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Il Principe rospo


di adad
11.08.2020    |    3.609    |    2 9.4
"C’era una volta un Re e una Regina, che dopo qualche anno di matrimonio ebbero un bel bambino a cui misero nome Amadigi..."
AVVERTENZA: quello che segue è un racconto di fiaba e come tale presenta tutto il repertorio classico della fiaba: streghe, malefici, trasformazioni, animali parlanti e l’ovvio lieto fine. Chi non ama il genere, si astenga pure dal leggerlo: me ne farò una ragione. Dimenticavo: c’è anche una morale, ma quella, ognuno se la cerchi per conto suo.

C’era una volta un Re e una Regina, che dopo qualche anno di matrimonio ebbero un bel bambino a cui misero nome Amadigi. Senonché, aveva solo pochi mesi il piccolo Principe, quando la regina morì.
Sconvolto dal dolore, il Re cadde in una prostrazione tale, che abbandonò il bambino alle fantesche e ai servi di casa, dissipando il tempo e la vita in tornei, battute di caccia e avventure galanti con donne spesso poco raccomandabili.
Ciò nonostante, crescendo, il principe Amadigi divenne un giovane bellissimo, saggio e coraggioso (come è giusto che sia il Principe di una fiaba, del resto), al punto che non solo tutti gli perdonavano con un sorriso quella certa passioncella di giocare al dottore con i valletti, anziché a nascondino con le damigelle, ma molti cominciavano a sperare di averlo al più presto sul trono, se solo il Re si fosse deciso a raggiungere un mondo migliore.
Il quale Re, però, non si decideva affatto a raggiungere un mondo migliore, anzi mostrava di non averne nessuna intenzione, tant’è che all’improvviso, e inaspettatamente, decise di riammogliarsi e sposò una vedova ricca, bella e affascinante, che aveva conosciuto in quei giorni a Montecatini, mentre faceva le acque. Senonché, appena giunse a palazzo e vide il giovane Principe, che aveva da poco compiuto i diciotto anni, la donna se ne innamorò perdutamente: non ci dormiva la notte e non trovava pace di giorno, divorata com’era dalla passione e dalle voglie più empie.
Vedendola di giorno in giorno più spenta e tormentata, nel tentativo di distoglierla dalla sua malinconia, le sue dame le riferivano i pettegolezzi più fioriti della Corte, fra cui le maldicenze che si riferivano alla vita privata del Principe e sui quali quelle vecchie megere si sbellicavano dalle risate, descrivendo il tale paggio sorpreso nudo sul lettino, mentre Amadigi gli auscultava il membro o gli faceva l’esame della prostata con le dita.
Ma nulla valeva, anzi, proprio quelle sordide chiacchiere la infiammavano maggiormente, dandole come una sorta di giustificazione per i suoi insani desideri.
“Io lo guarirò.”, si ripeteva, infatti, in continuazione.
Spiò, dunque, l’occasione propizia e un giorno che riuscì a coglierlo da solo, gli si gettò fra le braccia e con quanto più ardore poté gli confessò il proprio amore.
Il Principe cercò di nicchiare, come aveva fatto altre volte in simili circostanze, ma la Regina non gli diede requie: fra le sue braccia sarebbe tornato ad essere un giovane normale, diceva, e allora… allora si sarebbero sbarazzati di quell’ubriacone del vecchio Re e avrebbero regnato insieme felicemente!
A quelle parole, il principe si ritrasse inorridito:
“Tu, - le gridò, pallido in volto per l’ira e la ripugnanza – Tu… la mia matrigna… la sposa di mio padre… Al sacrilegio vorresti aggiungere il delitto! Quale abominio mi vai proponendo? Vattene, mostro maledetto, sparisci dai miei occhi: la tua sola vista mi fa orrore! Vattene, prima che riveli tutto a mio padre!”
Ma la Regina era una strega potente e malvagia: quando si vide rifiutata a quel modo, come neanche una bagascia di strada, divenne livida in faccia, i capelli le si drizzarono in testa come le vipere di Medusa, gli occhi le sprizzarono scintille:
“Piccolo, viscido animale! – sibilò carica di veleno – Come osi parlarmi così? Come osi rifiutare il mio amore? Tu, lurido pervertito, che hai infangato il tuo nome e la tua dignità perfino con i mozzi di stalla! Hai ancora in bocca il tanfo dell’ultimo cazzo che hai succhiato e osi parlarmi così? La mia sola vista ti fa orrore, eh? E allora da questo momento sarà la TUA vista a destare orrore e ribrezzo in chiunque avrà la sventura di incrociarti nel suo cammino!”, e puntategli contro le dita adunche, lo trasformò all’istante in un orribile rospo!
Il povero Amadigi si vide all’improvviso circondato da mobili e oggetti colossali, ma non capiva cosa gli stesse avvenendo: il panico lo travolse e d’impeto si avviò balzelloni alla porta semichiusa, inseguito dal fragore rimbombante della maledizione.
Anche fuori era tutto trasformato, tutto stranamente enorme: le margherite erano ombrelloni da spiaggia, i fili d’erba pali della luce!... Finché, passando vicino ad una pozzanghera, vide il riflesso butterato di un rivoltante rospo verde vomito. Allora capì tutto e, gracidando lamentosamente, corse a nascondersi nel folto della foresta.

Un giorno, mentre saltellava per un sentiero erboso, acchiappando malinconicamente una larva di qua e un moscerino di là, all’improvviso si trovò di fronte al muso affilato di una ferocissima biscia! Per quanto avesse a lungo desiderato di morire, un terrore istintivo gli bloccò le membra, i polmoni gli si svuotarono in un urlo silenzioso…
Si vide perduto! Ma quella lo fissò con commiserazione:
“Ah, non aver paura.”, gli disse.
Il rospo rimase allocchito e la fissava con gli occhi di fuori.
“Non temere, - ripeté allora quella – non ho nessuna intenzione di mangiarti.”
“Se… se… sei sicura?”, balbettò Amadigi.
“Ah! – fece la biscia con una smorfia – Sono allergica ai rospi. Pensa che una volta ne mangiai uno per sbaglio e dovettero ricoverarmi d’urgenza al Pronto Soccorso… mi fecero la lavanda gastrica… Puah! Che schifo! Da allora sono diventata vegana e non mangio più neanche le cavallette… solo fragole e bacche di ginepro. Certo che sei proprio brutto, però! – continuò imperterrita, mentre un po’ di colore tornava sulle guance verdastre del rospo – Sei strano… Hai qualcosa… Sei proprio uno strano rospo!”
“Veramente… - fece lui – So che non mi crederai… Ma io sono un Principe:”
“Ci avrei giurato! – esultò la biscia – Sei vittima di un incantesimo, vero?”
“Beh… sì.”
“Di una strega cattiva!”
“Come fai a saperlo?”, si meravigliò il rospo.
“Ah, caro! – rispose lei – ne ho visti di principi trasformati in rospo da streghe cattive… Non sei mica il primo! Ad essere sinceri, a parte la bruttezza, la tua strega non ha fatto niente di eccezionale.”
“Non sarà niente di eccezionale, - esclamò il principe un po’ offeso – ma ti assicuro che non è affatto piacevole: vorrei vedere te al mio posto!”
“Hai ragione, scusa. – disse la biscia – ma raccontami, dai.”
Amadigi le raccontò quello che era successo.
“E tu vorresti farmi credere che ti sei fatto trasformare in rospo solo perché non hai voluto scoparti la tua matrigna? - disse scettica l’altra – Non me la conti giusta.”
Allora Amadigi le raccontò il resto.
“Nooooo! – fece lei – Sei davvero un principe gay? Oh, che emozione! Sei il primo che mi capita. Ma c’è il rimedio, l’ho letto nei libri.”
“Lo so, - fece il rospo con aria sconsolata – ma dove lo trovo un Principe disposto a baciarmi?”
“Questo pure è vero.”
Rimase per un poco a guardarlo in silenzio, come meditando, poi disse:
“Ascolta, forse posso aiutarti.”
Amadigi la fissò incredulo.
“Cosa vuoi dire?”, chiese con la voce che gli tremava.
“Conosco un contro incantesimo, capisci?”
“Un contro incantesimo?”
Amadigi non credeva alle proprie orecchie.
“Sì, me ne parlò una volta la mia bisnonna. – disse la biscia – Ma, intendiamoci… io personalmente non l’ho mai visto fare e la mia bisnonna ne parlava riferendosi a principesse rospe…”
“Oh…”, si abbatté Amadigi.
“E no! Perché fai così? – lo incoraggiò l’amica – Quello che vale per una principessa, varrà anche per un principe gay!”
“Beh, - disse malinconicamente Amadigi – non è esattamente la stessa cosa…”
“Forse hai ragione, - ammise la biscia – ma vale la pena tentare: cosa ci costa? – insisté – Ascolta, innanzitutto dobbiamo trovare un Principe Azzurro. Su, andiamo…”, e si avviarono insieme, strisciando l’una e balzellando l’altro, lungo il sentiero erboso.

In quello stesso momento, all’altro capo della foresta, il Principe Dolcerico scendeva da cavallo e, raccolti un po’ di sterpi secchi, metteva sul fuoco la cuccuma del caffè. Poi si sedette su un grande sasso coperto di muschio e si immerse nei propri pensieri.
Era un giovane molto bello, Dolcerico, nel suo vestitino attillato: non grande di statura, ma aggraziato di forme e seducente, con i suoi riccioli rosso bruni, che davano una luce particolare ai suoi occhi malinconici. Diciamo subito che era stato cacciato di casa perché si rifiutava di sposare la principessa Amadura, che il padre voleva dargli in moglie. Lui era innamorato invece della figlia del mugnaio, che aveva spiato spesso mentre faceva il bagno nella pozza della sorgente.
Sì, lo so che è contrario alle pubblica morale spiare una fanciulla che fa il bagno nella pozza di una sorgente, sia pure figlia di un umile mugnaio, ma Dolcerico ne era così invaghito che non aveva saputo resistere, consumandosi in seghe su seghe, mentre la vedeva aspergersi nuda con quelle acque cristalline.
Dolcerico si versò una tazza di caffè fumante e si immerse di nuovo nei suoi pensieri.
“Guarda!”, disse la biscia, indicando all’amico il giovane pensoso seduto vicino al fuoco.
“Sarà un Principe Azzurro?”, chiese Amadigi.
“Io penso di sì. Bisognerebbe vedere il mantello… Eccolo lì, buttato a terra… ma non riesco a distinguere il colore… Su, va a vedere.”
Il rospo si avvicinò piano, saltellando in punta di piedi; ma un guizzo della fiamma riscosse Dolcerico dai suoi pensieri.
“Ih! Ma che schifo! – saltò in piedi, scorgendosi vicino l’orribile rospo – Via, via!”, e gli lanciò contro il contenuto della tazza.
Amadigi scansò per un pelo il getto bollente e tornò di corsa a nascondersi nell’erba alta. Aveva le lacrime agli occhi, mentre il cuoricino gli batteva da scoppiare.
“Non te la prendere, dai, - lo consolò la biscia – al posto suo anche tu avresti fatto lo stesso. Comunque è un Principe Azzurro, non ci sono dubbi. Adesso dobbiamo solo aspettare.”
“Cosa dobbiamo aspettare ancora?”, chiese l’altro esasperato.
“Sta calmo. Te lo dirò al momento, altrimenti il contro incantesimo non vale.”, rispose la biscia e rimasero appostati in attesa.
Dolcerico, intanto, vagando di pensiero in pensiero, si trovò a ricordare le gradevoli vezzosità della giovane mugnaia… La rivide, mentre si toglieva il vestito e si immergeva nuda nella pozza… e poi si passava il sapone schiumoso su tutto il corpo… La pressione cominciò a salire nelle parti basse e senza neanche rendersene conto, il Principe si aprì la brachetta, estrasse dalla tana la bestiola imbizzarrita e cominciò piacevolmente a darle sollievo.
“Accidenti!...” mormorò fra sé Amadigi, fissando quasi senza respirare lo splendore del voluttuoso pirellone, mosso con mano esperta, e il cui magnetismo era accresciuto dall’espressione di rapito trasporto, che si andava via via disegnando sul volto del Principe. Poi, i movimenti della mano cominciarono a farsi più celeri, il respiro più affannoso e rantolante.
“Presto, presto! – lo sollecitò allora la biscia – Vagli sotto e cerca di raccogliere almeno una goccia del suo seme!”
Il rospo la fissò imbambolato.
“E muoviti, insomma, prima che sia tardi!”, urlò lei e gli diede uno spintone con un colpo della coda.
Amadigi saltò avanti, spalancando la bocca… Era tempo: in quel momento Dolcerico raggiungeva l’apice e con un sospiro si abbandonava al piacere. Il seme sprizzò copioso, si sparse intorno, ricadde sull’erba… Il rospo si guardò attorno frustrato: non era riuscito a raccoglierne neppure una stilla… Ma ecco, un’ultima goccia prese a sgorgare lentamente dalla boccuccia del glande rosato, si allungò densa e opalescente nel vuoto… Amadigi si fece sotto. La goccia si staccò dal suo filamento, cadde tiepida sulle sue labbruzze e… Puff! all’istante il maleficio fu annullato e Amadigi riapparve nel suo primitivo aspetto e nella sua primitiva bellezza.
“E tu chi cazzo sei?”, fece Dolcerico, balzando in piedi alla vista dell’improvvisa materializzazione.
“Sono il rospo che poco fa hai scacciato in malo modo.”, rispose l’altro con un sorriso e gli raccontò tutto per filo e per segno, compreso il grande aiuto che aveva ricevuto dalla biscia.
Allora la cercarono nell’erba, ma quella si era allontanata discretamente per lasciarli soli: non era scema, infatti, e sapeva benissimo come sarebbe andata a finire… lo aveva visto così tante volte con le rospe riconvertite in principesse!
“E adesso che succede?”, chiese Dolcerico, che per lo stupore si era dimenticato di ricomporsi e l’uccello gli penzolava di fuori molle e carnoso.
“Non saprei… - fece Amadigi, che non gli staccava gli occhi di dosso – Secondo la tradizione, dovremmo…”
“Scordatelo! – tagliò secco l’altro – io non sono… ci siamo capiti. A me piacciono le donne, mi piace la figa! Non pensarci neanche! Quella che mi hai visto fare, era una sega per la mia ragazza… Si chiama Adelina ed è la figlia di un mugnaio.”
“Che non ti permetteranno di sposare, giusto?”
“Già. E se qualcuno lo scopre, chissà che fine le faranno fare.”
“E quindi te ne stai qui e ti fai le seghe, pensando a lei…”
Ci fu un lungo momento di silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
“Senti, - fece alla fine Amadigi – capisco bene che tu e io… Sei un ragazzo a posto e ti chiedo scusa, se per un momento ci ho pensato. Ti devo molto, vorrei sdebitarmi con te… Lascia che ti faccia almeno un pompino… Chiudi gli occhi e pensa che è la tua mugnaia a fartelo.”
“Vorresti farmi un pompino?”, chiese Dolcerico strabiliato.
“La tua ragazza non te l’ha mai fatto…”, disse Amadigi, inginocchiandoglisi davanti sull’erba ancora bagnata.
“Ma sei un uomo…”, protestò l’altro, mentre Amadigi allungava la mano a prendergli l’uccello.
“Consideralo la mia ricompensa. E poi… una bocca vale l’altra.”, mormorò il Principe, cominciando a slinguazzargli il glande sbavato, prima di accoglierlo ancora molle fra le labbra.
Sembrandogli indelicato protestare oltre, Dolcerico chiuse gli occhi e si abbandonò al piacere: in fondo, una bocca vale l’altra… soprattutto quando non ne hai ancora conosciuta nessuna.
Da quel momento, tutti fecero il proprio dovere e le cose andarono come dovevano andare: l’uccello principesco reagì quanto mai positivamente alle sollecitazioni che riceveva: si drizzò in un lampo e rispose con entusiastica collaborazione; Amadigi, succhiò e slinguò quel sugoso pestello e non certo solo per un sentimento di riconoscenza; quanto a Dolcerico… beh, non appena le prime ondate di piacere presero e percorrergli la mazza, si rese conto che era proprio vero: una bocca vale l’altra. Alle prime avvisaglie dell’orgasmo imminente, aveva già dimenticato il volto della vezzosa mugnaia; al primo schizzo di sborra, prontamente slurpato e ingoiato, capì che Amadigi era un fenomeno ed era stato un vero colpo di fortuna trovarselo sulla propria strada.
Che altro dire? Secondo copione, i due Principi scoprirono di essere perdutamente innamorati, prima ancora che se lo dicessero; e quando se lo dissero, fra un bacio e l’altro, avevano già capito che non potevano più vivere l’uno senza l’altro.
“Dio! Quanto mi piacciono le storie d’amore a lieto fine!”, sospirò la biscia, nascosta nell’erba alta, asciugandosi una lacrima, mentre Amadigi e Dolcerico si allontanavano verso la felicità.
L’unico a farne le spese fu il povero cavallo, che si ritrovò a dover portare il doppio del peso, ma c’è sempre qualcuno che non ha voce in capitolo e deve farsi carico di tutto.

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