Gay & Bisex

Guardone


di adad
13.02.2020    |    19.538    |    9 8.7
"Se lo posizionò perpendicolarmente sulla faccia col braccio teso e lentamente se lo calò verso la bocca, fino a prenderne in gola quasi la metà..."
Spesso le cose più incredibili ci accadono casualmente: credo che tutti ne abbiamo avuto la prova una volta o l’altra nella vita.
Quello che sto per raccontare accadde un giorno di luglio, nel tardo pomeriggio. Il sole era quasi al tramonto, ma faceva ancora un caldo terribile e e non c’era nessuno in giro.
Stavo tornando dal mio allenamento in palestra… Tranquilli, non sono né un culturista, né un patito della forma fisica: diciamo che mi piace tenermi in forma, vado in palestra mediamente tre volte a settimana e ho maturato un fisichetto di tutto rispetto. Del resto, se voglio invitare qualcuno a guardarmi e ad appetirmi, devo presentargli qualcosa di invitante.
Ok, ho usato il maschile “qualcuno” e c’è il suo porco motivo: non serve che ve lo spieghi. E se non lo avete ancora intuito, lo capirete fra poco.
Tornavo dalla palestra, dunque, ero tutto sudato e puzzavo da far spavento. Direte: ma non potevi farti una doccia, prima di andar via? Sì, potevo; ma si dà il caso che quel giorno per le docce e gli spogliatoi si aggirava un rompicoglioni, che trovavamo spesso a spiarci quando eravamo nudi per cambiarci o docciarci; niente di che, se si fosse limitato a quello: il guaio è che, nonostante gli insulti e le contumelie che si beccava, continuava a provarci, con una sfacciataggine senza pari. E siccome non avevo voglia quel giorno di mettermi a litigare, avevo preferito rivestirmi e tornare subito a casa.
Col caldo esterno avevo ripreso a sudare come una fontana, per cui non vedevo l’ora di arrivare a casa e darmi il meritato sollievo di una doccia appena tiepida. Per accorciare il percorso, allora, avevo preso per un viottolo che passava dietro alcune villette, rasente la bassa staccionata che ne recintava il giardino. C’erano anche degli alberi, per cui, accaldato com’ero, fu con vero sollievo che accolsi la loro ombra. Mi sentivo unticcio di sudore gli slip fradici incollati alle chiappe, facendomi pentire di non essermeli tolti per indossare soltanto i pantaloncini di felpa leggera con cui mi ero allenato, e ci sarei stato senz’altro più fresco.
Affrettai il passo, avvertendo maggiormente il fastidio, adesso che ci stavo pensando, quando mi giunse all’orecchio un leggero gemito, come qualcuno che si stesse lamentando. Mi fermai e mi guardai attorno: nessuno era in vista. Scrollai la testa e feci per riprendere il cammino, ma in quell’istante mi giunse un altro suono, un sospiro inequivocabilmente di goduria.
Ringalluzzito da un immediato fremito di libidine, guardai meglio tutt’attorno e fu allora che mi accorsi di una finestra al piano terra, seminascosta da un grosso cespuglio di ibisco. Mi spostai per vedere meglio, ma la visuale era comunque offuscata per la maggior parte. Cercai una posizione migliore, ma niente: l’unica cosa evidente erano le imposte aperte, forse fidando nella copertura del cespuglio.
Dopo un momento di esitazione, visto che di andar via non se ne parlava neanche, ormai incuriosito com’ero, saltai la bassa staccionata di legno e mi avvicinai silenziosamente alla finestra.
Le tende erano tirate, ma le falde, non accostate perfettamente, lasciavano uno spiraglio di una decina di centimetri. Mi posizionai aguzzando la vista e fu così che lo vidi nella penombra della stanza: un giovane che sedeva sul divano addossato alla parete giusto dirimpetto alla finestra. Era nudo, a gambe larghe e con la sinistra si carezzava i testicoli, mentre con la destra vogava mollemente su e giù lungo l’asta di un uccello grosso e carnoso. Aveva la testa abbandonata sullo schienale, gli occhi chiusi, e dalle labbra gli sfuggivano i lievi gemiti, che poco prima avevano attirato la mia attenzione.
Inutile dire che l’uccello mi schizzo subito alle stelle, mentre riprendevo a sudare abbondantemente e stavolta non solo per il caldo. Per fortuna la finestra era ad altezza d’uomo, così non feci fatica a trovare una posizione comoda da cui spiare quanto succedeva all’interno.
Il giovane, intanto, continuava imperterrito a masturbarsi, mentre io mi lisciavo il cazzo ingroppato sotto gli slip, non osando tirarmelo fuori, per paura che qualcuno mi sorprendesse. Il fatto che trovarmi su una proprietà altrui a spiare all’interno di una finestra fosse già di per sé, se non un reato, una cosa quanto meno inusuale e difficile da spiegare, non mi passò neanche per l’anticamera del cervello.
Lasciando ogni tanto di manipolarsi i coglioni, il tipo si prendeva il cazzo con la sinistra e, tenendolo diritto, con l’indice della destra raccoglieva il liquido che sgorgava copioso e se lo portava alle labbra, leccandolo e succhiandolo con un mugolio di piacere. Non sembrava che si stesse semplicemente dando piacere, ma che si stesse esibendo per qualcuno, solo che nessun altro era nel mio raggio visivo, né sentivo voci o altri rumori nella stanza, che non fossero i suoi.
Che si stesse esibendo per occasionali passanti? Che non fosse la prima volta che i suoi gemiti avevano attirato altre persone e, accortosene, se ne era eccitato a tal punto da spingersi a ripeterlo? Non ne avevo idea, ma la gente è strana e ognuno di noi ha le sue libidini. Una cosa è certa, però, che guardandolo mi stavo arrapando come una bestia!
Non so se lui si fosse accorto della mia testa che spuntava dal davanzale, ma l’impressione che mi dava era che quella esibizione fosse destinata a me e solo a me. E gli effetti erano sempre più devastanti sulla mia povera carne già debilitata dall’allenamento in palestra, dal caldo e dalle copiose sudate.
D’un tratto, il giovane sollevò le gambe e se le rovesciò sul petto, scodellandomi sotto gli occhi una perfetta, conturbante visione del suo buchetto roseo, appena coronato da un’aureola di radi peletti.
Il cuore prese a martellarmi nel petto, la mano mi scivolò sotto la cintura dei pantaloncini, senza che neanche me ne rendessi conto… Se c’è una cosa che mi fa scoppiare la testa è la vista di un buco di culo! Non capisco più niente, comincio a tremare, a fremere dalla voglia, dal bisogno di correre a baciarlo, a leccarlo… Sono un feticista del buco del culo, lo ammetto, e quello, così roseo, ingentilito dalla raggiera di minuscole grinze, sembrava ammiccare verso di me, sembrava chiamarmi, sembrava invocare la mia adorazione, i miei baci, le mie leccate… Afferrai con forza i bordi del davanzale, quasi sul punto di saltare dentro, ma riuscii a frenarmi, riuscii a superare quel momento di estraniante follia e me ne rimasi appostato all’esterno, con le tempie che mi pulsavano, la gola secca e il cazzo che mi scoppiava, annegato di sudore nelle mutande.
Con le cosce quasi incollate al suo petto, il giovane scivolò ancora più in fuori con il culo, si inumidì di saliva l’indice della mano destra e cominciò a vellicarsi il buco, roteandolo lentamente attorno all’orifizio e punzonandolo un poco dentro. Poi, si succhiò il dito medio e con esasperante lentezza se lo affondò nel retto fino in fondo! Veder scomparire il dito in quella carne viva mi strappò un gemito, ma non credo che lui mi sentisse, per lo meno continuò imperterrito la sua goduriosa esplorazione anale. E che fosse goduriosa non c’erano dubbi, stante i brividi che gli vedevo percorrere il corpo e i sospiri languorosi che emetteva a fior di labbra.
Andò avanti un bel pezzo, mentre io boccheggiavo, ormai del tutto preso dallo spettacolo a cui stavo assistendo. Al medio si era aggiunto anche l’indice a scavargli nel culo e poi anche l’anulare: lentamente, quel porco si stava chiavando con le sue stesse dita e la cosa gli piaceva… e piaceva anche a me!
Poi tolse le dita e la sua fighetta si richiuse pulsando… Quanto avrei voluto infilarci la lingua, prima che si serrasse del tutto!
Senza muoversi da quella posizione, il giovane riprese a masturbarsi l’uccello, che nel frattempo gli si era ammosciato, fino a riportarlo al suo giusto turgore.
Tutto dava l’idea che volesse concludere e mi preparai ad assistere alla schizzata finale, ma non era così; infatti, sempre continuando a menarsi il cazzo con la destra, allungò il braccio sinistro e afferrò qualcosa: quando rientrò nel mio campo visivo teneva in mano un grosso dildo di quelli super realistici, con tanto di palle. Se lo posizionò perpendicolarmente sulla faccia col braccio teso e lentamente se lo calò verso la bocca, fino a prenderne in gola quasi la metà. Lo succhiò, lo leccò tutt’attorno alla cappella, lo risucchiò, sempre continuando a gemere e a masturbarsi; infine, se lo tolse dalla bocca, se lo avvicinò al culo e premette la cappella sul buco… Lo sfintere fece resistenza, allora lui raccolse col dito un grumo di saliva e se lo spalmò attorno al buchetto; poi, tornò a postarci sopra il dildo e premette con decisione. Il dildo cominciò a penetrarlo, mentre lui si masturbava sguaiolando e roteando piano il bacino per agevolare operazione.
Quando il dildo fu entrato circa della metà, lui smise di masturbarsi e mentre con una mano continuava a spingersi dentro l’arnese, con le dita dell’altra prese a massaggiarsi tutt’intorno lo sfintere stirato e presumibilmente dolorante.
Io ero fuori di me e mancò poco che prendessi la rincorsa e saltassi dentro, non so neanch’io per fare cosa, magari per prendergli in bocca il cazzo sbavato e succhiarglielo di brutto. Se lui ansimava di goduria, io ansimavo di bramosia non meno di lui.
Quando il dildo fu tutto dentro, il giovane rimase fermo e immobile, l’unica cosa a muoversi era il suo petto a ritmo col respiro. Ed ecco che prese con una mano l’estremità del dildo, lo estrasse di qualche centimetro e poi lo rispinse dentro… ancora un po’ fuori e ancora dentro, con un movimento che andò facendosi sempre più sostenuto a mano a mano che l’impaccio diminuiva, sostituito da un piacere sempre più coinvolgente. Infine, quando ormai il dildo scorreva con scioltezza dentro e fuori, lui riafferrò il suo cazzo, che non aveva perso una stilla di turgore e riprese a masturbarsi con foga. Quello che seguì è un turbinio di immagini e sensazioni di cui non ho sufficiente chiarezza. Ricordo il dildo che stantuffava dentro e fuori dal suo culo, ricordo la sua mano che scorreva veloce su e giù lungo il suo cazzo, ricordo i suoi gemiti, mentre si agitava e si scuoteva in preda al più folle delirio erotico, a cui avessi mai assistito, e tutto in un crescendo sempre più frenetico, sempre più totalizzante.
Ricordo confusamente il momento in cui venne: ho davanti agli occhi l’immagine del suo bacino che d’un tratto si solleva di scatto, con la base del dildo stretta fra le chiappe serrate e l’uccello svettante, con la mano stretta alla base dell’asta e il glande completamente sguainato, che sbrodolava negli spasimi dell’orgasmo.
Col cuore che mi batteva all’impazzata, la gola secca e il respiro ansimante non meno del suo, fu allora che mi resi conto che anche il mio cazzo, strozzato nelle mutande, stava rigurgitando come un dannato, infradiciandomi slip e pantaloncini, trasudando addirittura la sborra di fuori. Mi accasciai con un gemito strozzato e mi rannicchiai sotto la finestra, mentre lo sentivo avvicinarsi e chiudere le imposte.
Aspettai finché non ebbi la certezza che non fosse più nella stanza, poi di corsa saltai la palizzata e mi riavviai verso casa, con l’ulteriore impaccio dell’untume di sborra nelle mutande e dell’enorme macchia sui pantaloncini, che sembrava mi fossi pisciato sotto.
Se tornai a percorrere quel viottolo? Altroché!... tutti i giorni e alle ore più svariate, ma quella finestra non la trovai più aperta, né seppi mai chi mi aveva offerto le sue grazie in quel torrido pomeriggio d’estate.

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