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Effetto Nico - 2


di adad
15.03.2018    |    7.087    |    1 9.8
"Nico fu puntuale e nel rivederlo lo trovai ancora più seducente, specie con quel leggero ansimare per i tre piani di scale che si era fatto..."
Credo sia inutile star qui a raccontare l’ansia con cui attesi lo sviluppo delle foto, la palpitazione con lui aprii i bustoni che avevo ritirato dal fotografo, le seghe con cui accompagnai la visione: sono cose facilmente immaginabili. Un paio di settimane dopo, Nico mi telefonò e fissammo un nuovo incontro. Stavolta veniva direttamente a casa mia e siccome faceva molto caldo, decisi puttanescamente di aspettarlo indossando una canottiera colorata e dei pantaloncini cortissimi, sotto i quali non indossavo niente.
Nico fu puntuale e nel rivederlo lo trovai ancora più seducente, specie con quel leggero ansimare per i tre piani di scale che si era fatto.
Dopo i saluti, si accomodò, gli diedi le foto e mi sedetti accanto a lui per guardarle e commentarle insieme. Il che, naturalmente, unito alla sua vicinanza a contatto di coscia, produsse ben presto i suoi effetti e l’uccello mi si cominciò ineluttabilmente a stirare sotto i pantaloncini.
“Belle, - fece lui soddisfatto, dopo averle guardate tutte – sei un bravo fotografo.”
“Grazie; ma è il soggetto che mi ispira.”, dissi con un sorriso.
“Vedo!”, ghignò lui, accennando alla mia visibile erezione.
Scoppiai a ridere.
“Beh, sai com’è…”, mi scusai scherzosamente.
“Prenditi pure quelle che ti piacciono.”, proseguì lui, dandomi il mazzo di foto.
Allora ne scelsi sei o sette di quelle più intriganti, almeno per me, e gli riconsegnai le altre.
“Solo quelle? Prendine ancora.”, fece lui.
“No, mi bastano queste per farmi un po’ di seghe. - risposi con la naturalezza che ormai si era instaurata fra noi – A te invece servono per i tuoi contatti.”
Ma non fatevi ingannare dalla mia falsa disponibilità: in realtà avevo fatto fare due copie di ogni rullino: non sono mica scemo!
Lui mi ringraziò, le riguardò tutte, ne scelse un paio e generosamente me le regalò:
“Queste possono servire di più a te!”, mi disse, ridacchiando.
E in effetti lo ritraevano in pose più adatte a stuzzicare la mia lussuria, che non l’interesse di una donna.
“Ah, grazie.”, feci, ammirandole con un sospiro silenzioso.
“Facciamo qualche scatto?”, gli chiesi dopo.
“Volentieri, - rispose – ma non oggi. Devo essere a casa fra mezzora, mia moglie…”
“Sei sposato?”, gli chiesi stupito.
“Sì, non te l’ho detto?”
“No”
“Pensavo di sì… Ti crea problemi?”
Feci spallucce:
“Se non ne crea a te... Ma scusa, come fai a gestire i tuoi contatti, se sei sposato?”
“Eh… sai…”, rispose evasivamente.
“No, scusa, non sono affari che mi riguardano.”, lo interruppi subito.
“Grazie delle foto, - disse lui alzandosi – ci sentiamo un altro giorno. Appena ho un pomeriggio libero, ti faccio un colpo e organizziamo, ok?”
“Ci conto.”, risposi, accompagnandolo alla porta.
L’erezione si era dileguata: mi rimaneva solo una macchia appena visibile sul davanti dei pantaloncini.
“Grazie ancora.”, disse salutandomi.
“Figurati, è stato un piacere.”, e non mentivo.
Rimasi sulla soglia, seguendolo con gli occhi fino a vederlo scomparire nella svolta delle scale. E pure lui è andato, mi dissi con un senso di rammarico: anche se razionalmente sapevo benedi non potermi aspettare niente da lui, mi piaceva l’idea di essere amici, di vederci ogni tanto, scattargli qualche foto.
Era un tipo un po’ strano, certo, ma mi ci ero trovato bene in quell’oretta che avevamo passato insieme, anzi: più che bene, direi! In particolare avevo trovato stupefacente la naturalezza che si era reciprocamente instaurata nei nostri rapporti: lui sapeva di piacermi, eppure mi si era mostrato senza imbarazzo, concedendosi alla mia bramosia fin dove gli era possibile.
Insomma, dove lo trovi un etero che si lascia toccare e smanettare da un frocio arrapato? Eppure lui lo aveva fatto, con naturalezza e senza alcuna condiscendenza, senza farmelo pesare. Con la stessa naturalezza, da parte mia, gli avevo manifestato chi ero e i sentimenti che lui mi ispirava; senza imbarazzo gli avevo esibito l’eccitazione che mi stimolava, accettando solo con un po’ di rammarico la sua indisponibilità ad andare oltre certi limiti, ma anzi grato per quello che accettava di darmi.
Peccato che sia finita così presto, considerai con una punta d’amarezza, richiudendo la porta. Ero certo, infatti, che non lo avrei più rivisto. E invece non era così, mi sbagliavo di grosso, come potei costatare circa un mese dopo, quando suonò il telefono e al mio Pronto:
“Ciao, Lorenzo, - mi sentii rispondere – ti ricordi di me?”
Ebbi un tuffo al cuore e un immediato afflusso di sangue nella zona mediana del corpo.
“Certo che mi ricordo! – risposi, sbottonandomi i pantaloni – Con tutte le seghe che mi sono fatto con le tue foto!”
Nico scoppiò a ridere.
“Immagino!”, disse.
“Non ti secca, vero?”, feci, iniziando a smanettarmi l’uccello già fremente.
“Certo che no. Anzi, mi fa piacere.”
“Meno male…”
“Senti, quando vuoi, facciamo un altro servizio. Ti chiamavo appunto per questo.”
“Le hai già finite tutte?”, feci, cercando di controllare il tremolio della voce.
“Vanno come il pane!”
Così fissammo un secondo appuntamento fotografico per il pomeriggio successivo.
Ritenendo opportuno stavolta riceverlo in maniera più consona, decisi di mettere le mutande sotto i pantaloncini, anche se la cosa servì a ben poco, perché mi bastò vederlo spuntare dalla rampa delle scale, che subito il cazzo mi cominciò a formicolare, rendendo vani i miei virtuosi propositi.
Due chiacchiere seduti sul divano, poi:
“Metto su un porno, - suggerii – così scaldiamo l’atmosfera?”
“Ah, ok.”, fece lui e il video non era ancora partito che già si stava spogliando.
In un lampo fu nudo e inequivocabilmente eccitato. Si sedette sul divano e allargò le gambe. Si teneva i coglioni con una mano a coppa; poi, appena cominciarono a scorrere le prime immagini di tette e fighe, si impugnò il bell’uccellone turgido e prese a menarselo lentamente.
Lo fissai per un lungo momento, del tutto ammaliato da quello spettacolo così strippante; infine, presi silenziosamente la macchina fotografica e, senza dirgli niente, iniziai a scattare. Appena se ne accorse, Nico cominciò ad assumere le sue pose preferite.
Tutto il primo rullino fu consumato per quegli scatti in cui si mettevano maggiormente in risalto le dimensioni e la possanza del suo nerchio, ma che per me finirono col risultare noiosi e ripetitivi. Comunque, erano queste le foto che gli servivano per i suoi annunci e le sue relazioni sociali, e io non potevo che sottostare alle sue necessità.
Avevo da poco iniziato il secondo rullino, quando vincendo la ritrosia:
“Senti, faresti qualche foto pure a me?”, gli chiesi all’improvviso.
“Ah, volentieri.”, rispose.
Allora gli diedi la fotocamera e mi tolsi la maglietta e i pantaloncini. Mi feci fare qualche scatto in mutande, con il cazzo duro ben delineato sotto la maglina elastica, le palle mezzo fuori dalla sgambatura ecc.; poi mi tolsi pure quelle e, dopo un attimo di imbarazzo, presto dileguato, mi esibii al meglio delle mie attitudini puttanesche.
Il culmine lo raggiunsi quando mi piegai a novanta gradi col culo rivolto all’obiettivo e mi slargai le natiche con le mani, scodellandogli il buco davanti agli occhi e quasi offrendoglielo pronto e disponibile.
Per un attimo sperai con tutte le mie forze che si lasciasse vincere dall’istinto predatorio del maschio, che cedesse alla fregola animalesca, che sentivo sprigionarsi da lui come un fluido magnetico, sperai che buttasse via la macchina fotografica e mi saltasse addosso, che mi puntasse il suo nerchione spasimante sul buco in calore e me lo sbattesse dentro senza riguardi come la più lurida delle sue puttane.
Ma lui continuò a scattare: si menava l’uccello e scattava… E il mio desiderio spasmodico si consumava senza appagamento.
Finito il rullino, tornammo in soggiorno; Nico si stravaccò sul divano e riprese a guardare il film, ormai alle sue battute finali. Mi sedetti accanto a lui e allungai la mano a carezzargli le palle gonfie. Lui non disse niente: si prese il cazzo e cominciò piano a menarselo.
“Fatti una sega, dai.”, mormorai continuando a carezzargli i coglioni.
“Fattela pure tu.”, rispose lui, accelerando il ritmo.
Allora corsi a prendere un asciugamano e glielo diedi; poi mi gli risedetti accanto e presi a segarmi pure io, guardando lui, che ogni tanto guardava me. Mi bastarono pochi secondi e con un lungo gemito mi abbandonai all’indietro sullo schienale del divano, sbrodolandomi tutto sul petto e sulla pancia.
Lui mi fissò con occhio vacuo e subito dopo lo vidi incordarsi, afferrare con un grido strozzato l’asciugamano e tamponarselo sul cazzo, scosso da un orgasmo apocalittico. Finito che ebbe, ci ripulimmo alla meglio e ci rivestimmo.
Fu così che iniziò il nostro sodalizio, come dire?, erotico: non appena rimaneva a corto di foto, il che succedeva più o meno una volta al mese, Nico mi telefonava e veniva per una seduta. In genere lo aspettavo già mezzo nudo e gli facevo trovare un porno, ovviamente etero, già avviato sul televisore, così da non perderci in chiacchiere inutili.
Dopo aver dato un’occhiata più o meno interessata alla scena sullo schermo, lui si spogliava e io iniziavo a scattargli foto, dandogli gli opportuni suggerimenti sulle pose da assumere.
In realtà, devo confessare che era più per me che lo facevo, in quanto trovavo terribilmente eccitante star lì a suggerirgli con fredda professionalità: “Impugnati il cazzo un po’ più in basso… adesso spingi su il bacino… ecco, così… fantastico…; oppure: Scappellalo bene, fa’ vedere che sei tutto bagnato… Facci venir voglia di leccartelo…”
Lui ridacchiava a quest’ultima battuta, sapendo benissimo quanto fosse vera. Ogni tanto gli chiedevo se potevo fargli qualche scatto per me.
“Certo, - rispondeva lui sornione – come vuoi che mi metto?” e si sottoponeva di buon grado a qualunque mia richiesta.
Fu così che una volta arrivai a fargli un magnifico primo piano del buco del culo, con lui stesso che si teneva aperte le chiappe! Dal che capii che la cosa doveva eccitare moltissimo anche lui, tant’è vero che da allora fu egli stesso a offrirmi spontaneamente fantastici scorci della sua intimità inviolata.
“Questa è per te”, mi diceva, piegandosi e aprendosi il culo con le mani.
“Hai un buco fantastico, - gli dissi una volta – te l’hanno mai leccato?”
“No….”, rispose mezzo scandalizzato.
“Beh immagino che difficilmente una donna sia propensa a leccare il culo al proprio uomo.”
“E tu?”, scherzò lui.
“Io lo adoro… - esclamai con tono libidinosamente sognante – Se vuoi, te lo faccio… così vedi cosa si prova a sentirsi frugare il buco da una lingua calda… bagnata…”
“Sei un porco!”, ridacchiò lui e la cosa finì lì.
Ebbene, lo ammetto: ero completamente succube del magnetismo erotico che si sprigionava da quel maschio così straordinariamente virile: non so neanch’io cosa avrei dato per realizzare anche soltanto uno dei desideri selvaggi.
Dopo averlo fotografato in lungo e in largo, dopo averlo rivoltato come un calzino, era il mio turno: allora mi spogliavo del poco che mi era rimasto addosso e mi offrivo a lui… Già: mi offrivo… perché questo era il vero spirito della mia esibizione.
C’era una differenza sostanziale tra me e Nico: lui era fondamentalmente un narcisista innamorato di se stesso e del suo cazzo; si esibiva per il gusto di farsi ammirare e che ci fossi io o un’altra persona, credo che gli sarebbe stato del tutto indifferente. Per lui l’eccitazione nasceva dal fatto che ci fosse qualcuno, meglio se un uomo, a guardarlo e a magnificare la sua virilità, basta. Che poi questi lo desiderasse anche sul piano sessuale era un di più che lo gratificava maggiormente nel suo amor proprio.
Per me era diverso: per me era ogni volta un tentativo di seduzione. Io mi esibivo per lui, mi offrivo a lui nelle pose più sconce, più sessualmente allusive, con l’aspirazione segreta di infiammare la sua libidine, di eccitarlo al punto da fargli perdere la testa; volevo che fosse talmente arrapato da mandare affanculo le sue prevenzioni e rispondesse unicamente all’istinto ancestrale di godere e sborrare in un qualsiasi buco caldo si trovasse sottomano o... sottocazzo!
E arrapato lo era indubbiamente ogni volta; ma mai al punto di perdere il controllo, purtroppo; neanche quando lo tentavo nei modi più accattivanti: “Sei eccitato, - gli dicevo - dai fattelo succhiare… ti faccio venire con la bocca… è sempre meglio che farti una sega…”; oppure: “Inculami, dai, mettimelo dentro… Fatti una sega col mio buco del culo…” Mancava poco che gli dicessi anche: “Per favore…” Essere la sua puttana, in quei momenti, prestarmi con tutto me stesso per farlo godere, ricevere il dono del suo siero liquoroso: questo era il più ardente dei miei desideri. Ma per quanto mi rendessi laido e disponibile, non ci fu mai verso di oltrepassare la barriera perentoria dei suoi “No”.
E così finivamo ogni volta a scaricare e nostre tensioni davanti a un porno… etero, per giunta!
Ma a parte questo, lui era carinissimo con me. Lasciava che lo toccassi dappertutto, che lo smanettassi, anche se mai fino a farlo venire; dopo qualche tempo aveva accettato di non tamponarsi più con l’asciugamano al momento dell’orgasmo, in modo che potessi guardarlo quando sborrava, lasciandomi a volte perfino il compito di pulirlo…
Una volta, mentre ci masturbavamo al termine fine di una seduta fotografica particolarmente intensa:
“Ti va di sborrarmi sul buco del culo?”, gli chiesi.
“Dove vuoi tu, caro.”, rispose.
“Allora dimmi quando sei pronto, così mi posiziono.”, ansimai.
Continuammo a segarci freneticamente, finché:
“Dai, posizionati…”, anfanò Nico con voce strozzata.
Rapido, allora, mi distesi sul divano, rovesciandomi le gambe sul petto e
tenendomi slargate al massimo le chiappe; altrettanto rapido, lui si alzò, mi appoggiò la punta del cazzo sul buco del culo e sentii inondarmelo dal suo liquido denso e viscoso.
Appena finito, lui andò in bagno a lavarsi, io invece mi raddrizzai, raccolsi le mutande e me le infilai, tenendomi addosso la sua sborra fino alla mattina successiva. Fu una sensazione davvero particolare sentirmi dapprima l’infrachiappo tutto scivoloso e sciaguattante mentre camminavo, e poi le mutande incrostate alla pelle, che vennero via con uno strappo quando me le tolsi.

(continua)
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