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Gay & Bisex

Viaggio fra le stelle


di adad
18.07.2020    |    5.000    |    7 9.3
"Il robot si voltò a studiare un momento la figura smilza di Mark..."
L’astronave di prima classe I-G ONE viaggiava veloce nel buio firmamento interstellare. Era in volo da 30 anni, diretta alla remota colonia spaziale di Ferugia, distante dalla Terra diversi milioni e miliardi di chilometri.
Al suo interno, una morbida luce in modalità notturna abbracciava le capsule in cui equipaggio e viaggiatori riposavano ibernati: l’astronave avrebbe viaggiato ancora per oltre 70 anni, prima di arrivare nell’orbita di Ferugia. Al suo arrivo, i tecnici sulla Terra che l’avevano spedita nello spazio sarebbero stati da tempo ossa e polvere, compreso il giovane Walter, che aveva pianto al momento di schiacciare il pulsante di accensione motori, al fatidico “ZERO”. Con l’astronave se ne andava per sempre metà del suo cuore.
Nella penombra, spiccavano vivide le luci verdi dei quadri elettronici ad indicare che nelle remote visceri dell’astronave tutto procedeva secondo i piani. I tecnici, i programmatori e gli ingegneri spaziali avevano fatto tutti un ottimo lavoro.
Il silenzio ovattato era turbato solo dal ronzio sommesso delle attrezzature in funzione. Un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro, un anno dopo l’altro, l’astronave procedeva immersa nel silenzio di quella pace innaturale, che nulla giungeva a turbare.
Poi, all’improvviso, una spia rossa prese a lampeggiare sul quadro elettronico di una delle capsule e, subito dopo, un fischio leggero e uno sbuffo ruppero l’immobilità soporifera della grande sala, mentre il coperchio cominciava a sollevarsi lentamente. L’uomo all’interno rimase immobile per un pezzo, mentre una infinità di aghi, conficcati sotto la pelle, svegliavano il sangue e riprendevano a insufflargli vita e calore nelle vene contratte. Ci volle un po’, prima che il suo cuore avesse un debole battito, ma subito dopo il petto si sollevò a risucchiare aria, i polmoni si gonfiarono e si svuotarono, avidi di respirare l’aria arricchita di ossigeno. Il processo di risveglio era ormai innescato: un colorito sano tornò sul volto armonioso, le membra cominciarono a perdere il torpore e infine, dopo un breve tremolio, le palpebre si sollevarono a riprendere contatto con il mondo.
Ormai cosciente, l’uomo cercò di sollevarsi a sedere, ma era ancora imprigionato nelle attrezzature, doveva aspettare, così gli avevano insegnato al corso di addestramento.
E lui aspettò. Aspettò, finché, completato il loro compito, le attrezzature lo lasciarono libero e lui riuscì a sollevarsi seduto. Si sentiva ancora molto debole, anche se i nutrienti che gli erano stati iniettati nelle vene cominciavano a fare il loro effetto. Si guardò intorno: c’era qualcosa di strano… dove erano gli altri? Dove era il personale di bordo, che avrebbe dovuto assisterli in quel delicato momento? Se ricordava bene le istruzioni, una volta raggiunta l’orbita di Ferugia, prima si sarebbe svegliato il personale di bordo, con i tecnici di volo ecc. poi sarebbe toccato a loro, i coloni, e insieme avrebbero predisposto tutto il necessario all’atterraggio e al trasferimento nella base dell’insediamento. Ma dov’erano tutti?
Si guardò attorno, mentre gli occhi si rimettevano lentamente a fuoco: nella penombra, le altre capsule erano ancora chiuse…
“Ma cosa è successo?”, si chiese stupito.
Raccogliendo le forze, riuscì a mettere una gamba fuori da quella bara volante, poi l’altra e, sostenendosi con forza sulle sponde, si alzò in piedi. Barcollò per un leggero capogiro, quindi fece qualche passo verso l’ovulo più vicino. Si chinò a guardare: sotto il plexiglas del coperchio ermeticamente chiuso, l’uomo dormiva profondamente il suo sonno di ghiaccio… e così il successivo… e così tutti gli altri… Una sensazione di gelo lo trafisse: era da solo! Per qualche strano e imprevedibile motivo qualcosa aveva attivato il processo di risveglio… solo per lui! Cominciò a sudare freddo…
“Dove siamo? – si chiese – a che punto del viaggio?”
Il disagio si acuì ed un brivido di freddo lo scosse. A quel punto si rese conto di essere praticamente nudo, salvo un minuscolo perizoma attorno ai fianchi.
E già, secondo i piani, al suo risveglio avrebbe dovuto trovare il personale di bordo con i vestiti.
“Devo trovare qualcosa da mettermi… fa freddo qui dentro… - si disse – E anche da mangiare…”, aggiunse, cominciando a sentire un certo torcimento allo stomaco.
Ma dove? Attraversò l’enorme dormitorio con passo ancora malfermo, riuscì ad aprire un portellone e sgusciò in un corridoio semibuio e ancora più freddo, di cui non si vedeva la fine. Prese ad avanzare: da qualche parte sarebbe arrivato.
Stringendosi per le braccia e cercando di poggiare meno possibile il piede sul pavimento gelido, Mark, tale era il suo nome, prese ad avanzare, tremando per il freddo ma anche per l’incertezza, che ormai cominciava a diventare terrore: e se non fosse arrivato da nessuna parte? se non avesse trovato niente con cui coprirsi? niente da mangiare? Sarebbe morto di fame e di freddo… sarebbe morto lì, da solo… L’aria si fece ancora più fredda, sentì che gli stava venendo un attacco di panico.
“Che ci fa lei qui? Dove sta andando?”
Il suono di quella voce alle sue spalle lo raggiunse come un colpo di maglio. Sollievo e terrore mescolati insieme lo paralizzarono per un lungo momento.
“Misericordia divina! Lei dovrebbe essere di là con gli altri.”
E con queste parole, il padrone di quella voce morbida e calda, lo raggiunse e lo prese per un braccio, costringendolo a girarsi.
Mark fissò il bel volto dello sconosciuto e in qualche modo cominciò a sentirsi rassicurato.
“Che ci fa qui? – ripeté quello – Perché non è a dormire con gli altri?”
“Non lo so… - balbettò Mark, tremando ancora di più – qualcosa ha attivato il processo di risveglio…”
“Accidenti! Questo non ci voleva. Ma lei sta morendo di freddo! Prenda questo…”, disse lo sconosciuto, togliendosi un maglioncino di lana e facendoglielo infilare.
“Ma lei…”, fece Mark, vedendo che l’altro restava a torso nudo.
“Non si preoccupi per me, - sorrise quello – andiamo a cercarle un paio di pantaloni, immagino che ne abbia bisogno.”
“Posso sapere chi è il mio angelo salvatore?”, chiese Mark, seguendolo nella penombra dell’interminabile corridoio.
L’altro si girò, sorridendo.
“Mi hanno dato nome Samuel, e la prego di darmi del tu.”, fece, allungandogli la mano.
Mark gliela strinse: era una mano calda, incredibilmente morbida, ma la sua stretta era forte, forte e rassicurante. Mark sentì un brivido risalirgli per il braccio.
“In che senso le… ti hanno dato nome Samuel?”
“Sono un robot.”, rispose placidamente quello.
“Un robot?...- trasecolò Mark – ma…”
“Sembro vero? – rise il robot – Suppongo che fosse questo l’obiettivo dei tecnici che mi hanno progettato: sarebbero felici di vedere adesso la sua reazione.”
“Non riesco a crederci… Sembri davvero un uomo in carne e ossa…”
“La ringrazio.”
“Dammi del tu, per favore. Visto che siamo gli unici esseri viventi su questa nave, sarà meglio che cominciamo a familiarizzare.”
“Volentieri, Mark.”
“Come fai a sapere che mi chiamo Mark?”
“Conosco il tuo dossier.”
“Ah!”
“Ecco, siamo arrivati. – disse Samuel, aprendo un portellone – Questo è il magazzino.”
Entrarono in uno stanzone buio. Il robot si voltò a studiare un momento la figura smilza di Mark.
“Direi una 35 Universal.”, disse, dirigendosi verso degli scaffali pressoché invisibili e tornandone poco dopo con dei vestiti ripiegati.
“Questi andranno bene. – disse – Ma prima sarà il caso che ti fai una doccia calda: hai l’aria di averne un gran bisogno e poi cerchiamo anche qualcosa da mangiare. Vieni.”
Lo prese per mano e lo condusse per un altro corridoio, fino ad un locale, chiaramente adibito a docce.
“Un momento solo, che arrivi l’acqua calda. – fece Sam – Intanto, ti aiuto a spogliarti.”, e prese i lembi del maglioncino, aiutandolo a sfilarselo.
Per fortuna, l’ambiente era caldo. Mark gli diede le spalle e si sciolse il perizoma: trovarsi nudo davanti a… a cosa?, gli diede comunque un brivido di eccitazione. Si grattò le palle, mentre il sangue cominciava ad affluire alle grosse vene, facendoglielo inturgidire. Senza voltarsi, sentendosi un po’ a disagio, aprì la valvola e si gettò sotto il getto caldissimo. Il sollievo fu immediato. Erano anni che non si faceva una doccia. Allungò un braccio per prendere il doccia-sciampo su una mensoletta, quando una mano dalle sue spalle lo precedette, afferrando il flacone.
“Ti aiuto.”, sussurrò Sam con una voce morbida, incredibilmente sensuale e le sue mani cominciarono a insaponargli la schiena.
Mark rabbrividì, sentendo quelle mani calde scorrergli lungo il dorso, scendendo sempre più in basso, sempre più in basso, fino ad avvolgergli le natiche in carezze voluttuose. L’eccitazione divenne incontrollabile, mentre le mani di Sam gli scivolavano nello spacco del culo, vellicandogli il buco e l’attaccatura delle palle. Ma che stava succedendo? chi era quel diavolo che lo stava portando al parossismo? Mark non fece quasi in tempo a rendersi conto della situazione, che una mano, da dietro, gli afferrò il cazzo duro, cominciando lentamente a masturbarlo, mentre un’altra gli carezzava i pettorali egli strizzava i capezzoli.
Mark gemette: erano secoli che non provava più quelle sensazioni. L’acqua caldissima scrosciava su di lui, due mani lo carezzavano e lo masturbavano con incredibile sapienza: chi era quell’essere che gli si era addossato alle spalle e gli stava spingendo fra le cosce un arnese turgido e incandescente?
Per un attimo, sperò che Sam glielo infilasse nel culo, sentiva un bisogno spasmodico di essere scopato. Il piacere si fece soverchiante, quasi una sofferenza di cui non riusciva a mantenere il controllo: era come se tutte le sue cellule si fossero svegliate e pretendessero quanto gli era stato negato nei lunghi anni di letargo. L’orgasmo cominciò a ribollirgli nello scroto e Mark gemette, sperando e temendo nel contempo il momento in cui avrebbe superato il limite. Le palle gli si incordarono, il cazzo si irrigidì pronto allo scatto, tutto il suo corpo si contrasse e in quell’istante, con un fluido movimento, Sam gli si inginocchiò davanti e lo prese in bocca, iniziando a suggerlo con ingorda bramosia.
Fu il colpo di grazia: con un guaito, Mark si irrigidì e gli riversò nella gola tutta la sua eccitazione. Samuel continuò a succhiare, leccare, ingoiare, finché l’orgasmo non si fu placato e l’uccello non fu tornato molle; allora si alzò con gli occhi ridenti e un sorriso sulle labbra roride di sperma. Si fissarono a lungo, una luce misteriosa lo illuminava.
“Ma tu chi sei?”, esclamò Mark, ancora imbambolato, osservandone il fisico perfetto nelle forme e nei minimi particolari anatomici.
Non poteva essere un robot... un semplice robot… una semplice intelligenza artificiale. Per tutta risposta, Sam accostò le labbra e lo baciò! Un bacio vero… un bacio con la lingua!
“Mi dispiace, - disse poi – sono solo un robot… ma vorrei tanto che fossimo amici.”
“Se lo faremo ancora, saremo molto più che amici! – esclamò d’impulso Mark – Non immaginavo che vi programmassero anche per…”
“Non ci programmano anche per…”, rispose serio Sam.
“Ma allora?...”
“L’ho capito da te, - rispose il robot - dai tuoi sguardi, dalle tue reazioni.”
“Incredibile… E adesso che cosa capisci?”, gli chiese Mark sfrontatamente.
Sam lo fissò.
“Finiamo la doccia e cerchiamo qualcosa da mangiare, prima.”, rispose poi con una luce negli occhi birichina.
***
Erano sdraiati su un lettone che avevano sistemato davanti ad un enorme oblò panoramico, che permetteva loro la vista dell’immensità oscura della galassia puntellata da luci intermittenti e da masse nebulose luminescenti a distanze siderali. Avevano appena fatto l’amore, erano nudi e stavano sgranocchiando un sacchetto di patatine fritte.
“E’ impressionante, non è vero?”, osservò Sam, accennando allo spettacolo al di là dell’oblò.
“Ferugia è laggiù?”, chiese Mark in risposta.
“Sì, da qualche parte laggiù.”
“Io non la vedrò mai, vero?”, fece il giovane con una punta di rammarico nella voce.
“No, mi dispiace. – rispose Sam – Siamo distanti ancora più di settanta anni…”
“E a me ne restano forse quaranta o cinquanta… Perché è successo tutto questo? Perché mi sono svegliato prima del tempo?... perché proprio la mia macchina si è guastata?”
“Forse lo so, - rispose Sam dopo un po’ – ci ho riflettuto molto in questi giorni.”
Mark lo fissò: certe affermazioni, certi modi di fare gli sembravano ancora strani e assurdi in un robot.
“Io sono un intelligenza artificiale di quinto livello, non dimenticarlo - fece Sam, intuendo cosa passava nella testa dell’altro – sono stato programmato per apprendere e auto potenziare le mie capacità intellettive.”
“E lo stai facendo magnificamente…”, lo interruppe Mark carezzandogli mollemente l’uccello, che cominciò a fremere e lievitare, mentre una goccia di siero traslucido gli sgorgava dalla punta.
“Accidenti, sei davvero realistico!” fece il giovane, raccogliendola con la punta del dito e leccandola golosamente.
“E tu sei insaziabile… una deliziosa puttanella insaziabile.”
“Sei tu che mi stimoli. Ma cosa dicevi?”
“Ti stavo spiegando che sono un prototipo. Sono stato creato per collaborare con voi umani nella colonizzazione dei mondi esterni… Con questa missione, i tecnici volevano verificare le mie capacità di adattamento e interazione. Forse è per questo che ti hanno svegliato prima del tempo.”
“Vuoi dire per vedere come mi rapportavo a te, come avremmo interagito?... E tu sapevi?”
“No, pure io sono stato svegliato all’improvviso dal mio stato di quiescenza.”
“Bastardi!... quindi, ci stanno monitorando…”
“Temo di sì… mi dispiace.”
“Beh, a me no! – disse Mark – se dobbiamo starcene chiusi in questa scatola, diamogli modo di monitorarci come si deve.”
E afferrato l’altro per il cazzo ormai turgido, si mise a quattro zampe.
“Dai, tesoro, leccami il culo… aprimelo per bene e poi ficcaci dentro quel tuo bestione. Ah, così… cazzo!”, ansimò, mentre la lingua pastosa dell’amico cominciava a frugargli nelle profondità dell’ano.
“Sei fantastico…” sguaiolò ancora, mentre Sam gli poggiava contro la cappella e la spingeva dentro, senza incontrare difficoltà.
Lo aveva inculato tante di quelle volte, che ormai lo sfintere di Mark cedeva alla minima pressione. Giunto in fondo, Mark macinò il bacino contro i morbidi peli del pube, poi allungò indietro le braccia e afferrò le chiappe di Sam, premendoselo contro ancora più forte. Che ricordasse, non aveva mai provato sensazioni così forti neanche quando aveva scopato con i ragazzi tanto tempo prima.
“Agr…- grugnì, mentre Sam iniziava a massaggiargli la prostata con l’andirivieni del suo cazzo poderoso – Dai, robot del cazzo! fottimi, fotti la tua troia… E voi stronzi, fatevi le seghe, mentre io mi godo questo toro da monta!”
I suoi circuiti interni registrarono quelle parole, quelle reazioni, e Sam prese a fotterlo con ancora più vigore, finché gli spasimi e le contrazioni dello sfintere lo avvertirono che Mark stava godendo del più sconvolgente orgasmo anale della sua vita. Allora anche per lui si innescò il processo di orgasmo ed eiaculazione: i tecnici avevano pensato proprio a tutto, perfino a dotarlo di un liquido denso e viscoso del tutto simile per profumo, consistenza e sapore alla sborra umana.
“Sai una cosa?”, fece Mark, più tardi, lo sguardo perso nell’immensità della galassia.
“Cosa?”
“Non mi interessa proprio niente, se dovrò passare il resto della mia vita chiuso in questa scatoletta… finché tu resti con me.”
“Io resto con te, sei il mio maestro.”
“E mi scoperai sempre?”
“Ti scoperò sempre…”
“Anche quando sarò vecchio e brutto?”
“Vecchio e brutto sono categorie che non hanno nessuna importanza per me.”
“Beh, allora credo che non sarà così male. Abbracciami, Sam. Ho sonno.”
E rannicchiato nel caldo abbraccio del robot, Mark chiuse gli occhi, addormentandosi subito tranquillo.

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