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Gay & Bisex

Sborra a colazione - 1


di adad
27.12.2020    |    19.159    |    12 9.7
"Lo sconosciuto sollevò il sopracciglio con aria divertita, poi, scrollandoselo di nuovo: “Ti piace il mio cazzo?”, gli chiese beffardo..."
“Non c’è niente di meglio di un buon pompino di prima mattina…”, mugolò sornione Francesco, lisciandosi voluttuosamente l’inguine, dove il duro pisello si allungava fremente sotto le mutande.
“E di una gustosa bevuta di sborra calda…”, gli fece eco Raffaele, leccandosi le labbra e allungando la mano per lisciare pure lui il voluminoso rilievo, che tendeva di traverso il tessuto umido del sudore notturno.
Quel duplice tocco intensificò il turgore dell’organo, che ormai spasimava dalla voglia di essere soddisfatto. I due si sorrisero nella penombra del primo mattino. Non erano amanti: il loro era uno strano rapporto. Raffaele, scostò le coperte. Un’aura tiepida lo accolse, un aroma intenso gli riempì le narici e lui lo respirò, mentre focalizzava lo sguardo sul triangolo biancastro degli slip di Francesco, sulla borsa gonfia dei coglioni, sul profilo lungo e massiccio del cazzo, schiacciato contro la pancia dalla maglina elastica… Avvertì il fluido magnetico, che vi si sprigionava, che lo attirava come una calamita… Il desiderio si fece insostenibile e lui si chinò, con la testa delirante, come sempre, a poggiare le labbra sul rigonfio umido e caldo, incurante dell’afrore non proprio invitante, dopo una notte di sonno. Molti di noi, magari, avrebbero arricciato il naso, si sarebbero ritratti, se non schifati, per lo meno poco propensi a procedere oltre; ma non lui: Raffaele amava il cazzo, forse anche troppo, ne era dipendente. Il cazzo, e questo in particolare, era tutto per lui.
***
Aveva venticinque anni, Raffaele, e da almeno una decina bazzicava per gli autogrill: gironzolava nel bar, individuava il tipo interessante, lo seguiva alle toilette e ci provava. Non sempre il colpo gli andava a segno, ma diciamo che la maggior parte delle volte la sua poppata la rimediava: del resto a chi non piace farsi succhiare il cazzo da uno sconosciuto di bell’aspetto? Perché, in quanto a bell’aspetto, Raffaele non aveva niente da invidiare a nessuno: non molto alto, ma con un fisico armonioso, un volto dai lineamenti regolari, le labbra piene e gli occhi luminosi. Quando si aveva, poi, la fortuna di provare la sua lingua… ebbè, non era facile dimenticarsela.
Era così che aveva conosciuto Francesco: pioveva quel pomeriggio e lui stazionava nel bar, senza individuare nessuno che valesse la pena. Stava quasi per arrendersi e correre alla macchina per tornare a casa, quando lo aveva visto: Francesco, al banco che mescolava il caffè con aria assorta e lentamente si portava la tazzina alle labbra… Doveva essere entrato in un momento che si era distratto. Appena puntati su di lui, gli occhi non riuscirono più a staccarsene: lo scansionarono dalla testa ai piedi, soffermandosi con particolare interesse nella parte bassa del ventre, che appariva particolarmente accessoriata.
Finito il caffè, lo sconosciuto si era guardato attorno, poi si era diretto verso le toilette. Raffaele lo aveva seguito a distanza di sicurezza, con gli elefanti che gli martellavano nella testa, ed era entrato proprio mentre il tipo, posizionato a gambe larghe davanti a un orinatoio, si tirava giù la zip e infilava la mano nella patta. Per fortuna, il locale era vuoto, non c’era nessuno in vista… e Raffaele gli si avvicinò fino a potergli sbirciare il davanti. E fu allora che ebbe il colpo di grazia, quando scorse la cosa che l’altro aveva estratto dai pantaloni: un bigolo grosso e carnoso, che adesso si teneva con due dita, mentre dirigeva verso la tazza il getto giallastro. Finito di pisciare, se lo scrollò e poi fece per rimetterselo dentro. Ma qualcosa, forse un gemito o un sospiro sommesso, attirò la sua attenzione: si volse e lo vide: vide Raffaele, distante un paio di metri, che lo fissava con gli occhi sgranati. Lo sconosciuto sollevò il sopracciglio con aria divertita, poi, scrollandoselo di nuovo:
“Ti piace il mio cazzo?”, gli chiese beffardo.
Raffaele non rispose, se non leccandosi le labbra con la punta della lingua. Lo sconosciuto si guardò attorno:
“Non mi va, qui, - disse, rimettendoselo nei pantaloni e chiudendo la patta – vieni.”, e si avviò, facendogli cenno con la testa di seguirlo.
Ormai era scesa la sera e aveva smesso di piovere. Raffaele gli andò dietro. Nessuno dei due disse una parola. Raggiunsero il parcheggio. La macchina dello sconosciuto era in una zona poco illuminata dai grossi lampioni. Il giovane aprì col telecomando, poi salì dalla parte posteriore. Raffaele lo seguì e gli si sedette accanto.
Quello si slacciò i pantaloni e se li sfilò da sotto le natiche, esponendo un voluminoso malloppo; quindi, poggiatagli una mano sulla nuca, fece forza, obbligandolo a chinarsi verso il suo inguine.
“Dai, succhiamelo!”, fece.
Un altro forse si sarebbe sentito offeso da quei modi, ma non certo Raffaele, ormai stordito dall’aroma intenso che si sprigionava da quell’inguine offerto alla sua brama. Mentre la mano sulla nuca continuava a tenerlo abbassato, lui sollevò l’elastico degli slip e lo tirò in basso, fin sotto i coglioni. L’afrore dello scroto sudato si fece più intenso, misto ad un leggero sentore di piscio, ma per Raffaele quello era pura voluttà.
“Lasciami”, disse con un filo di voce, mentre prendeva con due dita l’uccello ancora molliccio, lo scappellava e lo lambiva con la punta della lingua.
Già così era un cazzo bellissimo, grosso e carnoso… incredibilmente tenero… Ma bastarono un paio di leccate al glande umidiccio per farlo schizzare dimensioni a dir poco impressionanti.
“Accidenti…”, mugugnò Raffaele, abboccandolo e ingoiandone quasi la metà, per sfilarselo poi lentamente, succhiandolo come un cono gelato.
Lo sconosciuto gemette flebilmente e si lasciò andare al piacere che Raffaele gli procurava. E continuò a gemere e a sospirare mentre l’altro gli slurpava l’uccello, mulinando la lingua attorno alla cappella, rovistando con la punta nel taglietto, leccandolo per l’intera lunghezza dell’asta e tutt’attorno sotto la corona del glande. Raffaele era letteralmente estasiato, non solo dalle dimensioni che quell’uccello aveva assunto, ma anche dal suo odore forte, ma coinvolgente, dalla carnosità della guaina, dalla morbidezza della cappella, dalla gustosità del sughetto, che l’eccitazione faceva sgorgare in abbondanza… e sguaiolava mentre si accaniva con la lingua e con le labbra per dargli e riceverne il massimo godimento.
Ne aveva succhiati di cazzi nella sua pur giovane vita, ma questa era la prima volta che si sentiva coinvolto a livello profondo.
E parimenti sguaiolava lo sconosciuto, che rare volte si era sentito sbocchinare con tanta perizia, tanta passione e conseguente tanta voluttà
È difficile dire chi dei due si augurava maggiormente che non giungesse mai la fine. Ma la fine giunse… giunse sotto forma di una contrazione dello scroto talmente forte e violenta da vincere ogni resistenza, tale che la spinta della sborra compressa forzò il blocco e il liquido irruppe nella grossa vena, risalendola con impeto e riversandosi nella bocca di Raffaele, che la degustò con evidente bramosia, ingoiandola tutta senza esitazione.
Lo sconosciuto fremeva tuttora incontrollabilmente, mentre il suo cazzo pian piano si afflosciava e Raffaele continuava a mulinare la lingua attorno al glande snudato.
“Basta… basta…”, disse quello a un tratto, poggiandogli una mano sulla testa.
Sia pure a malincuore, Raffaele si sfilò dalla bocca il cazzo ormai moscio e si raddrizzò, leccandosi le labbra.
“Ne fai parecchia…”, mormorò con un sorriso, che a lui stesso parve idiota.
“Quando me lo succhiano bene… sì. - disse l’altro – Ci sai fare con il cazzo.”
“Mi piace… succhiarlo… - rispose Raffaele – e il tuo… Beh, scusa se te lo dico, ma è forse il cazzo più gustoso che mi sia capitato…”
“Grazie… - ridacchiò l’altro – e immagino che te ne sono capitati parecchi…”
Raffaele fece spallucce.
“Non mi lamento…”
Rimasero in silenzio, mentre lo sconosciuto si rimetteva a posto.
“Come ti chiami?”, chiese dopo un po’ Raffaele.
“Francesco e tu?”
“Raffaele…”
“Bene, adesso che ci siamo presentati, credo che possiamo andare.”, fece Francesco e si volse per aprire la portiera.
“Mi piacerebbe rivederti…”, disse in fretta Raffaele.
L’altro si girò a guardarlo.
“Succhiartelo ancora, intendo…”
“Ma guarda che non sono gay.”, fece Francesco.
“Se è per questo, neppure io, - rispose Raffaele – non vado con gli uomini… Sì, mi piace succhiare il cazzo, ma non bacio e non lo prendo nel culo!”
“Buono a sapersi…”, commentò Francesco, aprendo la portiera di guida.
Poi si fermò, come se ci stesse ripensando.
“Perché no? – fece, quindi – Un buon pompino non si rifiuta mai. Lasciami il tuo numero: ti chiamo, quando ho voglia.”, e gli porse il cellulare, sul quale Raffaele si affrettò a rubricare il suo numero.
“Ci vediamo.”, gli disse infine, mettendo in moto e scomparendo nel traffico della tangenziale.
Raffaele rimase a guardare i puntini rossi dei fanalini che si allontanavano, combattuto fra la gioia per un prossimo incontro e lo scetticismo che mai probabilmente ci sarebbe stato. E fu con questo stato d’animo, che tornò a casa, dove passò la serata, macerandosi di seghe e di ricordi.
Contrariamente, però, a qualsiasi aspettativa, dopo qualche giorno, Francesco lo richiamò. Il numero non era in rubrica, per cui Raffaele esitò un attimo prima di rispondere.
“Ciao, sono Francesco.”, si sentì dire da una voce, che riconobbe subito, in risposta al suo flebile “Pronto?”
“Wow… non immaginavo che avresti chiamato davvero…”
“Uomo di poca fede, - lo rimproverò scherzosamente l’altro – e invece eccomi qua. Senti, avrei voglia di… una certa cosa. Che ne dici?”
“Che è ok. – fece Raffaele, tornato padrone di sé - Quando?”
“Anche adesso, se puoi.”
“Certo che posso… dove sei?”
“Vediamoci nel parcheggio dello stadio, a quest’ora non c’è nessuno.”
“Il tempo di arrivare, una ventina di minuti.”
Col cuore che gli stantuffava nel petto peggio di una locomotiva, Raffaele corse a prendere le chiavi della macchina, si precipitò giù dalle scale e neanche due minuti dopo già metteva in moto e partiva schizzando.
L’immenso parcheggio dello stadio era pressoché deserto a quell’ora pomeridiana, per cui Raffaele non faticò a individuare la macchina di Francesco, parcheggiata nell’angolo più discosto e isolato. Si fermò di lato e si precipitò verso il sedile posteriore del suv, su cui l’altro lo stava aspettando. Aprì la portiera.
“Ciao”, disse.
Francesco lo accolse con un sorriso: si era già sbottonato i pantaloni e, con una mano nella patta, si lisciava il grosso rilievo sotto le mutande.
“Volevi iniziare senza di me?”
“Non sia mai, - ghignò Francesco – te lo stavo solo tenendo in caldo.”
“Adesso ci penso io.”, disse Raffaele e, chinatosi sul suo grembo, allargò i lembi della patta, aspirando a pieni polmoni il caldo aroma dolciastro di sesso e sudore, che vi si sprigionava.
Quindi aiutò Francesco a sfilarsi da sotto il culo pantaloni e mutande, chiuse gli occhi e, lasciandosi guidare dall’olfatto, prese a slinguare il sostanzioso randello, che sussultò al tocco di quella lingua adorante. Poi, tenendolo con due dita, Raffaele lo leccò nella parte inferiore, svirgolando con la lingua la grossa vena, mentre risaliva dall’innesto dei coglioni verso la sommità, lasciandosi per ultimo il pomello del glande, a cui riservò un trattamento particolare, esplorandolo con la punta della lingua nel taglietto bagnato e picchiettandola sul frenulo teso. Infine, accolse in bocca l’intera cappella e risucchiò con un gemito di goduria la bava viscosa che la ricopriva.
Non era un pompino, era un atto di adorazione, il suo; né poteva essere da meno: quell’organo meraviglioso meritava il meglio della sua perizia pompinara. E i gemiti di Francesco gli assicuravano che stava facendo la cosa giusta. Vieppiù infervorato ad ogni fremito, ad ogni brivido che si sentiva scorrere sotto la lingua e sotto le dita, Raffaele seguitò a leccare e succhiare, finché non avvertì l’approssimarsi dell’orgasmo; allora, se lo tolse di bocca e, tenendolo con la mano, si limitò a slinguarlo tutt’attorno al glande, raccogliendo e gustando il sugo salmastro, che sgorgava copioso e si raccoglieva sotto la corona, fra le pieghe del prepuzio. Non appena capì che il parossismo si stava placando, riprese a succhiare e andò avanti così ancora più volte, finché Francesco gli poggiò una mano sulla testa, sospirandogli:
“Basta, ti prego… fammi venire...”
Allora, Raffaele non si fermò più: lasciò che i coglioni riprendessero a bollire il loro sperma, lasciò che il piacere prendesse il sopravvento, lasciò che il cazzo di Francesco si incordasse in un parossismo sempre più incontrollabile, finché la pressione raggiunse il massimo, ci fu una contrazione violenta e la bocca gli si riempì di sborra, una sborra densa… calda… che lui immediatamente deglutì e deglutì ancora, per non ingozzarsi. Solo quando il flusso si ridusse, riuscì a tenerla in bocca il tempo di degustarla. E quel sapore asprigno gli piacque, lo mandò in estasi.
“Di che sa?”, si sentì dire debolmente.
Allora si raddrizzò.
“Sa di sborra. – rispose, sorridendo e leccandosi le labbra – Ma, accidenti se è buona…”
Francesco, intanto, si era rimesso a posto ed era uscito dalla macchina.
“Grazie”, disse a Raffaele, aprendo la portiera di guida.
Era finita.
“Grazie a te… - rispose Raffaele – Senti, possiamo…”
“Ho il tuo telefono.”, lo interruppe Francesco e, senza aggiungere altro, si sedette, mise in moto e partì.

(continua)
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