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IL RICATTO PROLETARIO


di Michellerimini
03.01.2021    |    13.253    |    21 8.7
"E invece, non appena aprii la bocca per accogliere la sua lingua, il mio stesso piscio che aveva tenuto me lo riversò direttamente in bocca e non potei far..."
Dicembre era arrivato, finalmente ci avvicinavamo alla fine dell’anno “pandemico” 2020!
Era ormai passata quasi una settimana senza fare sesso, e anche prima, devo ammettere, solo qualche incontro occasionale, conclusosi sempre troppo alla svelta per me che sono lungo a venire, e tutto questo mi aveva lasciato un senso di noia e insoddisfazione.
Tornando da lavoro, mi accorsi che nel cortile in cui abitavo e nei palazzi attorno, c’erano diversi cartelli in cui si diceva che da lì a qualche giorno sarebbe stato impossibile parcheggiare le auto per via di lavori che sarebbero durati diversi giorni. Già immaginavo la reazione dei condomini meno rispettosi che avrebbero completamente ignorato l’avviso. E, infatti, come volevasi dimostrare, diversi inquilini non rispettarono il divieto e i lavori iniziarono con notevole disagio.
Una mattina che ero libero, uscito per fare la spesa, m’imbattei in alcuni operai che erano fermi per una pausa. Ne approfittai per scambiare qualche chiacchiera e per chiedere quando sarebbero terminati i lavori. Questi mi risposero che era impossibile stabilire l’esatta durata, dal momento in cui diverse famiglie continuavano a non rispettare il divieto imposto. Si parlò così, un po’ di tutto e naturalmente di COVID, e dell’inciviltà e di come certe persone proprio erano irrispettose del vivere civile. Tra i lavoratori mi colpì uno sulla quarantina, moro, con una bella barba folta, un visto dai lineamenti virili ma delicati, due grandi occhioni neri, un sorriso accattivante. Non era molto alto ma aveva due spalle belle larghe e, benché la loro tuta da lavoro fosse bella larga, si poteva tranquillamente percepire l’armoniosità del corpo temprato dal faticoso lavoro. Ma ciò che più mi colpì dell’operaio, al di là della sua avvenenza, era il tono non curante con cui parlava di questi cittadini irrispettosi. Sembrava che a lui quasi non importasse. Inutile dire che il suo atteggiamento così strafottente mise in movimento le mie pulsioni più recondite.
Dopo qualche giorno, nel primissimo pomeriggio, tornando a casa lo incontrai, solo, che riponeva le attrezzature in un furgoncino. I suoi colleghi non c’erano. Lo salutai e gli chiesi, con tono scherzoso, se fosse stato abbandonato dai suoi compagni di lavoro per paura contagio. Mi rispose che avevano stabilito una turnazione in base alla quale a uno di loro toccava mettere a posto, e quel giorno spettava a lui. Poiché aveva in pratica finito, gli chiesi se avesse gradito un caffè. Non rispose subito. Mi guardò giusto qualche istante e poi accettò. Abitavo (e tuttora abito) al secondo piano e per le scale, mi chiese di cosa mi occupassi. Gli risposi che oramai uno “SMARTWORKista”. Sorrise.

Quando entrai in casa salutò con un forte “buon giorno” ma io gli comunicai beffando che abitavo da solo, alche lui mi disse:
-“E riesci a mantenerti da solo così giovane?”. Con un sorriso sornione.
-“A fatica ma.. sì”. Risposi.
-“Quindi devi essere un “SMARTWORKista” bravissimo se già vivi solo e puoi mantenerti in una casa così grande!”
-“Bhè.. sono stato aiutato dalla vendita di una casa a dei miei parenti in Germania..”
-“E i tuoi parenti crucchi lo sanno che sei un frocetto?”
-“Come, scusi?”
-“Lo sanno che succhi i cazzi? Che infili il tuo cazzo nei culi degli uomini”
-“Non capisco ma.. cosa dice..." Avanzava verso di me e il suo sguardo era turbato. –-“Forse lei ha frainteso. Io volevo solo offrirle un caffè”
-“Ah si? E come mai? Ma stai zitto e non dire stronzate. Sono due settimane che mi mangi con gli occhi. Se ne sono accorti anche i miei colleghi e non sai quante risate ci siamo fatti su di te. Si vede da lontano la tua fame di sesso.. di cazzo!”
Era a pochi centimetri da me. Ora potevo respirare il suo profumo maschio, tipico di un uomo provato da una giornata di lavoro. Non era nauseabondo, era maschio.
Cercai di tentare qualche difesa.
-“Davvero lei ha frainteso. Io volevo solo offrirle un caffè e…”
Ma non ebbi modo di finire. Mi afferrò il volto con le sue manone, mi sbatté al muro del corridoio e mi baciò. Fece scivolare subito la lingua nella mia bocca e il sapore della sua saliva mi mandò in estasi. Caddi nella sua trappola e, repentinamente, ricambiai il bacio. Fu un attimo. Subito si staccò da me. Mi teneva ancora il volto tra le mani. Mi fissava.
-“Hai visto.. ti piace vero?”
-“Ma lei mi ha baciato.. ma io..”
-“Perché nessun uomo dei tuoi gusti mi resiste. Vogliono tutti il mio cazzo, ma poi piangono quando glielo metto in culo per quanto è grosso”.
Le sue parole mi scombussolarono. La parte razionale mi suggeriva di chiuderla lì. Qualcosa in quell’uomo era cattivo.
Ma il gonfiore nelle mie mutande e il prurito al buchetto del culo mi consigliavano di lasciarmi andare.
-“Sai quanti cazzi grossi ho visto?” Rilanciai, in maniera provocatoria.
-“E allora prendi questo!”.
Così dicendo mi afferrò la mano e me la posizionò sul suo pacco. Dovetti ammettere a me stesso che quello che si celava sotto la tuta da lavoro era veramente un mostro. E questo bastò a farmi perdere ogni prudenza e come un assetato nel deserto m’inginocchiai davanti a lui, gli abbassai pantaloni e mutande e quel randello di carne si precipitò sul mio viso con una violenza enorme. Non badai ad altro. Lo presi subito in bocca. Sentivo il sapore maschio della sua cappella dopo una giornata di sudore e piscio. Non m’interessai di lui. Succhiavo avidamente quel cazzo così grosso che a stento mi stava in bocca. L’operaio mi spingeva dalla nuca fino a soffocarmi. Il mio naso si perdeva tra i suoi folti peli pubici e rivoli di saliva sgorgavano dalla mia bocca affaticata.
Continuai per diversi minuti e il mio pompino dovette piacergli perché sentivo la sua mazza diventare sempre più dura e pulsante. Lo succhiavo, lo leccavo, gli accarezzavo i coglioni e tutto questo a occhi chiusi, trasportato da uno stato di estasi indicibile. Ma dopo un tempo infinito, la mascella iniziava a farmi male ma nonostante diventavo sempre più ingordo. Ero attaccato a quel cazzo in maniera spasmodica.
-“Guardami!”, disse in tono perentorio.
Solo allora alzai lo sguardo e mi si gelò il sangue. Lo stronzo era col cellulare e dall’alto stava riprendendo il pompino. Mi ritrovai con la cappella all’altezza del mento, gli occhi sbarrati e in quella posizione cominciò a sborrare.
I primi schizzi partirono lontani perdendosi sul muro di fronte, gli altri direttamente sul mio viso, sugli occhi, sulla bocca. Il senso di terrore mi teneva bloccato.
«Aveva ripreso tutto? Che stupido ero stato!»

Sul suo volto era dipinto un sorriso beffardo e malizioso. Solo allora mi alzai di scatto cercando di afferrare il telefono. Ma con l’altra mano mi bloccò. Era fortissimo.
-“Cancella subito quel video, non fare lo stronzo!”.
-“Uh guarda, la signorinella si è arrabbiata. Che fai mi graffi?”.
-“Vedi che ti faccio passare i guai! Tu nemmeno immagini di cosa sono capace..”. Ma non ero convincente nemmeno a me stesso.
-“Ah ah ah!”. Rise di gusto.
-“Un tedesco e romagnolo pieno della mia sborra sulla faccia. Non vedo l’ora di mettere tutto on line!”.
-“Io ti denuncio per violazione della privacy!”.
-“E denunciami. Io non ho nulla da perdere. Lo sanno tutti che mi scopo maschi e femmine. Tu invece?”.
Capii che le sue minacce non erano vane.
Cercai di rabbonirlo e di adottare un tono più conciliante.
-“Dai, per favore, perché mi vuoi rovinare?”.
-“Perché mi stanno sul cazzo i fighetti come te, figli teutonici della razza eletta tedesca del cazzo!. Tu poi … comunque sei brava, una brava bocchinara!»

-“Ho capito quanto vuoi?”.
-“Ehi ehi, calmo bambolotto. Intanto fammi il caffè. Eravamo qui per questo no? Anche se poi ti sei messo a ciucciarmi il cazzo”.
Gli preparai il caffè e glielo portai. Era nel salotto, comodamente steso sul divano. M’irritai quando notai che non si era neanche tolto le scarpe.
-“Puoi mettere giù i piedi? Mi sporchi il divano!”.
-“Nein!”. Rispose ridicolizzandomi gustando il caffè.
Allora mi avvicinai cingendogli le caviglie per mettergli i piedi giù. Oppose una salda resistenza. Era davvero forte.
-“Toglimi le scarpe!”.
Il tono di comando mi creava sempre un effetto strano, come una specie di sortilegio da cui non mi sapevo sottrarre.. E la cosa brutta è che sembrava dessi ragione alla sua insofferenza su noi tedeschi!
Così gli slacciai le scarpe e non mi accorsi neanche che lo facevo in maniera completamente devozionale. Appena gliele sfilai la mia vista fu deliziata da due bei piedoni coperti da calze di spugna e le mie narici furono sommerse da un’essenza afrodisiaca. Cominciai a massaggiargli i piedi senza che lui mi dicesse nulla e, nel farlo, li avvicinavo sempre di più al mio volto.
L’operaio, senza tatti complimenti, premette le sue belle piante sul mio viso ed io
restai impassibile subendo i suoi capricci.
-“Sfilami i calzini”. Eseguii immediatamente.
Ancora una volta, di mia iniziativa, colpa del mio fetisch per i bei piedi maschili, cominciai a leccarglieli.
Gli passavo la lingua tra le dita e gli succhiavo gli alluci alternatamente. I piedi erano un tantino umidi dopo l’estenuante giornata di lavoro. Ero in balia di quel maschio così grezzo e così bello.
-“Stenditi e continua a leccare!”.
Mi fece mettere in modo che il mio viso fosse ancora all’altezza dei suoi piedi e miei all’altezza del suo volto. Mi tolse scarpe e calzini e anche lui cominciò lo stesso trattamento. Mi sembrava di stare in paradiso.
Dopo un tempo che non saprei quantificare mi ordinò di fermarmi. Non opposi obiezioni. Mi ordinò di spagliarmi.
-“Completamente nudo?” Dissi, simulando un falso imbarazzo.
-“Ma certo bel tedeschino, dai! Nudo come un verme!”.
Mi denudai all’istante e anche lui fece altrettanto. Il suo corpo era ricoperto da folti peli e ciò aumentò in maniera esponenziale la mia eccitazione.
M’inginocchiai di nuovo convinto che volesse un’altra pompa, poiché il suo cazzo era tornato dritto, grande e possente.
-“Ehi chi cazzo ti ha detto di succhiarmelo?” Disse mentre ero vicino alla sua cappella. Si voltò, si mise a pecora sul divano e ordinò:
-“Leccami il culo!”
Esitai. Per quanto lo vedevo sodo e invitante, avrei voluto sincerarmi che fosse pulito.
-“E’ pulito?” Chiesi con un fil di voce. Si voltò di scatto, mi guardò intensamente e mi sputò in viso.
-“Coglione, non fare domande! Non sei nella posizione di obiettare niente o ti sputtano subito!”.
-“Ma…” tentai ancora, ma un altro sputo mi raggiunse proprio nell’occhio. Lo lasciai scorrere sulla guancia, giù fino al mento e poi cadde a terra. Si alzò, mi prese di forza e mi fece mettere a pecora sul divano. Le mie gambe erano aperte in modo osceno e il mio culo era in bella vista. Poi, d’improvviso, sentii la sua lingua esplorarmi le natiche. Mi leccava con veemenza, in maniera volgare. La sua lingua cercava di violare le difese del mio buchetto. Cominciai a gemere di piacere. Sentivo la sua barba sulle chiappe. Andò avanti per cinque minuti, poi si arrestò e disse:
-“Vedi che ti ho leccato il buco del culo? E non ti ho chiesto se fosse pulito. Muoviti o ti rovino!”.
Così dicendo, con forza mi fece distendere sul divano e senza troppi complimenti si sedette proprio sulla mia faccia. La mia eccitazione era tanta e m’impediva di pensare. Cominciai a leccare quel culo che il duro lavoro aveva reso irresistibilmente tosto. Non mi ponevo più il problema se fosse stato pulito o no. Il mio dovere, ora, era quello di leccarlo. Il suo peso mi era di ostacolo, ma non riuscivo a lamentarmi. Si muoveva strisciandomi le chiappe da su in giù in una danza volgare ma bellissima. Sentivo le sue palle calde adagiarsi sul mio mento. Gemeva anche lui, il porco, e ogni tanto si lasciava andare a qualche insulto che il piacere rendeva poco più di un sussurro.
-“Dai frocetto tedesco… lecca il mio culo. Brava.. Da cagna”
Io ero in balia della goduria e quel senso di sottomissione mi mandava in estasi. Non avevo più cognizione del tempo, ma cominciai a desiderare sempre di più. Quando fu abbastanza soddisfatto della leccata al culo si voltò e si mise su di me. Allargai le gambe d’istinto e piazzò quel totem pulsante tra le mie cosce. Con le sue braccia possenti si teneva sollevato su di me e potevo vederlo in viso mentre faceva scivolare il cazzo tra le mie gambe come se stesse scopando una comune puttana. Gli afferrai le chiappe sode e sudate, spingendolo sempre più verso di me, mentre alcune gocce del suo sudore cadevano sul mio corpo eccitato.

Poco dopo, con un movimento agile si mise capo sotto e m’infilò il cazzo in bocca. Me la scopava come fosse un buco del culo slabbrato e, cosa inaspettata, cominciò a leccare il mio cazzo, che non era come il suo, ma si difendeva piuttosto bene.
-“Profumi di bagnoschiuma”, disse tra un gemito e un altro.
-“Sei proprio un perfettivo tedesco succhia minchia!”.
Non mi dispiacevano questi epiteti, anche perché aumentavano il mio stato di eccitazione. Io ne avevo di resistenza ma in quel contesto.. mm.. così lo avvertii che stavo per sborrare. Con mia enorme sorpresa, strinse più forte la base del mio uccello con le labbra affinché non lo tirassi fuori. Gli venni in bocca e il maiale bevve tutta la mia calda crema. Ero sudato ed esausto ma il manovale continuava imperterrito a scoparmi la bocca.
-“Ora devi bere tu cagna!”.
E così, dopo altri interminabili minuti, esplose tutta la sua potenza dentro di me, con un grido che superava il limite della volgarità.
I suoi schizzi errano proiettili bollenti che mi arrivarono dritti in gola. Non finivano più ed io, ormai completamente avvolto dal piacere, curai bene di ingoiare tutto.

Finito l’amplesso ci sedemmo sul divano uno accanto all’altro e l’operaio, sorprendendomi ancora, mi cinse con un braccio. Pensai, con stupida ingenuità, che volesse lasciarsi andare a qualche momento di coccole. Vedevo gocce di sudore che imperlavano il suo petto villoso e definito. Il suo cazzo era ancora barzotto e bellissimo, ma non ci fu alcun momento di tenerezza.
-“Esci fuori la lingua e leccami il sudore”.
-“No, dai, non mi va”.
L’eccitazione era passata e non intendevo continuare a fare porcate. Ma la sua morsa intorno al collo si strinse sempre di più e lo stronzo mi portò con forza la faccia sui suoi pettorali bagnati.
-“Non ti ho chiesto se vuoi farlo, ti ho ordinato di farlo!”
Quel tono perentorio e minaccioso riaccese in me la fiamma del desiderio e senza ulteriori proteste eseguii il comando. Anzi, feci di più. Non mi limitai a leccargli il petto, ma gli passai in rassegna con la lingua tutto il corpo, soffermandomi sul cazzo, che tornò imponente, e sui piedi forti e maschi.
Poi mi sollevò da terra e ci mettemmo in piedi.
-“Andiamo in bagno, devo pisciare”.
-“Vuoi che te lo reggo?” Risposi sogghignando.
-“Più o meno”, concluse ridendo. Mi prese da un braccio e si fece guidare in bagno. Poi, con una cera violenza mi fece entrare nella vasca, steso.

-“No, questo no!” protestai energicamente. E allora mi tirò un ceffone. La sua mano grande e forte mi colpì in pieno viso e i miei occhi si bagnarono di lacrime. Benché fossi terrorizzato e avessi paura della sua violenza, il mio corpo, ignaro degli stimoli del cervello, proseguì per la sua strada. Sorrise e mi ordinò:
-“Stenditi puttana o entro stasera tutta la città saprà che razza di succhia cazzi sei!”.
Non replicai ulteriormente e mi distesi nella vasca. Lui era in piedi e le sue gambe bloccavano le mie braccia. Mi puntò il cazzo, meno tosto di qualche istante prima, sul volto e cominciò a pisciare. Serrai le labbra mentre il suo caldo getto mi giungeva dritto sul viso e sul petto. Sentivo puzza di piscio eppure la situazione mi piaceva. Mi rilassai aspettando che finisse. Ma quanta ne aveva!
Quando ebbe terminato aprii gli occhi e lui mi guardava serio e nei suoi occhi balenavano lampi di desiderio.
-“Ora piscia tu!” affermò nel suo solito tono imperativo.
Senza aspettare una mia risposta mi alzò e si sedette di fronte a me. Tentennai un attimo e poi anch’io iniziai a pisciare. Gli puntai il getto su corpo e sul viso e con mio grande stupore l’operaio aprì la bocca e bevve. Quando ebbi finito si alzò e, prendendomi dalla nuca, portò la mia bocca sulla sua. Ancora una volta pensai stupidamente che si stesse lasciando andare a un momento di dolcezza. E invece, non appena aprii la bocca per accogliere la sua lingua, il mio stesso piscio che aveva tenuto me lo riversò direttamente in bocca e non potei far altro che ingoiare. Rise malvagiamente mentre io tossivo e cercavo di sputare.
Ci lavammo e quando si rivestì, disse:
-“Tornerò tra due giorni”, disse andando via.
-“Ma io non so se ci sarò”, risposi sinceramente.
-“Tra due giorni alla stessa ora. E se non ci sarai sai cosa succede!”.
-“No, dai. Per favore. Ho fatto tutto quello che volevi..”
Si voltò appena e continuò:
-“Quel video.. Non esiste proprio, mai fatto. Ma ti volevo e ti voglio.. ancora”.
E andò via.
Restai basito e a batticuore esclamai:
- “Italiener!.. Che gran figli di..” e scoppiai a ridere!


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