Gay & Bisex

Fantasmi


di adad
19.10.2020    |    6.064    |    5 8.9
"Sì, d’accordo, non può torcermi lo stomaco, non può mandarmi in delirio la mente, non ce li ho, sono aria fritta: è un linguaggio umano che non può più..."
Sono un fantasma. So che molti storceranno il naso, diranno: “Ecco il solito idiota del cazzo… I fantasmi non esistono.”, così diranno e così dicevo anch’io prima di esserlo.
I fantasmi non esistono… Ma cosa ne sanno i viventi? Lo stesso che ne sapevo io, prima di esserlo, prima di quel giorno in cui…
Sì, mi hanno ucciso, una notte… mi hanno ucciso di notte, togliendomi anche la consolazione di morire con la luce del sole negli occhi. Ma non ha più importanza: la luce del sole ce l’ho tutti i giorni negli occhi ormai , anche di notte, sempre, il mio è un unico eterno giorno, adesso. Ma non mi dà nessuna consolazione.
Sono un corpo immateriale, come dicono gli esperti, neanche volatile; ma non so se è vero, io non posso capirlo. Certo, passo attraverso i muri e le porte chiuse, e qui hanno ragione, le persone e le cose passano attraverso me senza che le sento o mi creino danni: ma questo già lo avete visto in chissà quanti film dell’orrore. Orrore che per voi spettatori dura qualche ora, per me invece dura l’eternità.
In vita mi chiamavo Alessandro e forse mi chiamo ancora così; ma che senso ha un nome, adesso che non c’è più nessuno a chiamarmi, più nessuno a urlare il mio nome negli improperi o a sospirarlo nei momenti d’amore? Da quando mi sono svegliato accanto al mio corpo mortale immerso nel sangue, non ho più sentito gli odori, non ho più sentito il sapore delle cose… della frutta appena colta, della pelle che baciavo… dei baci… Vedo, ma non distinguo più i colori. Del resto, sono un corpo immateriale, non ho gli organi sensoriali, non li ho più: sono rimasti a marcire nel mio corpo mortale.
No, non è vero, c’è qualcosa ancora che vedo e che sento, qualcosa che mi ha seguito in questa vita: vedo ancora i colori dei ragazzi e riesco a sentirne il profumo, il fresco aroma dei loro corpi nel fiore della giovinezza, la calda fragranza del loro sesso, quando riposa nell’umido nido, e l’acre sentore del cazzo, quando si erge in calore con la pretesa di essere soddisfatto ad ogni costo. Li vedo e li sento con una chiarezza e un’intensità ancora maggiore di quando ero vivo e potevo stringerli fra le braccia e amarli.
E con essi sento ancora il desiderio… un desiderio tanto più straziante in quanto inappagato e inappagabile… un desiderio, una voglia che mi torce lo stomaco, mi manda la mente in delirio. Sì, d’accordo, non può torcermi lo stomaco, non può mandarmi in delirio la mente, non ce li ho, sono aria fritta: è un linguaggio umano che non può più appartenermi, ma l’effetto è quello e non ho altri termini per indicare ciò che provo.
Di giorno vago per le strade: quando vedo un bel ragazzo, e ne vedo parecchi, lo seguo fluttuando nella sua scia profumata, ammirandone le forme, il culetto polposo, che sia fasciato da jeans attillati o velato sotto una tuta cascante, che accenna appena le seducenti rotondità. Altre volte mi insinuo negli spogliatoi di una palestra, aleggio sugli indumenti abbandonati a terra, aspirandone a pieni polmoni l’acre sentore di sesso e sudore che ne promana… “Aspirandone a pieni polmoni…”… lo so, non riesco a liberarmi dalla materialità della mia vita terrena… o forse dovrei dire “della mia vita mortale”, visto che sulla terra ci sono tuttora. Sì, non riesco a liberarmene, ma perché dovrei? È tutto quello che mi rimane della vita, i ricordi, le sensazioni, ed è tutto quello a cui potrò aspirare da qui all’eternità.
Quand’ero vivo, sognavo spesso di nascondermi negli spogliatoi di una palestra, aspettare il ritorno degli atleti dopo la gara, spiarli mentre si spogliavano e poi correre a raccoglierne i sospensori, ancora tiepidi e fradici di sudore, per premermeli sotto il naso, aspirandone tutto l’acre sentore così genuinamente maschio e virile. Quante seghe ricordo di essermi fatto, inseguendo quelle fantasie…
Perché questi desideri, queste visioni, perché ancora mi perseguitano? Perché mi spingono tuttora ad aggirarmi in quei luoghi, a scivolare attraverso le fessure delle finestre, ad aleggiare come uno spirito in pena su quei mucchi di indumenti appena tolti, gettati alla rinfusa, per molti forse maleodoranti, ma per me principio di una irraggiungibile voluttà. E dopo scivolo nelle docce, mi beo della visione di quei fisici imponenti, così armoniosi nella perfezione delle loro muscolature… Ma al piacere della contemplazione, succede subito dopo lo strazio del desiderio, quando volteggiando loro intorno non posso non puntare la vista sui cazzi molli, ciondolanti e ruscellanti d’acqua, quasi stessero pisciando. Cazzi mosci, cazzi semiduri, cazzi barzotti, cazzi scappellati, cazzi circoncisi… C’è da perdere la testa, se solo ce l’avessi.
Allora scivolo fra le loro cosce robuste, sfiorandogli i coglioni penzolanti, e quasi avverto il sommesso crepitio delle ghiandole che producono il seme… mi insinuo nello spacco del culo, mi soffermo sul tenero buchetto e rimpiango di non avere più delle labbra per baciarli, una lingua per… A questo punto la disperazione mi travolge e scappo via ululando…
Già, se c’è una cosa che noi fantasmi sappiamo fare bene è ululare… ma checché ne dicano i romanzieri o gli sceneggiatori di film dell’orrore, nessun vivente riesce a sentirci, neanche i medium: ci sentiamo solo noi e questo è ancora più drammatico e frustrante. E per “noi” intendo me stesso: solo io intendo, infatti, i miei ululati, i miei pianti, la mia disperazione, come ognuno degli altri si sente i suoi.
Gli altri… beh, se ci sono io, ce ne saranno anche altri, ma io non li vedo, non li sento, e loro forse non vedono me… per lo meno, nessuno finora è venuto a raccogliere il mio pianto, nessuno è venuto a darmi una parola di conforto.
Una volta sono andato al cimitero a visitare la mia tomba. Confesso che mi ha fatto uno strano effetto vedermi su quella lapide di marmo, la foto, le date… “… strappato tragicamente alla vita…” e ti credo, mi hanno investito con una moto! Dove sarei adesso, se non fossi morto? No, lasciamo stare… “Quella” vita è un argomento chiuso per me, non ha senso rivangarla: ho già “questa” che mi dà non pochi grattacapi.
L’altro giorno ero seduto su una panchina ai giardini pubblici. Seduto in senso figurato, ovvio. Ci vengo spesso: è un posto tranquillo e ci sono i giovanotti che giocano nel recinto della pallavolo. È chiaro che vengo per loro: non posso mica farlo per godermi il sole! Anche perché il calore del sole non lo sento più, i suoi raggi mi passano attraverso come tutto il resto. Ma sento bene l’aroma di quei giovani corpi sudati, eccitati dal gioco, eccitati dal loro essere giovani, dal piacere di muoversi, di correre, di saltare… quell’aroma che mi arriva a ondate, portato al vento, inebriante come una tazza di liquore.
L’altro giorno… mentre ammiravo quei giovani leoni nel recinto di gioco, un altro è giunto e si è fermato a guardare. Appena l’ho scorto, mi si è mozzato il fiato… il cuore ha preso a pulsarmi nel petto… gli occhi mi si sono riempiti di lacrime: quel giovane era tale e quale ad Andrea, il ragazzo che ho lasciato sulla terra a piangere sul mio cadavere. Andrea… l’amore della mia vita… il ricordo straziante nella mia morte.
Gli sono corso vicino per riabbracciarlo… ma non era lui, solo una sua copia e neanche troppo esatta. Ma cosa importa un neo che manca, cosa importa la diversa tonalità di rosso dei capelli o le labbra più o meno carnose, quando l’insieme della sua immagine basta a spalancarmi davanti un abisso di ricordi, e con essi un abisso di gioie e di dolori?
Lo so che dovrei staccarmi dai legami della vita terrena, ma perché? Cos’altro potrebbe riempire l’immenso vuoto che io stesso sono? Guardava la partita, allora mi gli sono seduto accanto e mi sono perso nella contemplazione del suo volto, così simile all’altro, ma insieme così diverso… forse più affascinante in un certo modo, perché vivo e reale davanti ai miei occhi, mentre l’altro era perso nella nebbia dei ricordi.
Ho ammirato stregato le sue fattezze, i suoi riccioli di rame brunito, i suoi occhi di smeraldo purissimo , le rade lentiggini sulla fronte e sulle braccia… e poi lo sguardo mi è corso dove si completa ogni desiderio… Le sue cosce fasciate dal tessuto leggero dei pantaloni, convergevano verso il loro punto focale, un consistente rigonfio, che suggeriva una sostanziosa presenza… Avrei potuto spirare attraverso il tessuto, scivolargli sotto le mutande come un refolo di vento, avvolgere il suo sesso e fondermi con esso; ma in quel momento m’è parsa come una violazione, quasi un sacrilegio, e sono rimasto al mio posto, perso nella contemplazione.
Quando s’è mosso, gli sono andato dietro: l’ho seguito al bar con gli amici, poi in giro per l città; l’ho sentito ridere e scherzare e il mio cuore si struggeva, come difficilmente potete capire voi, che siete ancora nel mondo.
Mai come in questo momento mi rendo conto che le parole, per quanto ricercate, per quanto profonde, rendono solo una vaga ombra dei nostri sentimenti, di quanto ci sconvolge il cuore e la mente: bisogna provare per capire, bisogna passarci in mezzo e davvero non lo auguro a nessuno di voi, che state leggendo.
Ho trascorso l’intera serata appiccicato a lui, bevendomi ogni suo gesto, ogni sua parola… e poi l’ho seguito a casa, quando è rientrato per dormire.
Oh, vi risparmio quello che ho provato, quando l’ho visto togliersi la camicia e più forte, più coinvolgente m’è giunto l’odore del suo corpo, mentre con lo sguardo scivolavo sulle curve del suo petto, spolverato di rada peluria.
Non l’ho seguito in bagno, non m’è sembrato giusto: l’ho aspettato col batticuore appollaiato sul suo letto, mentre ne sentivo i rumori soffocati. Quando è tornato indossava solo un boxer da notte, largo e fluttuante, che nascondeva tutto e insieme nulla.
Gli occhi già gli si chiudevano dal sonno e si è buttato sul letto senza coprirsi nella calda notte di primavera. Ha spento la luce, ma io non avevo certo bisogno di quella per godere della sua vista. Dopo un po’ ho sentito il suo respiro farsi più regolare, allora gli sono andato vicino, l’ho avvolto nel mio abbraccio; ho assorbito il calore della sua pelle; ho
aspirato il profumo del suo corpo, quello delicata del suo petto, quello aromatico delle ascelle… e la fragranza dolciastra del sesso, che si faceva più pungente via via che si andava stimolando sotto l’impulso di un sogno.
Mi sono trasfuso in lui, sono entrato nel suo sogno guidandolo verso immagini conturbanti e finalmente ho sentito il suo cazzo pulsare attraverso me, dentro di me, l’ho sentito vibrare di eccitazione mentre lo guidavo verso il piacere. Ad ogni bacio che suggerivo alla sua mente dormiente, il suo cazzo mi restituiva un fremito e uno sgorgo di sugo che gli si spandeva sulla cappella e gli colava nelle pieghe del prepuzio, prima di essere assorbito dal tessuto dei boxer. L’afrore acre, animalesco, dell’orgasmo incipiente era ormai diventato parte di me, il piacere che gli stavo suggerendo era il mio stesso piacere. La mia lussuria vibrava con la sua; volevo che godesse, perché io stesso volevo godere, con lui… per lui... volevo essere lo strumento del suo piacere, perché volevo che lui lo fosse del mio…
Poi è venuto, inaspettatamente anche per me: con un gemito profondo, è rabbrividito senza svegliarsi e il suo cazzo ha preso a scattare, eruttando fiotti corposi di sperma, che il tessuto leggero dei boxer non è riuscito a trattenere.
Ma il suo orgasmo non era il mio… non poteva esserlo… non avrebbe potuto… E’ stato come un lampo che mi ha squarciato la mente, mi ha riportato alla ragione: mi sono staccato da lui con orrore, sconvolto dalla consapevolezza di averlo violentato… violentato… e per cosa? Per l’aspettativa di un piacere che mi era precluso… precluso per sempre!
Allora, sono volato dalla finestra e sono fuggito, ululando tutta la mia angoscia sotto i raggi impietosi della luna.
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