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Fra Sodomizio - 4


di adad
10.07.2018    |    9.768    |    1 9.1
"Fra Gelsomino non capiva cosa poteva essere successo, ma soprattutto non sapeva cosa fare per dargli sollievo..."
Era un tiepido pomeriggio di primavera ed era passato ormai più di un anno da quando giunto fortunosamente nel convento di San Virginio, fra Sodomizio aveva preso ad occuparsi del benessere fisico, e di conseguenza spirituale, dei suoi confratelli. Padre Guardiano compreso, ovviamente, il quale però non aveva mai potuto godere, più che altro per sopraggiunti limiti di età, dei servizi extra che il frate spulciatore offriva ai suoi clienti più affezionati, primo fra tutti il giovane fra Gelsomino.
Era un tiepido pomeriggio di primavera e fra Sodomizio riposava nella sua cella, disteso sul suo duro lettuccio. Fantasticava. Ripensava ai bei tempi di quando era ancora libero… Oddio, non che si sentisse prigioniero qui in convento, anzi: pregava, lavorava ed aveva le sue belle soddisfazioni. Ma vuoi mettere il mondo fuori da queste mura? Mondo tragico con tutte le sue violenze, mondo peccaminoso con tutte le sue tentazioni e le occasioni di peccato, con cui il Demonio si diverte a infiorarci la strada… ma vuoi mettere l’aria profumata dei campi, il tepore del sole sulla pelle… Fra Sodomizio sospirò e chiuse gli occhi, quasi a far sì che quelle fantasticherie diventassero realtà.
Fu allora che cominciò a sentirsi uno strano calore addosso, come se il Demonio gli avesse acceso un fuoco sotto il tavolato del lettuccio. In preda alla smania, si tolse il saio e rimase disteso sulla lercia coperta solo con la braghetta.
Incrociò le mani dietro la nuca e riprese a fantasticare… le passeggiate, i cori all’osteria… Il calore sotto la sua pelle continuò a crescere, e nello stesso tempo prese a crescere anche il manicotto nella braghetta…
Preso da una sorta di smaniosa insofferenza, il frate si tolse pure quella, restando nudo del tutto. Ma se sperava che il calore che vi si andava accumulando si disperdesse, purtroppo si sbagliava: il cazzo sembrava vivere una vita tutta sua.
E come se non bastasse, cominciò a sentirsi tutto un prurito, tutto un formicolio che lo percorreva a ondate dal buco del culo alla punta dell’uccello, ondate sempre più forti e più pruriginose. Prese a grattarsi le palle, ma non servì a niente; si ficcò due dita nel culo, ma non fece che accrescerne il bruciore…
D’un tratto sembrò che un esercito di pulci, tutte le pulci che lui aveva ucciso in tanti anni, gli si fosse insinuato fra le pieghe del prepuzio, schiere di pulci vendicatrici che gli scivolavano fra le pelle carnosa e la superficie levigata della cappella.
Si afferrò la mazza tesa allo spasimo e strattonò tutto giù il prepuzio, provando, sì, una fitta di lancinante piacere, ma senza alcun sollievo per il tormento che stava provando.
Allora, prese a sfregarsi fra le dita il glande viscido di spurgo, torcendosi sul lettuccio e sguaiolando, con due dita della sinistra interamente piantate nel retto e il palmo della destra chiuso a cappuccio sopra la cappella, nel tentativo di darsi sollievo. Ma era tutto un bruciore, tutto un pizzicore, tutto un formicolio, da cui non c’era requie.
Fu in quel momento che il volto angelico di fra Gelsomino si affacciò all’uscio dischiuso, e rimase attonito alla vista dell’amico che si torceva sul lettuccio in preda agli spasimi.
“Cos’hai, fratello?”, gli chiese alla fine, facendosi avanti.
L’altro lo guardò con gli occhi vacui, senza rispondere.
“Sono le pulci che non ti danno tregua?”, chiese ancora il fraticello.
Con un grugnito, fra Sodomizio si tolse le dita dal culo.
“E’ questo!”, mugugnò alla fine, stringendosi convulsamente il cavicchio e arcuandosi, spingendo in alto il bacino.
Non era la prima volta che fra Gelsomino vedeva la nudità dell’amico, ma mai in uno stato di così rabbiosa eccitazione.
Fra Gelsomino non capiva cosa poteva essere successo, ma soprattutto non sapeva cosa fare per dargli sollievo.
“Mi brucia tutto… “, gemette fra Sodomizio tornando a torcersi sul lettuccio, sempre con la mazza stretta nel pugno.
“Ci dev’essere entrato qualcosa…”, azzardò il fraticello.
“Sì, il verme dello sturbo…”, sospirò l’altro, guardandolo fisso.
“Il verme dello sturbo? – chiese fra Gelsomino – E che verme è?”
“E’ un verme maledetto, che ti entra qui dentro mentre non ci guardi, e ti fa impazzire…”
“Cosa si può fare?”
“Bisogna soffocarlo. – rispose fra Sodomizio – Bisogna ficcare questo arnese in un posto buio e stretto, dove non c’è aria, e aspettare che soffochi. Tu potresti aiutarmi.”
“Va bene, fratello, dimmi soltanto cosa devo fare.”
“Davvero faresti questo sacrificio per me?”, mormorò fra Sodomizio con voce già colma di gratitudine.
“Tu hai fatto tanto per me…”
“Allora, togliti il saio.”
“Ma…”
“E’ necessario, è così che si fa.”
Fra Gelsomino si sfilò il saio.
“Togliti anche la braghetta.”
“Ma dobbiamo giocare a spulcia la pulce?”
“Fallo, per favore…”
Il fraticello si sfilò anche la braghetta: mai era apparso così bello e voluttuoso agli occhi dell’amico, che allungò la mano a lisciargli il culo vellutato.
“Salimi sopra”
Fra Gelsomino non capiva, ma non fece obiezione: salì sul lettuccio e si pose a cavalcioni dell’amico, che si tenne diritto con la mano il cazzo sbavato e guidò il fraticello in modo da puntarglielo sul buco del culo.
“Siediti, adesso.”, mormorò col cuore in gola per l’emozione.
Un po’ il peso della gravità, un po’ la pressione impressa da fra Sodomizio, che lo aveva afferrato per i fianchi e spingeva in basso, il glande viscido riuscì a sgusciare oltre lo sfintere, forzandone la resistenza.
“Ahi! – fece il fraticello all’improvvisa fitta di dolore – Ma che stai facendo?”
“Sta buono… sta buono, ti prego: è l’unico modo per soffocare il verme dello sturbo. Lo so che ti fa male… ma sapessi cosa sto soffrendo io… Fra un po’ ti passa… Fra un po’ staremo meglio tutti e due.”
Al pensiero di aiutare l’amico a soffocare quel verme maledetto, fra Gelsomino strinse i denti e soffocò i gemiti per il dolore che il grosso cavicchio procurava al suo vergine ano, via via che sprofondava nella calda, straziante oscurità.
Finalmente, dopo un tempo che sembrò interminabile, fra Gelsomino si ritrovò seduto sul ciuffo crespo di fra Sodomizio ed accolse la cosa con un sospiro di sollievo, anche perché il dolore andava placandosi, facendo spazio ad un senso di piacevole pienezza.
“E’ già morto il verme?” balbettò, sentendosi sciogliere sotto le mani bramose di fra Sodomizio, che lo stavano carezzando dappertutto.
“Non ancora… Bisogna strapazzarlo un po’, prima…”, e cominciò a muoversi piano piano, per dare modo al violato orifizio di adattarsi.
Violato orifizio, che si adattò in fretta, bisogna dire, visto che dopo un po’ fra Gelsomino cominciò a partecipare attivamente alla cavalcata, ridendo, gemendo e sospirando.
D’un tratto, fra Sodomizio lo abbrancò e senza staccarsi da lui, riuscì a rigirarlo, ponendolo di schiena sul lettuccio, e sollevatogli le gambe, riprese a strapazzare il verme con maggior vigore. Erano talmente intenti all’opera, da non accorgersi che la porta si era aperta e il frate giardiniere era entrato e stava a fissare la scena con gli occhi sbarrati.
“Cosa sta succedendo?”, chiese dopo un po’.
Fra Gelsomino volse gli occhi sorridenti verso di lui:
“Fra Sodomizio sta soffocando il verme dello sturbo”, mormorò piano per non interrompere l’altro, che non si era accorto di niente.
“Ah.. – fece l’altro, fissando il culo polposo del frate che andava su e giù – A pensarci bene, avrei pure un verme da soffocare.”
E si sfilò il saio, tirandosi fuori dalla braghetta il marchingegno già in evidente stato di alterazione. Senza dire niente, montò sul lettuccio, allargò le natiche di fra Sodomizio, gli sputò sul pertugio e cominciò a spingerglielo dentro, senza tanti complimenti.
“Ehi! - saltò su quello, accorgendosi finalmente del nuovo arrivato – Cosa stai facendo?”
“Sta buono, furbacchione! – disse con voce allegra il frate giardiniere – Ho pure io un verme da soffocare.”, e gli assestò sulla chiappa una ceffonata, che gli lasciò il segno della mano.
Per farla breve e non annoiare i lettori con cose ormai scontate, quel giorno nuovi orizzonti si aprirono nel convento di San Virginio. La fama di guaritore di fra Sodomizio cominciò a spargersi per le contrade vicine e schiere sempre maggiori di giovanotti infestati dalle pulci o tormentati dal verme dello sturbo presero ad affluire per godere delle prestazioni del frate, validamente coadiuvato dai suoi assistenti, fra Gelsomino e il frate giardiniere, di cui purtroppo le antiche cronache non hanno tramandato il nome.
Qualcuno si chiederà: ma il padre Guardiano e gli altri anziani del convento non si accorsero mai di niente? Che dire? A parte il fatto che il mondo a quei tempi era molto meno complicato di oggi e tante cose che suscitano grida di orrore agli odierni conformisti politicamente corretti, allora erano guardate con condiscendenza o tutt’al più con commiserazione; ma anche se qualcuno si fosse scandalizzato, pensate davvero che avrebbe compromesso il generoso afflusso di offerte che quotidianamente piovevano nelle casse del convento, grazie all’indefessa attività guaritrice di fra Sodomizio e dei suoi validi assistenti? I frati di allora potevano essere ingenui, ma coglioni, proprio no!

FINE
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