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Gay & Bisex

Per giocare con entrambi - 2


di adad
30.01.2019    |    10.016    |    6 9.4
"Poi fu il mio turno e quanto gli diedi dovette essere di suo gradimento, vista la voluttà con cui la bevve e l’accanimento con cui andò avanti a succhiare..."
Queste parole sembrarono giungermi all’orecchio da chissà dove e sul momento non ci badai neppure.
“Brave, troie… apritevelo bene!...”
Mi resi conto che qualcuno stava parlando nella stanza. Sobbalzai, per un riflesso
istintivo, e scostato il culo di Giulio, nel cui spacco tenevo affondato il volto, mi girai nella direzione da cui era venuta la voce.
Rimasi a di poco strabiliato: appoggiato con una spalla allo stipite della porta, intento a guardarci, c’era l’altro… un ragazzone biondo… atletico… jeans… e un ghigno lascivo che gli illuminava il volto, mentre si passava leggermente un mano all’inforcatura delle cosce. Richiamato dal fatto che avessi interrotto il lavorio attorno e dentro il suo buco del culo, anche Giulio si riscosse: sollevò la testa e si accorse pure lui del compagno.
“Ehi, ciao.”, gli fece.
“Vedo che avete già cominciato.”, disse l’altro, venendo verso di noi.
“”Non sapevamo quando saresti arrivato…”, si scusò Giulio, togliendomisi da sopra e alzandosi in piedi.
Io mi tirai a sedere.
“Avete fatto bene. Scusami per il ritardo, - continuò rivolto a me – sono Paolo.”, e mi tese la mano.
“Gianni”, mi presentai, stringendogliela.
Era una mano forte e asciutta, che mi trasmise immediatamente un flusso di libidine per tutto il corpo.
“Continuate pure, - fece allora lui – vado a darmi una rinfrescata e vi raggiungo.”
“No, rimani.”, dissi d’impulso, trattenendolo per una mano.
Paolo mi fissò e il suo ghigno si fece ancora più lascivo.
“Ah, ti piace la carne ben condita...”
Ma io gli sbottonavo i jeans, già gli frugavo nella patta, dentro le mutande sudate… trovavo il bigolone ancora molle e glielo tiravo fuori! Paolo scoppiò a ridere.
“Ehi, - lo sentii dire a Giulio – non perde tempo l’amico!”
Fissai il meraviglioso biscio che avevo estratto dalla tana: si stava appena incordando ed era già quasi più grosso del mio in piena erezione! Tirai giù leggermente la pelle carnosa del prepuzio e mi apparve la punta rosata del glande, le labbruzze già roride del taglietto.
Accostai il volto. L’odore era forte, ma non sgradevole: era l’odore del cazzo, del cazzo che ha sudato nel chiuso delle mutande, che ha pisciato da poco, che ha sbavato nell’aspettativa del sesso.
Lambii il taglietto con la punta della lingua: era pieno di liquido viscoso. Lo lappai un paio di volte, gustandone il sapore acidulo. Poi ci avvolsi attorno le labbra e spinsi leggermente, sgusciando il glande e ingoiandolo in un unico movimento.
“Uau!”, esclamò Paolo.
“Gli piace!...”, sentii Giulio che gli diceva.
La morbida prugna era viscida di sugo maturo, mentre la succhiavo avidamente, spremendola fra lingua e palato. Ma durò poco: in breve il cazzo di Paolo raggiunse la piena erezione e dovetti togliermelo dalla bocca, tanto la cappella si era ingrossata, come pure il gambo fremente che non riuscivo quasi più a cingere con le dita.
Allora rimasi a fissare con gli occhi sbarrati quel muscolo guizzante, il glande rosa scuro che allargava sfrontato la sua cresta come un cobra furioso, il fusto massiccio che, solo a vederlo, suggeriva l’idea di tutta la sua maschia potenza.
Lo carezzai più volte, non riuscendo a credere ai miei occhi… Era la prima volta che vedevo un organo del genere.
“Impressionante, vero?”, mi disse Giulio, poggiandomi una mano sulla spalla, come ad incoraggiarmi.
Non risposi, fissavo ammaliato quel nerchione, senza parole.
“E sentirai quando te lo mette!...”, continuò Giulio.
Paolo ridacchiò e, agganciatosi ai fianchi con i pollici la cintura dei jeans, prese a tirarseli giù, dimenando un po’ il sedere. Erano talmente stretti, che si portarono dietro anche le mutande, scoprendo a poco a poco un cespuglio aggrovigliato di riccioli biondi ie poi lo scroto voluminoso, stranamente glabro, che ricadde pigramente, una volta privato del sostegno, trascinato in basso dal peso dei grossi ovuli.
“Cazzo…”, mormorai a fior di labbra, mentre un impulso irresistibile mi attirava verso quella borsa voluttuosa, ricolma di dolci promesse.
La slinguai un paio di volte e il gusto asprigno della pelle sudata mi pizzicò il palato. In quel momento, mi accorsi che Giulio gli era andato alle spalle e gli stava calando jeans e mutande fino alle caviglie.
Paolo ci sgambettò fuori e li allontanò con un calcio. Adesso era nudo pure lui e il suo apparato genitale mi si mostrava in tutta la sua spettacolare grandiosità. A questo punto, inaspettatamente, Paolo mi diede la schiena, si piegò leggermente in vita e si allargò le natiche con le mani, offrendomi alla vista un roseo bottoncino serrato. Non c’era alcun dubbio che fosse vergine!
“Leccami il culo… dai, puttana!”, mi intimò con voce roca, e io lo lappai diverse volte a tutta lingua, prima di iniziare spingercela dentro.
Lo sentii fremere e sguaiolare debolmente, mentre Giulio gli si inginocchiava davanti e
prendeva a lavorargli il cazzo. Un manzo del genere aveva tutto il diritto alla nostra adorazione. Io lo leccavo dietro e Giulio lo pompava davanti: non c’erano dubbi che in breve sarebbe esploso! Ma non era quello che volevamo, nessuno dei tre, non così presto!
Paolo si riscosse.
“Andiamo di là…”, mormorò con l’aria un po’ stralunata, e presomi per mano, si diresse verso la camera.
Qui giunto, si distese sul letto a gambe larghe, le braccia dietro la nuca e il cazzo svettante in tutta la sua monumentalità, della serie: Accomodatevi, sono tutto vostro!
Io e Giulio ci sistemammo uno per lato, e ci mettemmo alacremente al lavoro. Gli leccammo il petto, gli succhiammo i capezzoli, gli sgrufolammo nell’incavo peloso delle ascelle, inebriandoci all’acre aroma dei peli sudati, lo slinguammo fino alle unghie dei piedi, lasciandoci per ultimo il suo centro vitale, sul quale alla fine ci concentrammo con rinnovata e cupida alacrità.
Paolo gemette, quando demmo l’assalto alla sua fortezza, combattendo strenuamente a colpi di lingua dalle fondamenta ribollenti fino in cima, alla merlatura fibrillante; e urlò e si contorse selvaggiamente, quando alla fine lo costringemmo alla resa. Il cazzo gli si tese allo spasimo e mi resi conto che stava per sborrare. Allora, corsi ad avvolgere con le labbra la punta congestionata e il suo primo fiotto mi dilagò sulla lingua denso e dolciastro.
Rapido, Giulio mi spinse di lato e si avventò a raccogliere il secondo schizzo di sugo; dopo di che, ci ritrovammo entrambi attorno all’enorme glande a contenderci ogni goccia che fluiva dal taglietto, finché il bigolone non fu del tutto moscio.
Ma io ero tutt’altro che sazio, avevo ancora voglia di sborra, così mi buttai su Giulio e presi a spompinarlo con foga. Quello non perse tempo: animato evidentemente dal medesimo bisogno, si girò su di me e demmo inizio ad un frenetico sessantanove sotto gli occhi divertiti di Paolo, che intanto riprendeva fiato.
Giulio fu il primo a venire: con un guaito smorzato, si immobilizzò un istante e poi fu come se si fosse aperto un rubinetto, tanta fu la quantità di liquido che mi inondò la bocca con flusso continuo. La sua sborra era meno densa quella di Paolo e leggermente più asprigna.
Poi fu il mio turno e quanto gli diedi dovette essere di suo gradimento, vista la voluttà con cui la bevve e l’accanimento con cui andò avanti a succhiare. Alla fine ci avvicinammo a Paolo, che ci tirò a sé e ci baciò uno dopo l’altro.
“Avete la bocca che sa di sborra!”, disse con una smorfia di disgusto, ma continuò a baciarci, ravanandoci in bocca con la sua lingua pastosa.
Rimanemmo tutti e tre distesi sul letto, immobili, silenziosi, e per un momento temetti che avessero già finito. Per conto mio, quello era stato solo un leggero antipasto, giusto per stuzzicarmi l’appetito. E per sgombrare il campo da ogni possibile dubbio, mi rigirai e presi a slinguare delicatamente la punta bagnaticcia del cazzo di Paolo, ben presto imitato da Giulio, che sembrava intenzionato a non perdersi niente.
“Lo so che ne avete ancora voglia, puttanelle viziose… - ridacchiò Paolo – Dai, allora, datevi da fare, guadagnatevi la pagnotta!”
Incitati da quelle parole, prendemmo a lavorare con tutto il nostro impegno: insieme gli slinguavamo il glande scappellato e via via più turgido, ce lo passavamo di bocca l’uno con l’altro; poi io leccavo le palle e lui la punta, dandoci il cambio con perfetta sincronia.
Ben presto, il nerchio di Paolo tornò a torreggiare in tutta la sua magnifica imponenza. Fu allora che lui si riscosse e prese a succhiare il mio, intanto che io mi davo da fare su quello di Giulio. Non era la prima volta che mi capitava un pompino a tre, ma confesso che mai era stato così godurioso. Paolo sarà stato anche solo attivo, ma succhiare il cazzo gli piaceva e come! E gli piaceva anche leccare le palle e allungare la lingua per qualche golosa puntatina al buco del culo… Andammo avanti a lungo, scambiandoci di posizione, così che ognuno di noi ebbe modo di ricevere il tributo caloroso degli altri due. Alla fine non ne potevo più d’aspettare.
“Dai, - dissi, mettendomi a pecora – inculatemi, cazzo! inculatemi tutti e due!” , e mi allargai le natiche con le mani, mostrando loro il pertugio grondante di saliva.
Il mio appello non cadde nel vuoto: subito quattro mani si protesero a lisciarmi il culo e non so quante dita a vellicarmi il buco.
“Inculalo prima tu, - disse Paolo a Giulio – così me lo apri bene.”
Era questo, dunque, il loro modo d’agire: Giulio faceva da apripista, preparava la strada, poi arrivava Paolo e terminava l’opera. Gemetti, quando un paio di dita scivolose mi penetrarono nel condotto, scorrendo e rigirandosi più volte, per completare la preparazione.
Quindi Giulio mi venne dietro, mi posizionò il glande sul pertugio ammorbidito e diede una leggera spinta, sgusciando come niente al di là dello sfintere. Accolsi il suo ingresso con un gemito soffocato, ma più che altro per la sua soddisfazione, in realtà non opposi alcuna resistenza alla sua penetrazione: il suo era un calibro per il quale ero tarato e che mi procurava solo il grato piacere della sua calda presenza. Il mio sfintere si aprì docilmente e si adeguò senza sforzo allo spessore del punteruolo.
Con un unico fluido movimento, Giulio mi penetrò fino in fondo e dal solletichio dei suoi peli sulla mia pelle capii che era dentro tutto.
Allora mi allungai la mano fra le gambe per sincerarmene: i suoi coglioni mi penzolavano appena fuori dal buco stirato. Dopo un momento, durante il quale con uno sguaiolio soddisfatto ci macinammo contro, Giulio mi si chinò addosso, mi avvinghiò il petto con le braccia e cominciò a fottermi rapido e deciso come un cane alla monta.
Paolo, nel frattempo, mi era venuto davanti, si era disteso di schiena, con le gambe allungate ai nostri fianchi e il pirellone svettante, la cui cappella mi sfiorava le labbra. Non persi tempo e iniziai slinguare quel sòrbolo sugoso, che lui stesso si stringeva in mano, tenendolo nella giusta posizione.
Poi, d’un tratto, sollevò le gambe e le ripiegò all’indietro, fin quasi a poggiarsi le ginocchia sul petto: mi bastò, così, abbassare un po’ la testa per avere a portata di lingua i suoi coglioni penduli e soprattutto il suo meraviglioso orifizio, inviolato ma non per questo meno avido di attenzioni.
La passione con cui mi gettai su quella tavola imbandita fu tale, che mi dimenticai del tutto i piaceri che Giulio mi stava procurando col suo massaggio rettale, finché non mi accorsi che cominciava ad ansimare e a pompare scompostamente. Allora, mi concentrai su di lui e poco dopo avvertii distintamente le pulsazioni del suo cazzo in orgasmo, che mi procurarono un formicolio nelle palle e un senso di languore radiante attorno al buco del culo.
Dopo essersi scosso ancora un paio di volte, Giulio mi si adagiò sulla schiena e rimase immobile, ansimando e sempre stringendomi a sé. Poi si riscosse e si raddrizzò.
“Vieni”, disse a Paolo, cominciando ad uscire.
Paolo rotolò via e guizzò al suo fianco: il tempo che Giulio estraesse il cazzo, che già il glande di Paolo mi si inzeppava nel buco ancora aperto. Rabbrividii tutto ed un gemito mi sfuggì dalla gola, quando Paolo diede una leggera spinta e oltrepassò lo sfintere, andando poi avanti a colpetti decisi.
Contrariamente alle aspettative, però, non provai dolore, mentre il condotto mi veniva forzato da quell’organo imponente, bensì solo una sensazione di riempimento, fastidiosa all’inizio, ma poi via via più gratificante, mano a mano che lo sfintere mi veniva stirato ad un livello superiore.
Non riuscivo a crederci: stavo accogliendo un calibro del genere praticamente senza colpo ferire! Sapevo di avere il culo rotto, ma non immaginavo fino a questo punto. Mi allungai ancora una volta la mano fra le gambe e mi sfiorai l’anello con la punta delle dita: era teso fino allo spasimo, da farmi quasi temere che si sarebbe lacerato da un momento all’altro; ma sfiorarlo mi produsse una sensazione strana, conturbante. Poi allungai più indietro la mano e toccai la mazza scivolosa: ne mancava ancora almeno un terzo!
“Ti faccio male?”, mi chiese Paolo con voce rotta, continuando a spingere.
“No, - mormorai – ma non so se ci sta tutto!”
“Ci sta, ci sta, non preoccuparti…”
E infatti, poco dopo mi si adagiò addosso con un ultimo colpetto di assestamento, che mi strappò un gemito soffocato, avendomi colpito in un punto, a cui mai nessuno era finora arrivato. Poi cominciò e fu la scopata più sensazionale della mia vita! Si mosse dapprima lentamente, tirandolo un po’ fuori e poi rificcandolo dentro fino a dare un colpetto deciso, una volta giunto alla fine del percorso; poi cominciò ad allungare la vogata e ad accelerare il ritmo, finché arrivò ad estrarlo quasi tutto, risbattendomelo poi rapidamente dentro fino alle palle!
Il fusto di quel pistone era talmente grosso e talmente stipato nel mio condotto, che all’inizio ebbi la sensazione sconvolgente che nel venir fuori si trascinasse dietro tutto e diverse volte allungai la mano a tastarlo, bollente e scivoloso, nel suo possente
scorrimento dentro e fuori.
Poi fu come se tutto il mio corpo non esistesse più e mi ritrovai con l’attenzione concentrata unicamente sullo sfintere, che sentivo più slargato e languoroso ad ogni sua vogata. In breve diventai un tutt’uno con quel pistone stupefacente, che mi scorreva poderosamente attraverso l’anello formicolante.
Neanche mi accorsi di Giulio, che nel frattempo mi si era inginocchiato davanti e mi offriva il suo cazzo spompato da succhiare. Glielo presi in bocca meccanicamente, come per istinto, e a malapena avvertii il sapore asprigno degli umori viscidi di cui era sbavato.
E infine avvenne: con un ruggito, Paolo si contrasse e mi strinse a sé, quasi stritolandomi le costole, poi mi si abbatté addosso con un ultimo colpo violento e rimase immobile, abbandonandosi al piacere.
Le pulsazioni del suo cazzo mi martellavano sulla prostata e finirono di compiere l’opera: scuotendo la testa e quasi ingozzandomi sull’uccello di Giulio, che stavo succhiando, ebbi un duplice orgasmo di cazzo e di culo.
Lo sfintere in fibrillazione non resse più, sfilacciandosi goduriosamente del tutto, mentre le palle mi esplodevano, senza che neanche mi toccassi, rovesciando sul letto una seconda imponente sborrata. Giulio attese che il cazzo gli si smollasse un po’, quindi prese ad estrarlo, lentamente, ed ebbi la sensazione che si tirasse dietro pure le budella, da tanto che mi aveva riempito!
Quando il suo cazzo ricadde fuori molle, avevo il buco talmente sfranto e sfibrato, che non riusciva a richiudersi, dando così modo alla sborra, che quei due mi avevano versato nel ventre, di scolare tutta all’esterno.
Paolo mi allargò le natiche con le mani e rimase a guardare compiaciuto la voragine profonda, che appena allora cominciava a pulsare nel tentativo di richiudersi. Giulio lo raggiunse.
“Cazzo, - fece – lo hai sventrato!”
“Guarda, - disse Paolo – la sborra gli sta colando fuori…”
“Sembra la figa di una vacca!”
“Perché non hai mai visto il tuo, dopo che t’ho inculato!”, ghignò Paolo.
“Cazzo…”, ripeté Giulio, e mi infilò due dita nella voragine, rimestando nel liquame che scolava fuori.
O almeno, credo che fosse lui, perché in realtà io me ne stavo lì immobile, tuttora a quattro zampe, con la testa abbassata e gli occhi chiusi a godermi l’umiliante piacere di quell’esibizione oscena.
A poco a poco, il buco mi si richiuse e finalmente lo sfintere fece presa sulle due dita, che ancora avevo infilate dentro. Allora vennero estratte, e come se mi avessero scollegato da una presa di corrente, mi afflosciai sul letto a pancia in giù. Sentivo la coperta fradicia sotto di me.
Paolo e Giulio mi si stesero a fianco e mi strinsero fra loro due.
Andammo avanti così per l’intero pomeriggio, fermandoci giusto il tempo necessario a recuperare il fiato e riempire i serbatoi, anche se devo ammettere che le mie ultime sborrate furono alquanto sofferte e striminzite, poche gocce di un’acquetta insipida, che mi procuravano però un piacere ancora più straziante.
Mi scoparono e ci scopammo in tutte le possibili variazioni, talvolta ritrovandomi perfino stretto a sandwich fra loro due: io che inculavo Giulio, mentre Paolo inculava me. Alla fine della serata, l’unico pertugio rimasto inviolato era quello di Paolo, intorno al quale però sia io che Giulio ci eravamo consumati la lingua a leccarlo.
Ad un tratto, ci ritrovammo distesi sul letto, senza più neanche un grammo di energia, io con la guancia poggiata sulla pancia gorgogliante di Paolo ed in bocca il suo cazzo ormai irrimediabilmente floscio. Tutti e tre immobili, comatosi. Ed ecco, mi accorsi
che Paolo mi stava spostando la testa e sfilando il suo bigolo dalle labbra.
“Cosa c’è?”, chiesi, guardandolo con occhi vacui.
“Scusa, ma devo andare… - fece lui – sennò finisce che ti piscio in bocca.”
Ebbi un guizzo di rivitalizzante libidine.
“E non sarebbe una cattiva idea!”, ghignai, saltando in piedi e andandogli dietro.

FINE
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