqua» disse balbettando, sorpreso dall’inattesa visione. «La metta pure lì», rispose lei. Poi, vedendo che l’uomo non le toglieva lo sguardo di dosso, «Beh, cosa c’è, non ha mai visto una donna nuda?» «Signorina, mi perdoni, ma da quando è morta mia moglie, no. E poi, la mia moglie degli ultimi anni non era mica bella come lei.» Lei pensò allora di coprirsi con il lenzuolo, ma poi ripensandoci gli disse «Le propongo un patto: lei ci abbona il costo di vitto e alloggio e io le permetto di dare ancora un’occhiata.» «Facciamo solo la stanza» cerco di trattare il vecchietto «No, o tutto o niente» rispose lei scostando appena il lenzuolo per mettere in mostra una tetta. «e va bene, tutto, ma mi lasci vedere tutto anche lei!» «Certo, ci mancherebbe, sono una donna di parola io», rispose sedendosi sulla poltrona di vimini e mettendo in bella mostra tutta la merce di cui disponeva. L’uomo allora estrasse il cazzo e cominciò a segarsi. Roberta, capita l’antifona, comprese che quanto prima fosse venuto, tanto prima sarebbe finita, quindi cominciò a muoversi in maniera lasciva sulla poltrona. Prima si strusciò un po’ le mani tra le cosce, quindi si alzò e, messe le ginocchia sulla poltrona, afferrando i braccioli, mise in mostra il suo magnifico culo. Vedendo che il vecchietto era duro a venire, si mise ai suoi piedi in ginocchio, spalancando la bocca e simulando un pompino come fosse la più grande delle troie. In questa posizione la vidi mentre tornavo dal bagno, fermandomi fuori dall’uscio, nel corridoio curioso di sapere come sarebbe andata a finire. Nel mentre, uscì da un’altra stanza la giovane cameriera. La chiamai verso di me e, quando mi fu accanto, «Senti, per cinquanta euro mi fai una sega?» le dissi. «Lei deve essere pazzo, io queste cose non le faccio» «Forse io sono pazzo, ma anche tu non sei del tutto sana se rifiuti cinquanta euro per cinque minuti di lavoro.» Convinta dal mio argomento, la cameriera mise la sua mano sul mio cazzo e cominciò una dolce sega. Vedendo Roberta, alzai la posta: «Se me lo prendi in bocca, ti do altri cinquanta euro.». La ragazza accettò senza battere ciglio.
Nel frattempo Roberta, vedendo che il vecchietto ancora non raggiungeva l’orgasmo, si alzò, si voltò, si piegò a novanta gradi e gli pose davanti il fondoschiena. Lui però non resistette a tanta magnificenza, e si gettò di corpo su di lei. «Ehi, ma che fai, questo non era nei patti!» «Mi perdoni signora, ma per me è l’ultima occasione della mia vita. Faccio presto, lo prometto.» Vedendo questa scena, anche io presi la mia cameriera, la voltai, le sollevai la gonna e «sono altri cento euro se ti fai scopare»; senza aspettare la risposta, le avevo già abbassato le mutande e cominciai a penetrarla. Poco dopo, il vecchietto ansimante che si scopava Roberta alla pecorina, venne imbrattandole la schiena; lei, tutto sommato contenta per aver fatto una buona azione, si sollevò per asciugarsi con il lenzuolo. Io, al contrario, sentendo di essere vicino all’orgasmo, estrassi il cazzo dalla fica della cameriera, la voltai in maniera che il suo viso fosse all’altezza del mio pene e, con quale colpo di mano, le schizzai sul viso. Quindi ci separammo in fretta, io tornando in bagno, lei nella stanza. L’anziano proprietario, furtivamente, usci dalla stanza e si defilò lungo la scala. «Quanto ci hai messo?» mi chiese Roberta al mio ritorno in stanza, ma si accontentò della mia blanda scusa e evitò di raccontarmi quanto accaduto.
Giunti al momento di separarci, «La felicità» cominciò lei, «è uno stato d’animo che passa non appena ti poni domande su di essa.» Ci demmo allora un lungo bacio di passione, durante il quale evitai accuratamente di pormi ancora domande sulla felicità.
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