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Confessioni di un bisex


di quartofederico
18.04.2020    |    20.016    |    25 9.7
"Appena si accorse che lo stavo osservando, mi sembrò che avesse sorriso e poi, riposto il cellulare in tasca, con movimento furtivo, si lisciò per un..."



Eravamo agli inizi di ottobre dello scorso anno quando, per caso, ho conosciuto Mimmo.
Ma forse, prima, è doveroso fare una premessa.
Non avevo mai avuto, fin ad allora un rapporto fisico con un altro uomo, ovvero, solo certi giochi tra adolescenti: seghe fatte in compagnia, per lo più ognuno per conto proprio, ma mi pare, una o due volte, reciproca.
L'adolescenza passa, i primi flirt, le prime pomiciate e si getta ogni cosa nel dimenticatoio; il trascorso è ormai lontano, però non si svuota il cestino.
Poi con gli anni e, forse un po' per noia o per assuefazione alla solita minestra, il cervello ti rammenta che, lì, in un angolo, tra i tanti ricordi, ci sono pure quelle esperienze da adolescenti.
E' successo anche a me, complici le chat o i siti che ti stuzzicano, un giorno di un paio di anni fa, entrai in uno dei pochi cinema a luci rosse ancora aperto in città.
Era un luogo veramente squallido, dove tanti uomini si scambiavano piaceri.
Da quel giorno, quasi tutti i giovedì, (giorno in cui avevo più libertà di movimento, in quanto mia moglie frequentava un centro sociale e si dedicava a cucinare per i poveri), prendevo la mia auto, che parcheggiavo fuori ad una stazione ferroviaria e con il treno raggiungevo il centro città.
Il cinema che frequentavo distava, a piedi, trecento metri che percorrevo in fretta e mi intrufolavo nel cinema attento a non farmi vedere da qualcuno che potesse conoscermi.
Avevo imparato le tecniche di adescamento, per cui, chi anelava prendere un bel cazzo, si sedeva nell'ultima fila e stendeva il braccio sulla spalliera della poltrona al suo fianco, con la mano ben visibile.
Se dietro, nel corridoio, c'era qualcuno interessato, si sarebbe avvicinato ed avrebbe poggiato il suo pacco su quella mano in attesa.
Era sufficiente uno sguardo e l'invito a sedersi accanto era sottinteso.
Dapprima con la mano e poi, magari abbassando la testa, cominciava il godimento di entrambi, che di solito si concludeva con lo sputo dello sperma, di cui si percepiva il rumore.
Un'altra tecnica, era quella di appoggiarsi appena appena prono sulla spalliera di una delle poltrone, sempre dell'ultima fila, e aspettare che qualcuno si avvicinasse, prima carezzando il culo, poi, se riceveva il consenso dell'altro a continuare, si faceva toccare il pacco e, dopo un po' di strofinio li avresti visti dirigersi verso i bagni, dove avrebbero consumato.
A volte, vedendosi osservati, dopo un parlottare tra loro, ti invitavano a seguirli per farsi guardare.
Comunque, un po' per timore di malattie, un po' per uno strano senso di pudore, mi ero sempre ridotto al solo guardare.
E così anche quel giovedì dei primi di ottobre, dopo pranzo, presi l'auto e mi recai alla stazione dei treni più vicina.
La solita prassi, dall'entrata fino all'uscita dal cinema, senza aver visto una sola scena del film, ma, con quel senso di insoddisfazione e con la determinazione di rinunciare a quel tipo di perversione, mi avviai alla stazione per ritornare a casa.
La stazione, data l'ora di punta, era piena di gente, e l'accesso ai treni era consentito solo all'arrivo del convoglio ed era regolato da un varco che si apriva quando tutti i passeggeri trasportati, avessero lasciato il treno.
Ero in piedi, vicino alla ringhiera delle scale e, a circa mezzo metro, anch'egli appoggiato, c'era un uomo che mi stava osservando: alto circa un metro e settantacinque, capelli di colore sale e pepe, tirati sulla nuca e fermati con un codino; poggiati sulla fronte, aveva degli occhiali tipo Ray-Ban. Appariva dell'età di circa cinquantacinque anni. Aveva le mani impegnate a giocare con un cellulare.
Appena si accorse che lo stavo osservando, mi sembrò che avesse sorriso e poi, riposto il cellulare in tasca, con movimento furtivo, si lisciò per un attimo la patta.
Non credevo ai miei occhi: lì per lì mi chiesi cosa potesse aver fatto intuire che potesse interessarmi.
Pensando che potevo anche essermi sbagliato, abbassai lo sguardo, anche per non dar seguito alla cosa.
Comunque, l'istinto fu più forte di me: rialzai lo sguardo e, pur senza guardarlo in viso, percepii che i suoi occhi erano su di me.
I miei invece si erano fermati sul suo inguine: con la mano sinistra in tasca, si stava carezzando la cappella del cazzo, con un movimento rotatorio delle dita. Se avevo capito bene, doveva per forza tenere il cazzo duro.
Anche se non volevo ammetterlo ero eccitato, ma non fisicamente quanto mentalmente: un uomo a cui piacevo, un uomo che, senza dirmelo, mi stava mostrando la sua eccitazione.
Credetemi, avevo perso un po' la cognizione del tempo, ma mi scossi quando vidi attorno a me la gente che cominciava a muoversi.
Mi misi in fila con gli altri ed anche lui si mosse.
Stava dietro di me alla mia destra e, con la fila ancora ferma, spinse il suo piede fino ad urtare il mio.
Avrei potuto scostarmi, ma non lo feci, e lui insistette per mantenere quel contatto.
Appena il varco si aprì, la folla prese a correre come scalmanati, per assicurarsi il posto a sedere.
Fu allora che mi si affiancò, mi osservò ed io ricambiai; mi cedette il passo per farmi salire sulla prima carrozza.
Non essendoci posti a sedere, mi fermai sulla piattaforma sorreggendomi ad uno dei corrimani presenti a fianco delle porte e il mio uomo, a mezzo metro da me, si era poggiato alla parete laterale della porta.
La calca però ci spinse inevitabilmente ad avvicinarci per cui, per evitare di essere completamente di schiena, mi girai e mi ci posi di fianco.
Egli continuava a toccarsi, carezzandosi la cappella; pensai che doveva averlo duro. Il macchinista, partendo fece il resto. Difatti bruscamente fui spinto in avanti verso di lui, per cui, anche se per un secondo, lo sentii duro e grosso sulla mia gamba.
Inverosimilmente mi chiese scusa per l'urto e cominciammo il viaggio.
Ormai con la scusa degli scossoni del treno più di una volta me lo fece sentire.
Prima di arrivare alla seconda fermata, vidi che prendeva dalla tasca del suo giubbotto qualcosa che sicuramente voleva darmi.
Non riuscendoci lo fece cadere per terra prima che il treno si fermasse e riaprisse le porte. Oltre a lui scese un'altra persona e non salì nessuno.
Con nonchalance, mi chinai e raccolsi il cartoncino che aveva fatto cadere e lo misi subito in tasca.
Lo ripresi tra le mani solo quando scesi pure io dal treno, un bigliettino tipo quello da visita: c'era un nome "Mimmo" e un numero di cellulare.
Lo guardai e riguardai più volte, poi lo riposi in tasca e raggiunsi la mia auto.
Impulsi contrastanti mi turbinavano dentro: che fare? Chiamare o buttarlo via? Dimenticare di quell'incontro?
In macchina feci un grosso respiro e, rimuginando, pensai che avrei potuto chiedere cosa volesse. Poi passai a considerare che era pleonastico chiedere cosa potesse volere.
Volli prendere tempo per cui misi in moto e mi staccai dal marciapiede. Non ero ancora uscito dal parcheggio che ci ripensai su, e decisi di chiamare.
Composi il numero, tre squilli e un "Pronto".
"Ciao, sono la persona del treno" riuscii a dire.
"Ciao, posso chiamarti (mi aveva già dato del tu) fra una ventina di minuti?"
Esitai un attimo, anche perché mi stava mancando il fiato, poi dissi "Ok".
Venti minuti, giusto il tempo per arrivare a casa.
Mia moglie non era ancora rientrata, feci in tempo ad aprire la porta che suono il cellulare. Era lui
"Ciao, come ti chiami?" chiese.
"Federico e tu Mimmo, suppongo" gli diedi anch'io del tu.
"Credo che hai capito a cosa potrei essere interessato, ma vorrei esser certo di non essermi sbagliato su di te" aggiunse.
"In che senso? Cosa vuoi sapere?" risposi.
"Ti va, domani, un caffè e ne parliamo?"
"Domani, dove e a che ora?" replicai.
"Finisco di lavorare verso le quindici, ci vediamo alle quindici e trenta in piazza... Ti sarà possibile?"
Non so perché, ma senza riflettere gli dissi di sì.
Chiusi la comunicazione, perché stava sopraggiungendo mia moglie
Ero agitato ed eccitato, e la cosa non sfuggì a mia moglie che, mentre la baciavo, mi chiese:
"Che ti succede?"
"Niente, non posso abbracciarti? Lo sai che il giovedì mi manchi; sei fuori una intera giornata?" svicolai.
"Che hai fatto oggi, dove sei stato?"
"Ho fatto un giro al centro commerciale" mentii.
"Hai visto come sono ridotte le canne dei rampicanti?"
Un lampo di genio:
"Domani vado a comprare le nuove e sabato le sistemo tutte"
Avevo trovato il pretesto per assentarmi un'altra volta.
La serata si concluse con una cena leggera e la sera a letto facemmo l'amore, ma davanti agli occhi non avevo lei!
Il mattino dopo, di buon ora, andai a comprare le canne all'agraria, vicino casa e le nascosi nel bagagliaio dell'auto.
Dopo pranzo salutai mia moglie e andai via.
Rischiavo di perdere il treno, ma riuscii a prenderlo al volo, arrivando alle quindici e venti.
Strada facendo mi chiedevo se stavo facendo bene; era una brava persona come appariva? Ero preso da questi pensieri quando lo vidi arrivare di corsa per raggiungermi.
" Ciao" disse sorridendo e tendendomi la mano
" Ciao" non riuscii a dire altro
Camminammo fianco a fianco fino a raggiungere un bar, dove lui evidentemente era cliente.
Ci sedemmo ad un tavolino e il cameriere, che senz'altro lo conosceva, chiese cosa desideravamo prendere.
"Dottore, il solito caffè, per lei? E per il signore?"
"Anche per me: caffè amaro e un tantino lungo" dissi
Il cameriere si allontanò e Mimmo
" Allora?"
"Allora cosa?" dissi
"Credo che hai capito cosa vorrei da te" mi disse.
"Certo, ma io non l'ho mai fatto" risposi
"Ma sembra che la cosa ti interessi; è da ieri che fantastico su di te; dai dimmi di te. Io ho cinquantasette anni, sono vedovo da quasi cinque e, dopo di lei, ho detto basta con le donne. Il mio interesse si è spostato su uomini maturi, che sanno apprezzare meglio l'amore attivo che sono in grado di donare".
Stava tornando il cameriere, per cui presi tempo e, quando se ne fu andato:
"Ho sessantotto anni, sposato, sono in pensione, insegnavo" dissi tutto d'un fiato.
"Io sono un fisioterapista, diciamo "freelance"; lavoro per un paio di strutture pubbliche e poi ho uno studio privato."
Voleva sapere altro di me: se, ad esempio, avevo mai fantasticato su situazioni con persone dello stesso sesso (non pronunciò mai la parola omosessuale) e, se sì, in che termini.
"Troppe domande tutte insieme. Posso dirti, a pensarci bene, che qualche volta mi sono chiesto cosa provano le donne a farsi penetrare; esse, di solito, rispondono "piacere"; ma, senza entrare nello specifico, posso farti, io, una domanda?" Al suo cenno di assenso con il capo, chiesi:
"Come hai fatto a capire che potevo starci? Che potevo essere adatto a te?"
"Sesto senso?" disse sorridendo.
Per poi proseguire: "Non lo so, forse da come mi hai guardato e da come poi hai continuato a guardare, sott'occhi, i miei toccamenti. Poi il piedino fatto tra la folla, ed infine la tua telefonata. Non mi sono sbagliato, vero?"
Non risposi e lui continuò:
"Non mi interessa la checca che si fa inculare; cerco una persona che si doni a me e che, in quei momenti, pensi e godi come gode una donna".
"Noooo - dissi - non credo di poter essere io la persona che cerchi" e, alzandomi per andare via, ovvero per scappare via, mi prese per un braccio e mi fece sedere di nuovo.
"Vedi un uomo, con un altro uomo, da attivo gode o con le mani o con la bocca o con il culo del proprio partner, ma gode eiaculando, come lo fa con una donna. Ora il partner passivo, se veramente vuole vivere il proprio piacere, deve, in quei frangenti, pensare diversamente da come è abituato a fare. Non è come dicono in tanti "Godo, quando il mio uomo gode".
No, bisogna imparare a godere per il proprio piacere, proprio come fanno le donne.
Quindi, le mani che toccano, carezzano, stringono; la bocca che bacia, lecca, succhia; i capezzoli leccati, baciati, succhiati, e le ascelle, ombelico, perineo, e, dulcis in fundo, il buchetto che è pieno di terminazioni nervose, sono parti anatomiche comuni a uomini e donne che danno piacere alle donne non perché sono tali, ma perché pensano come tali.
Addirittura, l'anale nell'uomo è senz'altro più voluttuoso, perché, stimolando la prostata, si ha un orgasmo spontaneo.
Ovviamente questo non significa essere effeminato, anzi, al contrario, significa godere oltre che con il corpo anche e soprattutto con la mente. Pensaci e metabolizza quello che ti ho detto.
Naturalmente al piacere totale si arriva gradualmente e solo quando veramente uno è pronto e sempre se lo vorrà.
Ora devo scappare; il numero di cellulare che ti ho dato è anche un contatto WhatsApp. Se non sbaglio il giovedì ti è più congeniale, quindi senza fretta fammi sapere".
Pagò il conto, mi strinse la mano e si allontanò.
Rimasi seduto ancora per qualche minuto; ero frastornato: mi aveva lasciato un bel compito per casa.
Dovevo rientrare e mi avviai con tanti dubbi, tante preoccupazioni verso casa.
I dubbi non smettevano di affollare la mia mente, tanto che anche mia moglie si sentì in dovere di chiedere da cosa fossi assillato.
Mi dissi che dovevo rientrare in me per non essere sgamato.
Mentre lei preparava la cena, io versai due calici di vino bianco e un po’ di stuzzichini che consumammo in cucina.
Cenammo guardando il tg e poi, come al solito, mentre io sparecchiavo, lei riponeva i piatti sporchi nella lavastoviglie.
La lasciai in cucina a guardare la soap che le piaceva e me ne andai in salotto a finire il giallo che avevo iniziato un paio di giorni prima.
Non riuscii a leggere nulla; il pensiero andava sempre al colloquio avuto con Mimmo. Non è che le sue argomentazioni mi avessero convinto, ma da come le sciorinava sembrava proprio che sapesse il fatto suo.
Pensare al femminile? E' una parola; da dove si può cominciare?
Quelli che nel cinema toccavano o succhiavano cazzi, mica lo facevano pensando al femminile. Lo facevano e basta.
Perché, quindi, complicarsi la vita?
Non potevo trovare uno che cercasse solo una sega o un pompino o qualcos'altro, senza ingarbugliarmi la mente.
Forse era meglio continuare ad andare al cinema e guardare quelli che si divertono. Ma poi, si divertono veramente? Godono oppure è solo per vizio o malattia?
Fatto sta che quelli incontrati nel cinema, dopo aver giocato con uno, passano ad un altro e, magari, ad un altro ancora; quindi non sono mai soddisfatti; forse quello che voleva dire Mimmo. era proprio questo.
Sì, dagli pure ragione, disse una vocina dentro di me.
Troppo complicato: fai come quando, da ragazzo, andavi a scuola; rimanda tutto a domattina e, a mente fredda, forse trovi più facilmente la soluzione.
Il mattino successivo avevo le idee più chiare e a chiarirmele definitivamente fu il cicalino del cellulare che mi avvertiva di un messaggio su WhatsApp.
Era Mimmo e fui contento di ricevere un suo messaggio.
Al suo "Ciao, come va?" seguì il mio "Bene grazie, e tu?"
"Io bene. Hai riflettuto un po' a quello che ti ho detto ieri? Hai preso una decisione?"
In effetti ci avevo pensato e come: desideravo rivederlo, pur immaginando che questa volta avremmo parlato poco.
"Credo che aderirò alla tua proposta, e te ne darò conferma in settimana"
"Waooo, ma è fantastico! Fammelo sapere in tempo e disdico tutti gli appuntamenti di giovedì"
"Quando posso contattarti?" domandò
"Quando vuoi... generalmente a quest'ora va bene."
"Allora, a domattina, ciao"
Mi ero rasserenato... avevo deciso... volevo provare e non volevo perdere altro tempo.
Ci risentimmo anche la domenica mattina e così pure gli altri giorni.
Il giovedì mattina fissammo l'appuntamento: mi avrebbe aspettato fuori la stazione, dove era sceso la prima volta che ci eravamo incontrati.
E quel giovedì, dopo pranzo, mi preparai per l'incontro.
Arrivai con un po’ di anticipo, ma fece lo stesso pure lui; difatti poco dopo le tre, lui era già lì ad aspettarmi.
Un sorriso radioso e un buongiorno, con un caloroso abbraccio.
Lo studio era a meno di cento metri.
Ero agitato e lui se ne accorse. Mi prese affettuosamente sottobraccio e chiese se volessi prendere qualcosa al bar.
Rifiutai e, dopo pochi passi, si fermò per aprire il portone di un palazzo.
Mi precedette e, richiudendolo, attraversammo il cortile, in fondo al quale una targa diceva "STUDIO DI FISIOTERAPIA POSTURALE".
Entrammo e, attraverso una sala di aspetto, arredata con un divano e cinque o sei sedie, si accedeva nello studio vero e proprio.
Era abbastanza ampio, con un lettino per le terapie su una parete, accanto una sorta di "puff", e ancorato alla parete opposta un "tatami", che, all'occorrenza poteva esser messo a terra. Completava il tutto una scrivania non molto grande e dietro una poltrona.
"Dai... sii sereno; rilassati, faremo solo quello che vuoi" e così dicendo mi venne vicino e, guardandomi negli occhi, prese a carezzarmi il collo.
Quel contatto ebbe davvero un effetto benefico, difatti, quando mi aiutò a togliermi la giacca e mi sbottonò la camicia, lo lasciai fare senza nessuna obiezione.
"Vieni siediti" e mi portò su quella specie di puff.
Cominciò a massaggiarmi il collo e le spalle.
A mano a mano che procedeva mi sentivo sciogliere sempre più.
Un calore sempre più forte mi pervadeva la schiena, e solo quando capì che ero rasserenato, mi fece alzare e chiese di togliermi il resto.
"Tutto?" chiesi titubante.
"Sì" rispose, mentre anche lui si stava denudando.
Tolsi scarpe e calzini e abbassai pantaloni e slip assieme.
Mi risedetti sul puff e lo guardai mentre lui si abbassava i jeans.
Era ancora in slip, mi si avvicinò e disse: "Dai, abbassameli tu".
Con una mal celata timidezza, allungai le mani e quasi glieli strappai di dosso.
Accipicchia! Aveva un gran bel cazzo, ora lo potevo ammirare a meno di dieci centimetri da me.
Avevo il respiro accelerato, non osavo prendere iniziative, aspettavo che dovesse succedere qualcosa.
Fu Mimmo a prendere la mia mano e portarsela sull'uccello.
Lo carezzai e senza rendermene conto lo strinsi.
Era caldo e duro; la cappella era ancora ricoperta dalla pelle del prepuzio, e da sotto pendevano due testicoli grossi e pieni.
"Ti piace" mi sussurrò "Puoi fare quello che vuoi"
Cominciai lentamente a masturbarlo e, quando tirai indietro la pelle, comparve una cappella rossa e grossa, piuttosto oblunga con in cima una fessurina leggermente più chiara.
Anche l'odore di maschio che emanava era gradevole: un misto di sudore e di pipì.
Alzai gli occhi ed incontrai i suoi: il suo sguardo era quello dell'invito, ma aspettavo che fosse lui a prendere iniziativa.
Mentre lo segavo, egli cominciò a carezzarmi la testa, poi giunse a lambire le orecchie. Feci una mossa quasi per divincolarmi, ma servì solo a fargli capire che era un mio punto sensibile e, quindi, invece di smetterla, proseguì fino a farmi quasi scivolare dalla sedia.
"Ti piace così?" Non risposi e lui continuò a carezzare l'orecchio destro e con l'altra mano raggiunse le mie labbra.
Ci strofinò il polpastrello, poi, quasi forzandole, spinse il dito nella mia bocca. D'istinto socchiusi un po' di più le labbra e gli feci sentire la lingua.
Lo vidi barcollare un attimo, poi, fermando la mano che gli stava dando piacere, disse:
"Mica mi vuoi far venire così? Non ti va di dargli un bacetto?"
E così dicendo se lo prese in mano e lo appoggiò alla mia bocca.
A quel contatto una scarica elettrica mi partì dal cervello per estendersi a tutto il corpo. Il primo contatto delle mie labbra con la sua cappella fu per entrambi abbastanza sconvolgente: per un attimo persi la coscienza del momento e, senza accorgermene, aprii la bocca e vi feci entrare quel bel glande.
La pelle setosa, il sapore di quel membro, la sua grossezza, mi proiettarono in un altro mondo.
"Succhia" intimò ed io obbedii, felice di poter gustare quel bell'arnese.
Riuscii a farne entrare più della metà, mi piaceva proprio.
Poi, con una sua mossa decisa, spinse il bacino in avanti e il cazzo entrò tutto, fino in gola; stavo affogando, ebbi un conato, e fui costretto a sputarlo.
Egli si fermò; mi disse di respirare profondamente e mi passò dei fazzolettini di carta per farmi sputare la saliva che mi si era formata in bocca.
"Dammi una mano" mi disse.
Volle che l'aiutassi a staccare il tatami dalla parete e lo posizionammo a terra, vicino alla scrivania. Prese dal divano della sala d'attesa i tre cuscini di copertura e ci stendemmo sopra.
Egli era disteso supino e mi chiese di stendermi su di lui, a sessantanove.
Ero un automa: obbedivo senza dire una sola parola e, senza che lui me lo chiedesse, ripresi in bocca il suo cazzo.
Sentii che, con la mano, spostò il mio pene, che inspiegabilmente era meno che barzotto, e raggiunse il perineo, che prese a baciare e leccare.
Io succhiavo, dando un ritmo alla testa, come tante volte avevo visto fare a mia moglie ed altre donne e percepii distintamente la lingua di Mimmo, non più sui testicoli, ma sopra e dentro il buco del culo.
Raccontare il piacere che provai in quel momento, non è facile.
Un calore che si dipartiva dal buco del culo, estendendosi, attraverso il ventre, allo stomaco ed alla bocca che serrava il cazzo duro dell'amico, bagnato di saliva ma anche delle sue prime secrezioni.
La posizione assunta, con le gambe aperte, gli permetteva di frugare anche l'interno del buchino e, ad ogni affondo, io, di scatto, balzavo avanti.
In quei momenti non avevo percezione del mio cazzo, perché il piacere mi proveniva da bocca e culo.
Ad un certo punto avvertii distintamente il suo irrigidirsi; non feci in tempo a staccarmi dal suo cazzo, che un fiotto denso mi arrivò in bocca.
Un gusto leggermente salato ed amarognolo, che riuscii a sputare subito, mentre il resto della crema mi imbrattò il viso.
Solo allora, mentre egli, ancora con la faccia tra le mie natiche, gemeva e si muoveva, anch'io sentii come uno spasmo e venni su di lui.
Restammo per un paio di minuti uno vicino all'altro, poi fu lui ad alzarsi.
Adiacente allo studio, c'era un bagno con doccia e gli altri servizi, dove ci ripulimmo per poi tornare nello studio.
Tutti e due in silenzio, ci rivestimmo e dopo, mentre Mimmo preparava il caffè, io rimisi i cuscini sul divano e insieme risistemammo il materassino.
"A che pensi?" mi chiese
"Non lo so, ho una certa confusione mentale" risposi.
"A me è piaciuto, e a te?" aggiunse.
"Pure a me, anche se non pensavo di riuscirci"
"Se vuoi continuare il percorso devi abituarti a pensare al femminile; te l'ho detto venerdì e te lo ribadisco oggi. E, da come ti sei comportato, credo che hai cominciato a farlo. Prendi questa crema, usala ogni mattina, dopo che ti sei svuotato e ti sei lavato; la spalmi sul buchino e, se ci riesci, anche un poco nel retto. Ammorbidisce e rende più elastico lo sfintere."
Mi allungò un tubetto, ma vedendomi titubante, aggiunse:
"Fidati, ti aiuterà, quando sarà il momento...." Mi diede anche un flaconcino.
"E' un olio a cui è stato aggiunto un vaso dilatatore naturale; io lo uso per fare massaggi, tu invece, la sera prima di andare a dormire, umetta i capezzoli e il perineo: massaggia fino all'assorbimento. Un leggero pizzicore vuol dire che sta facendo effetto."
Guardai l'orologio; erano volate via due ore, dovevo scappare.
Ci salutammo baciandoci sulle guance:
"Ti contatto, domattina, ok?"
"Ok ciao" e corsi via.
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