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Cazzo di Ferro - 1


di adad
04.04.2024    |    2.415    |    4 9.9
"Ma erano amici da lunga data e il disagio passò presto, mentre sorseggiavano una birra ghiacciata..."
Lo chiamavano Cazzo di Ferro perché era capace di soddisfare ripetutamente una donna anche tre o quattro volte di seguito, senza perdere un centimetro di erezione tra una performance e l’altra. Ovvio che la terza o quarta sborrata non avevano la quantità e la consistenza delle prime due, ma erano comunque accettabili e, del resto, mai nessuna si era lamentata.
Il suo record lo aveva toccato una sera in cui si era ammucchiato con ben cinque signore e le aveva soddisfatte tutte e cinque una prima e una seconda volta. Certo, mentre ne scopava una, le altre non se ne stavano con le mani in mano: lo carezzavano, lo leccavano, lo mordicchiavano, gli tiravano le palle: mettevano in atto, insomma, tutti quegli espedienti atti a prolungare l’eccitazione del maschio.
Una confessò più tardi di avergli anche infilato due dita nel culo, ma di questo non se n’è mai avuta la conferma.
Era anche un bell’uomo, Andrea Cazzo di Ferro: quarant’anni portati magnificamente, grazie alla sua vita attiva e ad una dieta sana; fisico snello, muscoloso al punto giusto, pancia solo leggermente ammorbidita da un velo di grasso. E poi, un volto da attore hollywoodiano, dai lineamenti perfetti e labbra carnose, incorniciato da una morbida chioma biondo-castana e da una corta barba che attirava le carezze fin dal primo sguardo.
Madre Natura era stata generosa con lui, anche nelle parti basse, e lui sapeva come mettere a frutto quelle doti nel migliore dei modi.
Poi, una sera successe: era con una signora che aveva durato fatica a conquistare, e sul più bello, proprio quando si apprestava al secondo godurioso assalto, l’arma fece cilecca, il cazzo inspiegabilmente gli si ammosciò, accartocciandoglisi nel profilattico proprio sull’apertura in cui era sua intenzione penetrare. Rimase interdetto, non gli era mai successo; lo assalì un imbarazzo, che si fece ancora più profondo, quando la donna mormorò quel deluso “Non fa niente, succede”, che fu un vero colpo mortale per la sua autostima, mai messa in difficoltà, prima di allora.
Cercò di rimediare, usando la lingua, le mani e tutto quello che aveva a disposizione, ma il danno era fatto e la serata si concluse poco dopo, e senza quelle carinerie che anche fra amanti occasionali rendono meno triste il commiato. Ma soprattutto senza quel “Quando ci rivediamo?”, che in altre occasioni, altre signore gli avevano sussurrato all’orecchio.
L’inconveniente si ripeté diverse volte, nonostante le scatolette di Viagra et similia, che l’uomo assumesse regolarmente ad ogni incontro. Insomma, dopo la prima, il cazzo sembrava perdere ogni sensibilità, come se qualcuno avesse spento l’interruttore, e non c’era verso di riportarlo in vita.
La sua fama cominciò a declinare, tanto che il povero Andrea, ex Cazzo di Ferro, dovette cominciare ad accontentarsi delle avventurette da una volta e basta.
Ma se la prima volta che non era riuscito a farsi la seconda lo aveva spaventato, a gettarlo nel panico fu la seconda volta che non riuscì a farsi neanche la prima!
A parte la figuraccia con la signora in questione, di cui francamente gli interessava poco o niente, a terrorizzarlo era la prospettiva di essere diventato impotente. Per quale motivo da Cazzo di Ferro nel volgere di poche settimane si era mutato in Cazzo Frollo? Raddoppiò le dosi di Viagra, ma niente: non gli veniva duro neanche per farsi una sega davanti a un porno. Consultò qualche esperto che lo visitò, lo rivoltò come un calzino, gli prescrisse perfino i bagni termali, ma niente: il cazzo gli rimaneva un pendaglio di carne morta, utile ormai soltanto per pisciare.
Andrea cadde in depressione, si ritirò in casa e, tranne le uscite per il lavoro, prese a vivere il suo tempo in assoluta solitudine.
Intanto, la sua assenza era stata notata nella cerchia di amici e molti si chiedevano che fine avesse fatto Cazzo di Ferro; in special modo se lo chiedeva Ermanno, uno degli amici più cari e intimi. Aveva provato più volte a chiamarlo sul cellulare, ma non aveva ottenuto risposta, così si era preoccupato e una sera decise rompere gli indugi passare a casa.
Era una tiepida serata di maggio e Andrea, appena finito di mangiare qualcosa, si era sdraiato sul divano in boxer e. maglietta per guardarsi un film in tv.
L’aria tiepida entrava dalla porta aperta del balcone, dandogli un senso di sollievo, per quello che poteva essere.
Aveva appena acceso il televisore, quando sentì il campanello alla porta d’ingresso. Il suono stridulo lo fece sobbalzare. Chi poteva essere? Decise di ignorarlo, chiunque fosse. Ma poco dopo il campanello tornò a suonare e in maniera più insistente: evidentemente dovevano aver visto le finestre illuminate: tanto valeva aprire.
Andò alla porta, fece scattare la serratura, rendendosi conto solo allora del suo abbigliamento, ma ormai era troppo tardi e in fin dei conti era a casa sua.
“Sei vivo, allora?”, gli fece Ermanno sorridendo, appena l’altro aprì la porta.
“Si direbbe di sì.”, rispose Andrea, facendosi di lato.
“Cosa ti è successo, che non ti si vede più in giro?”
“E’ un momento difficile… ho bisogno di stare da solo.”
Ermanno si sentì turbato da quelle parole; era ancora sulla porta:
“Beh, se vuoi, vado via…”, mormorò.
Solo allora Andrea si rese conto della sua scortesia.
“Ma no, cosa dici? – esclamò, prendendolo per un braccio – Vieni dentro e… scusami, - aggiunse accennando al suo abbigliamento – ma non aspettavo visite.”
“Figurati, - fece Ermanno – sei sempre un bell’uomo e, poi, ti ho visto messo peggio!”
Andrea sorrise ricordando quella volta che l’amico lo aveva sorpreso nudo negli spogliatoi della palestra, mentre si stava rivestendo, dopo la doccia. Il ricordo gli suscitò un certo imbarazzo.
“Accomodati, - fece – vado a mettermi qualcosa addosso.”
“Ma no, resta pure così: non mi formalizzo mica!”, disse però Ermanno, prendendolo per un braccio e tirandolo a sedere vicino a sé sul divano.
Andrea si sentiva un po’ a disagio a stare lì mezzo nudo e soprattutto con quei boxer larghi, che gli davano l’impressione di mostrare tutto. Ma erano amici da lunga data e il disagio passò presto, mentre sorseggiavano una birra ghiacciata.
“Allora, che ti è successo?”, fece Ermanno dopo un po’.
“Che vuoi dire?”
“Beh, sei scomparso dalla circolazione, non ti si vede più… Cominciamo a essere preoccupati.”
“Preoccupati, chi?”, disse Andrea con un filo di scetticismo.
“Tanto per cominciare, io.”
Andrea lo fissò, leggendo la sincerità nei suoi occhi; poi fece spallucce.
“Avevo bisogno di starmene un po’ da solo… ho bisogno di starmene un po’ da solo.”
“Ti è successo qualcosa?”
“N… no.”, rispose Andrea, distogliendo lo sguardo.
“Ah, non me la conti giusta! – fece Ermanno, voltandosi verso di lui – Eri l’animatore del gruppo, lo sciupafemmine per antonomasia e adesso te ne stai qui, chiuso in casa, che non esci e non rispondi al telefono. E vorresti farmi credere che non ti è successo niente?”
Andrea non rispose, guardando altrove con espressione torva.
“Come vuoi. - disse allora Ermanno con una certa amarezza nella voce – Spero che non ce l’hai con me per qualcosa…”
“No, non c’entri niente tu…”
“Questo mi rassicura… Comunque, se vuoi rimanere da solo, forse è meglio che me ne vada.”, e fece l’atto si alzarsi.
Ma all’improvviso un senso di panico colpì Andrea al pensiero di rimanere da solo, di passare la serata gettato su quel divano come un sacco di patate a deprimersi ancora di più con qualche insulsaggine televisiva.
“No, per favore resta… - disse, afferrandolo per il polso e trattenendolo – per favore…”
Stupito, Ermanno tornò a sedersi e gli passò un braccio sulle spalle.
“Okay, - disse con voce commossa – e tieni presente che qualunque cosa sia, io ci sono sempre per te.”
Lo strinse a sé e stava per dargli un bacio sulla guancia, ma si frenò in tempo: certe effusioni tra maschi non sono consentite e lui non voleva che l’amico potesse equivocare. Ma Andrea sentì quel moto di affetto e questo valse a sbloccarlo.
“Non mi tira più…”, mormorò con un filo di voce e lo sguardo fisso a terra. Ermanno non fu sicuro di aver capito bene.
“Che vuoi dire?”
“L’uccello… - fece Andrea, adesso con più animo – non mi tira più. Quando sono lì che sto per metterlo è come se girassero un interruttore e si affloscia tutto.”
“Accidenti… - disse Ermanno – è una vera disdetta. Ma forse si tratta di un qualcosa momentaneo, magari un po’ di stress… Non è possibile che il cazzo di ferro non ti funzioni più.”
“Già, il cazzo di ferro… - mormorò l’uomo con amarezza – è andato, finito… non riesco più neanche a…”, e si vergognò troppo a confessare che non gli veniva duro neanche per farsi una sega.
“Sono un uomo finito…”, gemette Andrea, coprendosi il volto con le mani e scoppiando a piangere.
“E no… non fare così. – cercò di consolarlo l’amico, poggiandogli inconsciamente una mano sulla coscia pelosetta – Ci deve essere una soluzione… Hai provato con… qualche rimedio naturale?”
“Ho provato col Viagra, col Cialis… Niente… morto come il cadavere di un annegato.”
Ermanno sorrise a quel paragone, mentre si sentiva fremere i polpastrelli delle dita per i peli e il calore della coscia. Inconsciamente, spostò la mano ancora più su, infilando la punta delle dita sotto la larga sgambatura dei boxer a pantaloncino.
“Ne hai parlato con qualcuno?... magari un andrologo o uno psicologo?”
Andrea scosse la testa.
“Non è servito a niente?”
“Certo, è un bel casino…”, convenne Ermanno, mentre inconsciamente le sue dita sfioravano le palle pelose.
“Che fai? – sembrò riscuotersi Andrea – Mi tocchi le palle, adesso?”
“Oh, scusa… non me n’ero accorto. – fece Ermanno, tirandosi subito indietro - Stavo cercando di tirarti su e la mano ci è andata da sola… scusami.”
Stettero in silenzio, mentre Andrea lo fissava imbronciato e lui cercava di darsi un contegno.
“Però, devo dirtelo, - riprese Ermanno dopo un po’ – quando ti ho toccato, mi è sembrato… forse non è proprio tutto morto lì sotto, come vorresti credere. Forse potrei…”
“Potresti cosa?”, fece Andrea, mettendosi sulla difensiva.
“Provare a fartelo tirare…”
“Ma che diavolo dici? Sei diventato frocio per caso?”
“Frocio… frocio… - sbottò seccato Ermanno – Diciamo che sono ambivalente… fluido, come dicono oggi… Mi piace la figa e lo sai! Ma mi diverto anche con il cazzo, non ho problemi.”
Andrea lo fissò, quasi incapace di capire: era la prima volta che glielo sentiva dire; mentre nel frattempo, ripreso coraggio, Ermanno gli infilava decisamente la mano sotto la larga sgambatura dei boxer e con un brivido gli prendeva lo scroto grosso e molle.
“Dai, smettila…”, tentò-Andrea una debole difesa, afferrandogli l’avambraccio e cercando di allontanarlo, sia pure senza troppa energia.
Ma Ermanno aveva tutt’altre idee per la testa: ne era da sempre affascinato, anche se i suoi desideri erano stati tenuti a bada dall’assoluta eterosessualità dell’amico. Stavolta, però, era diverso: vederlo così fragile, era valso ad abbattere le barriere del suo riserbo e a dargli il coraggio di passare all’azione.
Resistendo alle ripulse di Andrea, Ermanno giocò un poco con le sue grosse palle, poi spostò le sue cure sul bigolo caldo e molle, carezzandolo e stringendolo con delicatezza nella mano.
“Non reagisce, vedi?”, constatò Andrea.
“Dammi ancora un po’ di tempo.”, disse Ermanno, continuando le sue manovre.
Non gli pareva vero di poter maneggiare il cazzo dell’amico, su cui tanto aveva fantasticato. Certo, non era quella la situazione ideale, ma anche moscio, quell’organo lungo e carnoso gli dava sensazioni incredibili. E forse fu questa emozione a riaccendere uno spirito vitale in quelle carni inerti: all’improvviso e inaspettatamente, proprio quando stava per dirgli di smetterla, Andrea sentì un formicoli nelle palle e un vago afflusso di sangue nelle vene cave. In breve, gli effetti si fece evidenti.
“Mi sbaglio o qualcosa si sta muovendo, qui sotto?”, mormorò Ermanno, palpando la maggiore consistenza dell’organo.
“Non riesco a crederci…”, sospirò Andrea, sospeso fra l’incredulità e l’emozione.
“Che ne dici di darci un’occhiata?”, disse allora l’altro, sbottonandogli i boxer con mossa rapida.
L’uccello era ancora mezzo molle, quando Ermanno lo estrasse, col la mano cucchiaiando fuori dalla patta anche le palle, ma tanto bastò a fargli sbarrare gli occhi e fremere le narici di sana libidine, alla vista di quel conturbante spettacolo.
“Accidenti!”, mormorò, prima di riprenderlo in mano e portarlo con due sveltine al suo pieno turgore.
“Il famoso Cazzo di Ferro…”, esclamò, deglutendo con la gola secca.
“Non riesco a crederci… - ripeté Andrea quasi allocchito – Come ci sei riuscito?”
“Modestamente, ci so fare con il cazzo.”, ghignò l’amico.
Riportato in vita, dopo tanti mesi, l’uccello si ergeva fiero e gagliardo, con il glande interamente scappellato, dalla cui sommità sgorgava un sugo viscoso, che colava giù, fino a impiastricciare la mano di Ermanno.
“Mio dio!”, fece questi ormai fuori di sé, e preso da un impulso irrefrenabile si calò sul cazzo miracolato, ingoiandone in un colpo solo quasi la metà.
“Che fai?”, ebbe appena tempo di esclamare Andrea, prima di strabuzzare gli occhi, travolto dall’improvviso piacere.
“Quello che è giusto…”, biascicò Ermanno con la bocca impastata, mentre prendeva a leccare tutt’attorno il fusto poderoso.

(continua)
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