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Lui & Lei

ROBERTA: DICHIARAZIONE D'AMORE


di Aleppe
03.05.2020    |    5.974    |    1 9.4
"Uno dietro l’altro, cominciamo ad abbracciarsi, a stringersi per sentirci più vicini..."
Quel pomeriggio ero riuscito a convincere Roberta a bere qualcosa insieme. Uno tira l’altro ed alla fine eravamo tutti e due piuttosto alticci. Ci incamminammo verso casa camminando lungo il parco, quando decidemmo di sederci su una panchina per non interrompere quel clima fatato, quella complicità che l’alcool, ma anche il verde degli alberi e il vicino scorrere del fiume, aveva contribuito a creare.
Sposati entrambi, ci sentimmo in quel frangente sgravati dalla routine coniugale e – perdonate la mia banalità – di ritrovare qualche sensazione che davamo per assodato non sarebbe più tornata. Roberta, capelli lunghi biondi, seno e culo prosperosi, piccolina ma tutta curva e carne. Una “milf” tuttavia, non l’acerba bellezza di una giovinetta. Seduti l’uno affianco all’altro, qualche battuta, qualche risata, un doppio senso buttato lì per caso, o forse no, un’espressione pudica, uno sguardo malizioso, che poi si fa intenso e finalmente un bacio. Sul momento Roberta si tira indietro incredula, un momento di titubanza, che subito superiamo non appena io le afferro la testa e la tiro verso di me per riaccostare le nostre labbra. Stavolta il bacio è più lungo e alla fine cede e lascia che ci scambiamo le lingue. Uno dietro l’altro, cominciamo ad abbracciarsi, a stringersi per sentirci più vicini. Comincio a sfregarle la schiena, poi non resisto, sono anni che lo desidero, le palpeggio le tette. “Ehi, che furia che hai!”. “Si scusami, era tanto tempo che volevo farlo. Sono anni che le guardo e che desideravo toccarle …” “Ah, e di che colore sono i miei occhi?” “Verdi”, rispondo io, sebbene non sia così sicuro. Ma azzecco la risposta e, come gratificazione, lei riprende a baciarmi. Interpreto la cosa come autorizzazione ad allungare le mani. “No, dai, non esagerare, non vorrei che ci vedessero. Passa un sacco di gente e questa è una città piccola …” “Hai ragione, che ne pensi se prendessimo la tua auto e andassimo in un posto più appartato?” “Ma … non so … “ “Dai, lasciamoci andare. Non sciupare tutto, non ricapiterà tanto facilmente …”. Roberta non risponde, ma sfodera un sorriso accondiscendente. Ci alziamo allora e, tenendoci per mano, in fretta, come due adolescenti in fregola, ci dirigiamo verso l’auto. Saliamo e Roberta mette subito in moto la macchina. “Dove vado?”, chiede. “Conosco un posto sulla montagna proprio sopra le pendici della città. Vedrai, in un quarto d’ora saremo su e lì non ci darà fastidio nessuno”. Sono quindici minuti febbrili perché non vogliamo perdere tempo, ma alla fine arriviamo nell’ampio spazio utilizzato – penso – dagli automezzi che caricano il legname per fare manovra. Parcheggiamo sotto alcuni alberi, ci slacciamo in fretta le cinture (di sicurezza) e riprendiamo a baciarci con rinnovata e più intensa foga. Non passa molto tempo che le rimetto le mani sulle tette, stavolta senza subire uno stop. Mi sento allora in dovere di osare, pertanto le mani le infilo sotto la maglia che lei indossa, alla ricerca della nuda pelle, dei capezzoli, anche stavolta senza incontrare resistenza. Mentre continuiamo a baciarci, mi diverso a stuzzicarle i capezzoli, a smanacciarle le poppe, ma poi penso che sia ora di passare al punto più atteso: il culo. Così abbasso le mani, le infilo nell’intercapedine tra i pantaloni e la schiena e arrivo a toccarle quelle magnifiche chiappe che rappresentavano il mio più alto desiderio degli ultimi tre anni. A lei evidentemente le mani sul suo corpo non dispiacciono e mi lascia fare, mettendo anzi ancora più passione nei suoi baci.

Il mio cazzo, diventato duro, spinge con forza contro i jeans e non riesco più a trattenerlo senza sentire dolore. Slaccio allora i pantaloni, li abbasso e lascio che il pene sgusci fuori dalla fessura dei boxer. Per il momento tutto qui, ma poi ci ripenso: afferrò la mano di lei e la porto sul mio cazzo nudo. Il suo sguardo diventa all’improvviso stupito. “Ma … ma … con calma …” ma io non la lascio finire: le chiudo la bocca con la mia, afferrò la sua mano e la costringo a segarmi. Roberta è un po’ titubante, ma poi si lascia andare e me lo sega senza che io debba più tenerle la mano. Solo una cosa manca e non vedo perché perdere tempo: la mano che prima teneva la sua ora si dirige verso l’incavo delle sue cosce, sbottona i pantaloni, abbassa la cerniera e mette in mostra le sue mutandine bianche. Mi limito a strofinarle il monte di venere, voglio godermi passo passo questo momento. Poi scosto le mutandine per allungare qualche dito verso l’ambito premio. Alla fine le mutande sono completamente scostate e il mio dito medio si infila nella fessa già fradicia. Così, mentre ci baciamo appassionatamente, ci masturbiamo reciprocamente con foga. Sono momenti bellissimi, durante i quali tutti e due vogliamo lasciarci andare, godere e – perché no? – amarci un po’. Ci diciamo qualche frase: “quanto tempo che aspettavo questo momento … come sei bellissima …” “ anche tu mi piaci, ma non credevo che ti averi mai baciato … “ “ … e perché?” “ … sembravi così serio, così rigido … non avrei mai creduto che mi desiderassi … pensavo di essere troppo in la con gli anni … “ “Non ti preoccupare, sei ancora bellissima, anzi .. mi hai fatto impazzire dal primo momento che ti ho visto”.

Lo so, visto che lei non sembrava intenzionata a farlo, adesso vi aspettate che le avessi chiesto di farmi un pompino, ma non me la sentii … mi sembrava brutto in quella situazione … preferii proseguire nella maniera classica: ci scambiammo i posti, lentamente le sfilai i pantaloni, reclinai il sedile e, abbassati anche i miei, finalmente fui sopra di lei, che allargò le cosce per invitarmi ad entrare. Ci scambiammo uno sguardo intenso prima, poi compreso che anche lei lo voleva, entrai con il mio cazzo nella sua fica. Cominciai a scoparla, dapprima con calma, poi con sempre nuova foga. Le afferrai le chiappe e presi a spingere con più forza. Tirai su la maglia per scoprile le tette, che feci in modo spuntassero dal reggiseno. Mi piaceva tantissimo starle tra le cosce e a lei allargarle per accoglierle. Guardarci intensamente negli occhi mentre scopavamo. Presi a mordicchiarle i capezzoli e, dopo un po’, lei si lasciò andare ad un lungo orgasmo. Mi ritrassi allora da lei e mi rimisi a sedere sul sedile del guidatore.

“Roberta, posso chiederti un favore?” “Dimmi”, “Vorrei scoparti alla pecorina. Ti va se apriamo il portellone posteriore del van e lo facciamo così” “Va bene” mi rispose con lo sguardo più malizioso del mondo, si ricompose quanto basta per poter raggiungere il retro del monovolume, apri il portellone e, atteso che arrivassi anche io, si mise in posa alla pecorina: il suo culo nudo svettante in attesa del mio cazzo. Che ovviamente non si fece attendere. La chiavavo alla pecorina mentre con le mani le stringevo le poppe gigantesche. Poi però, di fronte allo spettacolo meraviglioso delle sue rotonde chiappe che si mostrava sotto di me, con la mano destra cominciai a stuzzicarle il buco del culo. Lasciavo cadere la saliva lungo il solco tra le chiappe e, con il dito, le lubrificavo il buchetto senza ottenere, con mia grande meraviglia, alcuna reazione negativa. Quando pensai fosse giunto il momento, estrassi il cazzo dalla fica, glielo puntai sul buco del culo e, senza darle il tempo di capirle, lo spinsi dentro. “Ehi, che fai! Non l’ho mai fatto lì! Mi fai male!” “C’è sempre una prima volta, lasciami fare.” “No, ti prego, mi fa male”, “Roberta, hai il culo più bello e rotondo del mondo, non posso non fartelo”. Tra i suoi lamenti continuai a pompare il buco stretto montando con le ginocchia sul bordo dell’auto. Mi piaceva così tanto che non durai a lungo e dopo poco le riempii il retto con una lunga, calda sborrata.
Esausto, anche per il caldo, estrassi il cazzo dal suo culo; lei rimase ancora un po’ piegata alla pecorina, con la sborra che le colava dal buco del culo: era bellissima. “Scusami … non ho saputo resistere al tuo … quando faccio sesso non riesco a controllarmi … io ti amo ... “ “Lascia perdere …”, mi rispose, con l’aria un po’ seccata, voltandosi. Scese quindi dall’auto, si pose in piedi di fronte a me e, guardandomi negli occhi, mi confidò: “ … mi è piaciuto.”
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