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Gay & Bisex

Quello che non volesti - 2


di adad
16.01.2022    |    4.478    |    2 9.6
"Anzi, con le donne che avevano condiviso il suo letto, tutto finiva al momento dell’orgasmo e spesso non si guardavano neanche negli occhi dopo aver goduto;..."
Arduino era figlio del marchese Bolzone, signore di quelle montagne. Era un giovane dal fisico possente, frutto degli esercizi a cui il maestro d’armi lo aveva sottoposto fin da ragazzo e delle lunghe, estenuanti battute di caccia, che costituivano il suo divertimento principale. Spesso con amici, ma il più delle volte da solo, Arduino partiva e stava via anche intere settimane con la scusa di cacciare qualche bestia selvatica che opprimeva i villaggi del dominio paterno, ma in realtà il suo desiderio era di vagabondare da solo, scoprire nuovi luoghi, vivere nuove avventure. Era un desiderio che aveva sempre avuto, ma che si era acuito da quando aveva dovuto sposarsi senza amore, ma per motivi prettamente opportunistici, come del resto avveniva abbastanza spesso nelle classi alte.
Bisogna dire che Arduino si trovava bene con la sua sposa, assolveva anche scrupolosamente ai suoi doveri di buon marito almeno una volta la settimana… ma non c’era passione in quell’atto: era solo un rituale coniugale, svolto in fretta e al buio, con la speranza che il seme attecchisse e assicurasse un erede alla casata. Il che finalmente era successo, liberando per un po’ Arduino dall’incombenza. E il giovane marchese ne aveva subito approfittato per organizzare una delle sue missioni contro fantomatiche belve silvane.
Ma c’era anche un altro motivo che quella volta spingeva Arduino a partire: gli erano giunte voci, infatti, che da qualche parte sulle montagne della Frondaia, lontane diversi giorni di cammino dal castello, si era stabilito un eremita. Lui sapeva che gli eremiti sono persone sante, vicine a Dio, e allora si era messo in testa di andare a verificare di persona e, nel caso, offrirgli gli aiuti che erano in suo potere, oltre a chiederne la benedizione soprattutto in vista del parto.
Era partito, dunque, e dopo alcuni giorni aveva lasciato il cavallo, affidandolo ad al fattore di uno dei suoi villaggi, ed aveva proseguito a piedi. Conosceva abbastanza bene quelle montagne e visitò diversi posti, in cui immaginava che potesse trovare riparo un eremita, me in nessuno trovò tracce di vita umana. Si arrampicò per sentieri che conosceva solo vagamente e fu una mattina della seconda settimana che, salendo sempre più in alto, giunse sul pianoro che già consociamo. Il posto era incantevole, riparato da un lato dal costone roccioso e cinto tutt’attorno dalla foresta di conifere, ma non c’erano segno di capanne o altro riparo. Però era stranamente pulito dalle erbacce, come se qualcuno… Ehi, un momento… Mentre esaminava la parete di roccia, Arduino si accorse di una fessura, da cui sembrava fuoriuscire un tenue filo di fumo. Si avvicinò all’apertura, mettendo mano alla spada, per precauzione… rimase in ascolto, casomai sentisse qualche rumore… ma il silenzio era profondo. Allora, scivolò dentro e sbucò nella grotta, il cui interno era fiocamente illuminato dal focherello in un angolo. Non c’era altro, se non una figura che dormiva su un giaciglio di erba secca e rametti di abete, coperta da un mantello sdrucito. Sembrava molto giovane… forse vent’anni… ed era indubbiamente avvenente, nell’abbandono innocente del sonno, anche se pareva aver conosciuto giorni migliori. Era lui l’eremita?
Arduino non volle svegliarlo, così uscì silenziosamente e si sedette su un masso in disparte, sbocconcellando un po’ del pane e del formaggio che aveva nella sacca. Poco dopo, sentì dei rumori provenienti dall’interno della caverna: il giovane si doveva essere svegliato. Allora si tirò ancora più in disparte, in modo da spiare, senza essere visto, quello che l’altro avrebbe fatto.
Non passò molto, che Decenzio uscì dalla stretta apertura e Arduino lo fissò incuriosito. Era bello di volto, con la rada barbetta che lo contornava, e di fisico asciutto e armonioso. Era completamente nudo e la sua pelle aveva uniformemente una calda tonalità dorata.
Decenzio si inginocchiò e si fece il segno della croce, rimanendo per un pezzo immerso nella preghiera, poi si rialzò e si diresse verso la sorgente, senza accorgersi dell’altra presenza. Arduino lo seguì da lontano: lo vide appartarsi dietro alcuni cespugli, da cui gli giunsero rumori inequivocabili, e poi immergersi nella pozza con aria beata. Allora si fece avanti.
“Mi avevano detto che c’era un eremita su questi monti, - disse con voce quieta – ma immaginavo un vecchio con la barba bianca, non un giovane come te.”
A quelle parole, Decenzio, che gli dava le spalle, si irrigidì, poi si voltò lentamente, coprendosi l’inguine con le mani, pallido in volto e con gli occhi sbarrati.
“Perdonami se ti ho spaventato… - proseguì il giovane – Sono qui in pace, non avere paura.”
“Chi… chi sei?”, balbettò Decenzio, tremando più di paura, che di freddo.
“Mi chiamo Arduino, - rispose l’altro, facendo un passo indietro – sono signore di queste terre… Sei tu l’eremita che cercavo?”
Decenzio lo fissava attonito, spostando lentamente lo sguardo fino all’inguine, la cui consistenza gli seccò la gola. Si premeva con forza le mani all’inguine, ma più per nascondere l’improvvisa erezione, che per qualsivoglia vergogna: d’un tratto, inaspettatamente, il fantasma del passato, di un passato che credeva ormai sepolto, gli era ricomparso davanti nelle vesti di quel giovane possente e la maledizione di Rodolinda era tornata a divampare dentro di lui, infiammandogli le visceri di un folle desiderio.
Nudo com’era, Decenzio uscì dall’acqua e si avviò di corsa verso la caverna. Senza capire il motivo di tanto spavento, Arduino lo seguì, ansioso di rassicurarlo. Appena dentro, il giovane si afflosciò sul giaciglio, tenendosi le mani spasmodicamente premute fra le gambe e tremando in preda ad una profonda crisi emotiva. Equivocando, Arduino si slacciò il mantello e glielo avvolse attorno alle spalle, poi rimase in attesa, non sapendo lui stesso cosa fare: capiva che l’altro era terrorizzato, forse la comparsa improvvisa di un estraneo, sconosciuto e per giunta armato, doveva aver spaventato quell’uomo di Dio, abituato alla solitudine e alla preghiera. Allora gli si accosciò davanti:
“Non devi aver paura, - gli disse con dolcezza – non voglio farti del male.”
“Non è di te che ho paura… - balbettò Decenzio con voce tremante – e forse sarebbe un sollievo se mi uccidessi…”
Arduino lo fissò con aria interrogativa.
“E’ di me stesso che ho paura… Vattene… vattene, in nome di Dio…”
“Che diavolo dici?”
“Vattene… sono maledetto…”
E Decenzio si premette le mani sulla faccia, come per escluderlo dalla sua vista, quasi che non vederlo valesse a cancellare l’orrore che gli si prospettava.
Arduino non capiva cosa stava succedendo: si vedeva davanti questo giovane, poco più giovane di lui, terrorizzato dalla sua presenza, neanche fosse il diavolo in persona. Spazientito, lo prese per le spalle:
“Sta calmo, ragazzo, - gli disse con forza – non voglio farti del male.”
Ma quel contatto valse solo a rinfocolare maggiormente l’eccitazione di cui Decenzio era preda, tanto che, scivolatogli il mantello dalle spalle, venne alla luce la trionfante erezione che si ergeva fra le sue gambe. Cercò di coprirla con un lembo del mantello, ma non poté impedire che l’altro se ne accorgesse.
“Per le palle di san Giustino! – esclamò Arduino, balzando in piedi – Non immaginavo di fare questo effetto sui maschi! Si può sapere cosa ti succede? Sei forse un sodomita? È per questo che sei venuto a nasconderti quassù? Parla una buona volta!”
E finalmente, Decenzio parlò. Dapprima con voce bassa ed esitante, poi sempre più sicura, disse chi era e la sua famiglia, fra le notabili della città; raccontò la sua vita brillante, i successi con le ragazze, servette e damigelle, e la voce gli tremò, quando parlò di Rodolinda e della sua maledizione.
“Non capisco, - disse Arduino – ti ha maledetto perché non l’hai voluta?”
“Perché non l’ho voluta… - ammise Decenzio amaramente – e quando l’ho cercata per pregarla… per implorarla di liberarmi, quella strega era scomparsa.”
“E’ una brutta storia. Ma come ha potuto… Voglio dire, cosa ti ha spinto a rifugiarti quassù?”
“Quando l’ho respinta, - continuò Decenzio – mi ha detto ‘Quello che non volesti, tu stesso sarai’.”
“Quello che non volesti, tu stesso sarai?”, ripeté Arduino, senza capire.
“Avevo rifiutato la sua carne di femmina…”
“No… Lo sei diventato tu? Ma sei ancora un uomo!”, disse Arduino, scostandogli il mantello dal cazzo turgido.
“Sono ancora un uomo… di fuori… ma dentro di me… bruciano i desideri di una femmina… dentro… dentro sono carne di femmina!”
E gli raccontò il resto, la violenza fatta al suo valletto, la frequentazione dei luoghi più abietti alla ricerca di un piacere ancora più abietto; e poi la cattura, il processo, l’esilio.
“Ma perché sei venuto a rifugiarti quassù, in un posto così inospitale?”, chiese Arduino.
“Perché sono maledetto! – gridò Decenzio – Perché quando vedo un uomo, la mia carne comincia a bruciare… e il desiderio mi strazia l’anima!”
“Povero amico mio…” disse Arduino e in un trasporto di sincera pietà, cercò di stringerlo in un abbraccio.
Ma Decenzio si svincolò, balzando in piedi.
“No… - gemette – No, stammi lontano, ti prego…”, e rimase lì, inconsapevole della sua nudità, della sua eccitazione.
Una cosa bisogna dire: che man mano che Decenzio seguitava a raccontare le sue sventure, Arduino si era sentito prendere da una miriade di sentimenti contrastanti. Per carità, non era un ingenuo o uno sprovveduto, sapeva bene quello che succedeva nei fienili, dove stallieri e bassa servitù sfogavano i loro istinti su mozzi e garzoni: il loro culo era sempre meno puzzolente di quello di una capra. Ma erano fatti di cui aveva sentito parlare e a cui non aveva mai prestato molta attenzione: succedeva, era sempre successo. Adesso, però, aveva davanti un fatto concreto, un ragazzo, che per di più si era lui stesso, volontariamente, sottomesso ad altri uomini, spinto dall’assillo di soddisfare la carne di femmina che era dentro di lui.
Commozione, imbarazzo, eccitazione erano i sentimenti più palesi che si agitavano nel suo animo. L’uno gli urlava di raccogliere le sue cose e andarsene di corsa, di liberarsi da quell’impaccio che non sapeva come gestire; l’altra gli diceva non poteva lasciare in questo modo una persona che aveva già tanto sofferto e non per colpa sua. Ma era l’eccitazione a lavorare più subdolamente… l’eccitazione che gli faceva correre strani brividi sotto la pelle… che suscitava un perverso interesse per quella carne di femmina nascosta in un corpo maschile… in quel corpo così armonioso, in quel culo così ammaliante… e lui… che non l’aveva mai gustato carne di femmina nascosta nel culo di un uomo… gli bisbigliò all’orecchio l’eccitazione, più insinuante del serpente di Eva.
Qualcosa cominciò a ribollirgli in mezzo alle gambe, sprigionando vapori lussuriosi che presero a salirgli verso la testa. Il cazzo gli si indurì nella braghetta e spurgò copiosamente.
Arduino non si rese neppure conto quando si alzò e gli si avvicinò con una luce cupida negli occhi. Gli andò vicino, gli pose le mani sulle spalle.
“Decenzio, io…”, mormorò e non seppe cos’altro dire.
O che capisse, o che agisse d’impulso, tremando nell’ardore della sua febbre, Decenzio gli crollò in ginocchio davanti e lo abbracciò all’altezza della vita, premendo con forza il volto sul suo inguine. L’odore del cazzo maturo e già pronto al sesso finì di stordirlo: dopo averlo respirato a fondo due o tre volte, sciolse con mano tremante i lacci della braghetta e impugnò finalmente quella carne virile, che tutto il suo essere anelava. Lo stomaco gli si sciolse, mentre stringeva nella mano l’organo poderoso e bollente… ne baciò la punta sbavata e ne annusò l’afrore pungente, prima di lambirlo con la lingua e infine ingoiarlo con un gemito famelico. Se lo fece rotolare nella bocca, avvolgendolo con la lingua, ancora incapace di credere che stesse succedendo veramente.
Da quanto tempo non gustava più il sapore del maschio… e che buon sapore, questo, rispetto a quelli sporchi e rancidi che aveva assaggiato in precedenza! Lo tenne in bocca a lungo, gustandone ogni minima variazione di sapore; ma altro pretendeva la carne di femmina dentro le sue viscere… per altro smaniava. Allora, dopo alcune ultime leccate, Decenzio si pose sul giaciglio a quattro zampe, lanciò all’altro un’occhiata eloquente e rimase in attesa.
Arduino aveva già montato da dietro qualcuna delle sue donne particolarmente scaltrita, per cui sapeva come regolarsi: lo avrebbe solo ficcato in un buco diverso. Gli si inginocchiò, dunque, alle spalle e si tenne l’uccello con due dita, scappellandolo e dirigendolo verso l’orifizio. In quel momento, ebbe il timore
che un affare poderoso come il suo non potesse entrare in un minuscolo buco di culo, se non a costo di chissà quali sofferenze, e fu tentato di tirarsi indietro, ma la foia ormai la faceva da padrone e l’urgenza primordiale era scopare… scopare e sborrare. Puntò sul buco la punta del glande, scivolosa di umori e di saliva, poi afferrò saldamente Decenzio per i fianchi e spinse dentro.
Decenzio accolse con un rantolo quell’intrusione, ma non era di dolore, infatti la sua carne si aprì prontamente ad accogliere il cazzo tanto agognato, era bensì di soddisfatto appagamento…un appagamento via via più superlativo e totalizzante, a mano a mano che l’organo poderoso del maschio penetrava dentro le sue viscere, prendendone possesso.
Quanto ad Arduino, era la prima volta che scopava un culo e a strabiliarlo nell’immediato fu la strettezza del pertugio… una strettezza che decuplicava il piacere della penetrazione; poi si fece strada nella sua coscienza che quello era il culo di un uomo, che stava scopando, e su quell’uomo lui stava affermando il suo potere e il suo predominio.
Quasi sborrò, prima ancora di arrivare in fondo, tale era lo stravolgimento che stava provando. Ma riuscì a trattenersi e continuò a spingere, fra gli sguaiolamenti sempre più laidi e i fremiti incontrollati di Decenzio, i quali maggiormente accendevano la sua lussuria.
Quando si ritrovò con tutto il cazzo conficcato nel culo di Decenzio e lo sfintere stretto come una morsa alla sua base, il solo pensiero razionale che gli sfiorò la mente fu: Come ho fatto a privarmene finora? Poi, l’urgenza di fottere riprese il sopravvento e lui cominciò a zagagliare con foga dentro e fuori, incurante o forse ancor più arrapato dai gemiti e dai sospiri di un Decenzio in preda al delirio. Quando giunse il momento, l’esplosione fu ricca e consistente: Arduino stesso rimase stupito che si potesse sborrare tanto.
Una volta finito, fece per tirarsi fuori, ma con un grido di bestia ferita Decenzio allungò indietro le mani e lo afferrò per le chiappe, tenendoselo dentro ben premuto.
“No, - gemette – dammene ancora… dammene ancora…”
Al colmo della meraviglia e più che mai infervorato, Arduino gliene diede ancora, riprendendo a scoparlo, dapprima con ritmo lento, assaporando ogni straziante pollice della spinta in avanti, poi sempre più veloce e martellante.
Insomma, tre volte di seguito dovette scoparlo, e ogni volta con dovizia di emissione, prima che Decenzio accettasse di separarsi dall’agognato batacchio, che con tanta vigorosa gagliardia aveva suonato la sua campana.
Quando il cazzo semiduro di Arduino sgusciò fuori dal culo di Decenzio, fu come se fosse saltato il tappo di un otre ricolmo, tale fu la colata di sugo biancastro che traboccò dal buco sfranto, colando a terra.
Arduino fissò un attimo la scena, poi crollò disteso sul giaciglio, stremato ed ansimante; lo aveva scopato tre volte di seguito: neanche lui riusciva a capacitarsi di come fosse stato possibile… lui, poi, che mai aveva nutrito interesse per la carne maschile!
Ma se si illudeva che altrettanto appagato fosse Decenzio, si sbagliava di grosso: non appena lo vide abbandonato scompostamente sul giaciglio, il giovane lo spogliò nudo, togliendogli stivali, calzamaglia e tutto il resto, dopo di che si diede a pascersi del suo corpo nudo, baciandone e leccandone ogni parte, grufolandogli sotto le ascelle sudate, succhiandogli le dita dei piedi, mordendogli i capezzoli e succhiandoli, ravanando con la lingua nell’ombelico, leccandogli le palle, gustando le gocce di siero che tuttora seguitavano a sgorgargli dal cazzo molle.
Era come in preda ad una frenesia incontrollabile, come se non gli bastasse quell’unica parte di cui aveva goduto, ma volesse farne suo tutto il corpo. Arduino, dal canto suo, era strabiliato: mai gli era capitato di essere l’oggetto di tanta avida adorazione. Anzi, con le donne che avevano condiviso il suo letto, tutto finiva al momento dell’orgasmo e spesso non si guardavano neanche negli occhi dopo aver goduto; Decenzio, invece, sembrava voler prolungare all’infinito il delirio di piacere che li aveva travolti.
All’inizio, per la verità, Arduino provò un certo imbarazzo, non tanto per la sua nudità, quanto per il fatto di sentirsi addosso le mani, le labbra… la lingua di un altro, che si spingeva in posti finora inesplorati. E ancor più fu quando si accorse di provarne piacere… di sentirsene appagato ed… eccitato.
Cercò di nasconderlo a se stesso, ma era innegabile che il cazzo fosse tornato a pulsargli, che fosse lui stesso, se non ad offrirsi, per lo meno ad accettare e incoraggiare quei baci e quelle attenzioni; ed ecco allora affiorare un impulso nuovo, inaspettato, che lo spinse ad allungare la mano, ad accennare sull’altro una carezza, stupendosi dalla piacevolezza che gli procurava sentire sotto le dita il calore e la levigatezza della pelle altrui.
Arduino possedette ancora Decenzio più volte, durante quella lunga giornata, e quella notte dormirono abbracciati, avvolti nel caldo mantello. O meglio, lui dormì, non certo Decenzio, che già paventava il momento della separazione.
“Dobbiamo andare.”, disse infatti Arduino, appena furono svegli, ancora abbracciati.
“Dobbiamo?”, chiese Decenzio, sbiancando in volto.
“Non vorrai mica che ti lasci qui… da solo, con l’inverno alle porte. Hai idea di cosa significa dover combattere con la neve, i lupi, la fame.”, ribatté Arduino con convinzione.
“Ma io non posso venire con te…”
“Cosa dici? Perché non potresti venire con me?”
“La maledizione… - esclamò Decenzio col gemito di una bestia ferita - Sai cosa significherebbe per me trovarmi in mezzo ad altre persone… ad altri uomini…”
“Ah, quello… – ridacchiò Arduino – Non preoccuparti della maledizione: ci penso io a tenerla a bada!”, e gli afferrò una manata di culo, dandoci una vigorosa strizzata.
E così, il cammino di Decenzio verso la redenzione e la santità si interruppe bruscamente, ma credo che il ritorno alla vita peccaminosa finisse col gratificarlo e renderlo felice molto di più.

FINE
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