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“Come glielo dico?"


di quartofederico
12.06.2023    |    18.488    |    15 9.6
""Nell'attesa stavo dando uno sguardo a queste note"..."
Ed ora, come glie lo dico? Continuavo a ripeter questa frase tra me e me, mentre uscivo da quell'albergo, sotto lo sguardo sardonico del portiere di giorno.
Sì, il suo era lo sguardo di chi sapeva cosa ero andata a fare lì, ed era lo stesso di quello che mi aveva rivolto qualche ora prima, quando gli avevo chiesto dove fosse ubicata la camera 211.
Era la camera in cui mi aspettava l'uomo che dovevo incontrare, mentre il "come glielo dico?" era indirizzato a Lucio, mio marito, che aveva fatto di tutto per convincermi e sollecitarmi a godere di quell'avventura trasgressiva.
Arrivai trafelata all'auto e mi ci sedetti, mentre un turbine di pensieri affollavano la mia mente. Era la prima volta che gli mettevo le corna e non credevo che fosse così... eccitante, soddisfacente e, cosa strana, non me ne sentivo in colpa.
Ma andiamo per ordine. Mi chiamo Sonia, ho cinquantadue anni, tre figli grandi. Sono sposata da ventisei con Lucio, che di anni ne ha cinquantanove. Insieme gestiamo in franchising un negozio di intimo uomo/donna in un centro commerciale. Lucio non è stato il mio primo ed unico amore e, prima di lui, ho avuto due relazioni, molto intense. Ma con lui ci fu un innamoramento profondo, viscerale, che ci portò, prima ad una convivenza, e poi, quando rimasi incinta, ci sposammo. Sì, mi ero innamorata del mio datore di lavoro, e con lui abbiamo percorso un quarto, o quasi, di secolo assieme. Alti e bassi come in ogni normale coppia, poi in lui affiorarono strani desideri.
Inizialmente mi sembrarono innocue trasgressioni, come il fotografarmi in pose ardite e filmare i nostri amplessi, che poi scoprii venivano postati, ovviamente censurati del viso, su un paio di siti che trattavano argomenti trasgressivi. A volte mi faceva leggere i commenti e devo dire che la cosa, invece di infastidirmi, stuzzicava la mia libido. Ci si eccitava e ricorrevamo spesso a sessioni di sesso molto appagante. Era proprio mentre scopavamo che, spesso, mi confessava il suo desiderio di sapermi fra le braccia di un altro uomo. In quei momenti mi eccitavo e, godendo, gli dicevo di sì, ma una volta che il desiderio e la voglia si assopivano, tornavo nei ranghi.
E non vi dico in negozio! Ogni qualvolta che un cliente si attardava a scegliere o a chiedere consigli, appena se ne andava, giù a voler sapere se ne fossi attratta, cosa mi avesse detto o a cosa era interessato. Qualche volta, mentre si ritiravano nei camerini di prova, voleva che andassi a spiarli. Era diventata una ossessione la sua, ma quel suo modo di fare, sotto sotto, cominciava ad incuriosire pure me. Il fatto strano era che lui le clienti donne non le guardava nemmeno, mentre con i maschi non si tratteneva dal coinvolgermi, soprattutto quelli che, secondo lui, avrebbero potuto interessarmi: i giovani sotto i quaranta erano fuori gioco, ma, dai quaranta in su, secondo lui potevano entrare nel target delle mie prede.
Tutte fantasie che però stavano facendo vacillare la mia "fedeltà". E così una decina di giorni fa, entrò in negozio un signore elegante e distinto, sui cinquanta o poco più, che, avvicinatosi al banco, chiese del titolare. In quel momento Lucio era impegnato nel retro ad aprire i pacchi della nuova collezione e, quando mi allontanai per chiamarlo, avvertii lo sguardo addosso di quel distinto sconosciuto.
"Lucio, vieni un attimo, ti vogliono" dissi dall'uscio del deposito e, questa volta, fissai anch'io l'uomo.
"Mi scusi, mio marito sta sistemando dei capi arrivati stamattina, viene subito" dissi
"Mi perdoni non sapevo fosse la moglie del titolare, credevo..."
"Fossi la commessa, diciamo che io e lui portiamo avanti il negozio" quasi a giustificarmi.
Quando ci mette, pensai! Quell’uomo mi imbarazzava e non poco; aveva nello sguardo qualcosa di buono, ma, allo stesso tempo, di cattivo. Abbassai gli occhi e stavo per tornare verso il retro quando comparve, finalmente, Lucio.
Si avvicinò all'uomo e, tendendogli la mano, si presentarono. Era il nuovo responsabile provinciale di vendita del settore e stava facendo il giro di tutti i negozi a lui affidati, per conoscere e per presentarsi. Allo sguardo denudante dell'uomo si aggiunse quello indagatore di Lucio. Avrei voluto scomparire e, per sottrarmi, mi misi a piegare alcuni capi sparsi sul banco del negozio. Ma, perché mi stavo facendo coinvolgere così tanto? Quello non era altro che un uomo a cui piacevo, non era la prima volta che capitava o, forse...
L' imbarazzo era alle stelle, eppure non riuscivo ad allontanarmi in modo deciso. Mi salvò l'arrivo di una cliente, per cui mi dedicai a lei con pronta solerzia.
I due parlarono per più di un quarto d'ora, spesso rivolgendo lo sguardo verso di me e quando la cliente uscì dal negozio fu mio marito a chiamarmi.
"Sonia, voglio presentarti il nuovo responsabile - disse - Da oggi, qualsiasi richiesta va fatta direttamente a lui e non più alla segreteria".
"Piacere Marcello - rispose, scrutandomi dalla testa ai piedi - Lucio, lei è veramente fortunato ad avere una moglie e collaboratrice bella come questa meravigliosa signora".
Gli occhi di mio marito brillavano e, dopo aver ringraziato per i complimenti rivoltimi, gli stese la mano per accomiatarlo.
Marcello uscì dal negozio, ma entrò prepotentemente nella nostra vita.
"Amore, hai spaccato, hai visto come ti guardava - non risposi, ma egli continuò - Ci ha invitati sabato sera al party per il suo insediamento".
Ero seccata, o forse scioccata, infastidita e, senza mezzi termini:
"Amore, ci vai da solo!" risposi in modo aggressivo e, per trovare una giustificazione valida a quella mia esternazione, aggiunsi:
"Non ho nulla di adatto, da indossare”. Mi guardò fisso negli occhi e:
"Hai ragione, ma, fino a sabato, vedrai che qualcosa ci inventeremo!"
Anche questa volta mi aveva preso in contropiede e, zitta, ripresi a mettere in ordine il banco.
Ma perché mi stavo comportando così? Si trattava, tutto sommato, di un semplice invito ad una festa, oppure...
Non ci volevo nemmeno pensare, eppure quel turbamento era sorto a seguito del fatto che quell’uomo mi piaceva ed ero ancor più preoccupata, perché pure io piacevo a lui. Lucio l'avrà sicuramente percepito e quale miglior occasione per darci dentro e cercare di realizzare il suo desiderio. Ma lui ha sempre parlato di un gioco a tre, ma, da donna, non credo proprio che Marcello voglia avermi alla presenza di mio marito.
"Lucio, attenzione - dissi tra me e me - queste si chiamano "corna".
Quella sera stessa, prima della chiusura, telefonò alla titolare della boutique di alta moda poco distante dal nostro negozio e prese appuntamento per l'indomani. In macchina ruppi io il pesantissimo silenzio e, senza tanti giri di parole, gli spiattellai in faccia la realtà.
"Lucio, ti rendi conto in che casino ci stiamo, ovvero, mi stai mettendo?" chiesi. E lui, con uno sguardo pregno di eccitazione, rispose:
"Sì, ma non preoccuparti, sarò al tuo fianco e le cose andranno secondo i nostri desideri. Non ti perderò di vista nemmeno un secondo, fidati!"
I nostri? I suoi desideri! Non glielo dissi, ma questa volta aveva fatto i conti senza l'oste!
Era eccitato all'inverosimile. La sera, a letto, avrebbe voluto far l'amore, ma io feci finta di dormire e lui continuò per un bel po' a strofinarmi il cazzo duro tra le natiche, coperte dal pigiama. Si rassegnò e credo che si diede piacere da solo, in bagno.
La mattina, facemmo colazione insieme ai ragazzi e poi scappai in bagno a prepararmi. In bagno era il momento, credo come tanti, dove ci si ferma a riflettere e si prendono decisioni. E quella mattina decisi che era giunto il momento di renderlo felice. Ammisi a me stessa che mi piaceva l'uomo, trovavo la situazione particolarmente intrigante e volevo infilarmi in quell'avventura. Fu in quel momento che, guardandomi allo specchio grande, presi atto che ero ancora una donna appetibile. Certo non sono una star di Hollywood, ma nemmeno una da buttar via. Ho un bel fisico, statura e peso nella norma, quarta di seno e fianchi pienotti che ispirano sensualità: insomma sono una donna matura, ma che è piacevole da guardare.
Era il caso che mi depilassi completamente il pube; qualche peletto bianco doveva sparire, poi avrei accorciato i capelli e trattati nuovamente per nascondere la ricrescita. Mi sarei fatta consigliare dalla visagista circa il trucco, il rossetto e lo smalto per le unghie: avrei preferito un rosso scuro sia per le mani che per i piedi. Mentre sognavo ad occhi aperti, sentii Lucio gridare di sbrigarmi, che si era fatto tardi.
Uscii dal bagno con l'umore completamente trasformato!
Avrei indossato un abito semplice, grigio scuro, con spacco laterale e comprai delle scarpe nere con tacco otto, in modo da slanciarmi un po', ma, allo stesso tempo, star comoda. Relativamente all'intimo, nel nostro negozio c'era solo l'imbarazzo della scelta. La festa era tra due giorni e quel sabato lo avrei dedicato a farmi... bella.
Nel centro avevamo tutto a portata di mano, sia Mimmo, il parrucchiere, che Adele, l'estetista, e sia io che Lucio ci abbigliammo in negozio senza passare per casa.
L'invito diceva alle ore venti e trenta; chiudemmo il negozio a un quarto alle otto e raggiungemmo la tangenziale, come al solito bloccata a quell'ora. Mio marito cominciò ad agitarsi, voleva ad ogni costo arrivare puntuale. Evitammo a stento di tamponare un tizio e rischiammo, a nostra volta, di essere speronati da un furgone, poi, finalmente, superato lo svincolo, il traffico si fece più fluido. Emise un sospiro di sollievo e, solo quando raggiungemmo il parcheggio del locale, si rilassò. E fu allora che mi guardò e sorridendo soddisfatto:
"Lo sai, che stai benissimo, sei affascinante" mi disse, esaminandomi dalla testa ai piedi. Non risposi e, forse per fargli una cosa carina, gli aggiustai il nodo della cravatta. L'orologio, nell'ingresso, segnava le nove meno venti e una trentina di persone già erano arrivati. Ebbi la netta sensazione che Marcello ci stesse aspettando: difatti era nella hall e chiacchierava con due addetti ai lavori. Li mollò immediatamente e ci venne incontro.
Se Lucio non stava nella pelle per l'invito, a Marcello brillavano gli occhi! Strinse la mano a mio marito e trattenne la mia nella sua, più del dovuto.
"Venite vi presento gli altri ospiti e colleghi" disse, prendendoci sottobraccio
Qualcuno già lo conosciamo, qualche altro ci fu presentato. E per circa una oretta, girammo per la sala, aspettando la cena. Marcello, subito dopo l'aperitivo, chiamò mio marito e se lo portò fuori, alla reception, con non so quale scusa. In effetti lo scopo era ben altro! Mi voleva da sola! Difatti, tornò una decina di minuti dopo e, facendomi cenno con il capo, si avviò verso la terrazza. Che fare? Seguirlo oppure far finta di non aver capito? Ci pensai, forse solo per un secondo, poi mi alzai e, senza dar troppo nell'occhio, lo seguii. Era appostato dietro il battente della persiana e, come varcai la soglia, mi si pose di dietro. Mi girai di scatto e, solo allora, mi resi conto che mi stava abbracciando, stringendomi a sé. Il bacio che seguì me l'aspettavo e, se inizialmente tenni le labbra chiuse, come sentii la sua lingua che cercava la mia, non resistetti. Erano trent'anni che non baciavo un uomo diverso dal mio. Il sapore, la consistenza delle labbra, la lingua erano diversi, come diverse erano le sensazioni che stavo provando.
" Mi piaci, ti voglio" sussurrò quando si stacco da me e, mentre lo diceva, le sue mani viaggiavano sul mio corpo.
Avrei potuto allontanarlo, far la parte della moglie risentita, offesa, non lo feci!
"Voglio vederti da sola, dimmi solo: quando puoi?"
Non risposi e riaggiustandomi il vestito mi stavo allontanando, ma mi attirò di nuovo a sé e mi ribaciò.
"Dai, rientriamo - lo supplicai - se torna e non mi trova?"
E così, mi lasciò andare. Uscii dalla veranda che avevo attraversato dieci minuti prima, mentre lui si attardò fuori per non dar a vedere.
La serata continuò! Mio marito mi stava cercando, ma ero già nel salone e, senza dubitar di nulla, cenammo e commentammo l'ambiente e i partecipanti.
"Che voleva da te Marcello? " chiesi.
"Mi ha inserito in una commissione e, forse, dovrò fare un corso di aggiornamento".
"E il negozio?"
"Ti farà affiancare da una commessa, che farà lo stage da noi. Dovrei star via una settimana".
Era chiaro che aveva pensato, proprio, a tutto.
"Ma dove devi fare il corso?"
"I primi tre giorni in sede centrale, poi rientro e proseguo la formazione qui in città; non ti sembra che sia una cosa importante?" Mi chiese. Annuii ma ero sempre più convinta che era un programma studiato nei minimi particolari.
"E quando?"
"Lunedì mattina, Marcello accompagnerà la commessa e credo che mercoledì mattina partirò"
La serata continuò con ammiccatine e sorrisi che io cercai, non convinta, di evitare.
Era felice e non ebbi il coraggio di dirgli quello che supponevo. Oppure non volevo?
In effetti il lunedì, come preannunciato, Marcello con la stagista arrivò in negozio e, con tutta la cordialità di cui disponeva, ce la presentò, lasciando poi a noi la libertà di avviarla al lavoro. Mentre io mi allontanai con la ragazza, Maria, lui e mio marito presero gli ultimi accordi. Quando andò via:
"Allora parto domani sera e rientro venerdì. La settimana prossima, poi, inizia l'insegnamento. Pure tu devi seguire il mio corso - disse divertito - gli ho dato il tuo cellulare; ti chiamerà per avere informazioni sulla commessa".
Povero illuso, pensai: quello vuole altro e sicuramente non dalla commessa.
Il resto della giornata proseguì senza ulteriori novità, tranne il fatto che Maria, la commessa, non era affatto una esordiente e non aveva nulla da imparare, anzi conosceva questo lavoro molto meglio di me, per cui pure questo mi dava da pensare. Non si vide, né sentito neanche il martedì e la sera Lucio, per non farmi guidare, prese un taxi e si fece lasciare in aeroporto.
"Ti raccomando!" furono le parole che mi rivolse sull'uscio di casa, prima di lasciare sulle mie labbra un castissimo bacio.
Rimasi sola e seduta in cucina, mentre sorseggiavo una tisana alla camomilla e biancospino, pensavo a quello che mi stava accadendo. Erano decenni che non provavo queste emozioni. Sembravo una adolescente alla sua prima cotta. Eppure, avevo più di cinquant'anni. Ma, forse, mi stavo lusingando?
No, non era possibile! Il bacio dell'altra sera era reale, come pure le mani che mi avevano toccato, carezzato, fatto sciogliere.
Poi il bip del cellulare mi riportò in cucina. Era lui, aprii WhatsApp e lessi:
"È partito? Fammi sapere!"
Che fare, dovevo rispondere o prender tempo, ma seguì un altro bip:
"Posso chiamarti?" chiedeva; rimasi incerta sul da farsi, poi non resistetti ed accettai. Nemmeno il tempo che il messaggio arrivasse ed il telefono squillò. Non avevo il suo numero memorizzato, per cui risposi con un " Pronto?" pur sapendo che era lui.
"Ciao sei sola? Lucio è partito, vero?"
"Sì, lo sai - poi ebbi il coraggio di chiedere - Hai organizzato tutto tu, lo so! Dimmi chiaramente: che vuoi?"
"Non lo immagini? Comunque ti aspetto domani mattina all'hotel jolly, camera 211. Appena arrivo, ti mando la posizione. Così ne parliamo con calma. A Maria dirai che devi andare in banca o inventa una qualunque altra scusa. Lo so che lo vuoi anche tu!"
"Sei tutto matto - replicai non convinta - Buona notte" e non chiusi subito, aspettando la sua:
"Buonanotte e.… a domani!"
Finii la tisana e, dopo un breve passaggio in bagno, mi andai a stendere nel letto.
Stranamente stanca, mi addormentai subito e profondamente, tanto da non sentire nemmeno il rientro dei ragazzi. Dormii un paio d'ore, mi svegliai in un bagno di sudore. Avevo sognato qualcosa che non ricordavo più. Ero agitata e mi rotolai nel letto fino a raggiungere il posto vuoto di Lucio. Il fresco del suo cuscino mi fece bene subito e ripresi a dormicchiare, fino allo spuntare dell'alba. Guardai la radiosveglia, segnava le sei meno un quarto. Potevo stare ancora un po'. Ma l'ansia dell'incontro mi attanagliava la pancia. Corsi in bagno e, dopo aver fatto i miei bisogni, mi rifugiai in cucina e misi su la moka. Che strano prendere il caffè da sola: non c'ero abituata.
Prima di ritornare in bagno per la doccia, presi dallo studio la borsa porta documenti di Lucio, la svuotai dalle carte e me la portai in camera da letto. Frugai nel cassetto del comodino di mio marito, alla ricerca di profilattici che usavamo solo quando lui mi prendeva analmente, perché temeva di sporcarsi. Ne trovai un paio. Non si sa mai, pensai tra me e me, e li misi nel portadocumenti, insieme ad uno slippino pulito, da usare in caso di emergenza, oltre ad un assorbente. Poi feci la doccia e velocemente mi vestii. Salutai i ragazzi, facendo le solite raccomandazioni ed uscii di casa per andare ad aprire il negozio.
Maria, la commessa, non era ancora arrivata, ma giunse di lì a poco di corsa, convinta che fosse in ritardo.
Il primo a chiamarmi fu Lucio, voleva rassicurarmi per esser arrivato e poi voleva sapere dei ragazzi ed esser aggiornato sul negozio. Ebbi il tempo di chiudere la comunicazione che il bip del Whatsapp mi avvertì dell'arrivo di un messaggio. Ovviamente era lui, chiedeva se potesse telefonarmi. Pur avendo letto, aspettai dieci minuti per rispondere. Era entrata una cliente e volli affiancare la commessa per rendermi conto di come se la cavasse. Solo quando ebbi la certezza che sapeva agire alla perfezione, mi spostai nel retro e gli diedi l'ok.
"Pronto sono in auto, sto andando in albergo; tieniti pronta, appena in camera ti mando la posizione su WhatsApp" disse d'un fiato ed io, come una imbambolata non dissi altro che un banalissimo "Ok" e chiusi la comunicazione.
Che mi stava succedendo, ero come ipnotizzata: qualunque cosa l'avrei fatta. Se da un lato mi fossi vergognata, dall’altro avrei aspettato con trepidazione il suo messaggio. E quello arrivò dopo una decina di minuti.
Affidai il negozio a Maria e, con la scusa di andare dal commercialista, presi la borsa ed uscii velocemente dal centro commerciale.
In macchina, dopo un profondo respiro, collegai il telefonino al display e misi in moto. L'albergo non era distante, ci sarei arrivata in sette minuti.
Nel parcheggio c'erano poche macchine. Indossai un paio di occhiali scuri da sole e, con la mia inseparabile borsa, attraversai lo spazio che mi separava dalla costruzione. In quel modo, potevo anche sembrare la sua segretaria e non necessariamente una puttana! Anche se, a pensarci bene, la seconda ipotesi, mi eccitava di più. Arrivata alla porta a vetro dell'ingresso, cercai di sbirciarci dentro. Non vidi nessuno e, senza esitazione, entrai; mi stavo avvicinando all'ascensore, quando una voce alle mie spalle mi apostrofò:
"Scusi signora, dove va?" Era il portiere ed io, girandomi:
"Stanza 211, sono attesa dal..."
"Secondo piano, la porta di fronte all'ascensore" replicò, sciorinandomi un lungo sorriso. Sì, quel sorriso beffardo che, evidentemente, era abituato a fare alle donnine che frequentavano il suo hotel. Avvertii il suo sguardo addosso, accelerai il passo e raggiunsi l'ascensore.
Prima di entrarvi, voltai lo sguardo ed il suo sorriso mi stava ancora accompagnando. In pochi secondi arrivai al piano e bussai alla porta della camera 211.
"Avanti" spinsi la porta, era aperta. Sicuramente il ruffiano lo aveva avvertito. Era seduto sul divanetto ed aveva sul tavolino, lì davanti a sé, delle carte che stava esaminando.
"Nell'attesa stavo dando uno sguardo a queste note". Si alzò e mi venne vicino. Fatti guardare: sei uno schianto!" disse cingendomi i fianchi e stringendomi a sé. Lo guardavo negli occhi ed aspettavo che facesse la prima mossa. Difatti mi spostò una ciocca di capelli che mi era caduta sugli occhi e poi pose le sue labbra sulla mia bocca. Questa volta la trovò già aperta e pronta ad accogliere la sua lingua, che, in un baleno, si attorcigliò alla mia. In piedi, vicino al divanetto, senza staccare la sua bocca, mi sbottonò la camicetta e, carezzandomi il seno, me lo tirò fuori dalle coppe del reggiseno. Con la destra agguantò la mammella a portata di mano, si abbassò e cominciò a leccarne il capezzolo e succhiare come un bimbo affamato. Cercai di staccarmi: mi stava facendo male, ma lui allentò leggermente la presa ed allora si fece avanti un intenso piacere. Il rumore che faceva con la bocca mi fece trasalire ed emettere qualche gemito. L'aiutai a sbottonare il mio jeans e lo feci cadere giù, sui piedi. Si allontanò di pochi centimetri per guardarmi e, solo allora:
"Togli le mutandine" dissi quasi con tono di comando.
Rimasi nuda e Marcello, in un attimo, si liberò della camicia, cui seguirono i pantaloni.
Mi guardò negli occhi: il suo sguardo era stravolto dall'eccitazione e, senza aspettare oltre, tesi le mani e gli tirai giù le mutande. Il cazzo torreggiò duro e grosso: lo volli toccare subito, era caldo e pulsante, ora davvero lo volevo!
Mi spinse fino a farmi sedere sul sofà e così mi trovai il membro dell'uomo proteso sulla faccia.
"Dai, ti prego, non deludermi" disse prendendoselo in mano e poggiandomi il glande sulle labbra. Mi mostrai fintamente scontrosa, ma in realtà succhiare era una cosa che mi mandava ai matti. Con Lucio, all'inizio, era davvero uno dei preliminari che di più gradivo, con l'unico grosso problema che lui veniva in trenta secondi. Da giovani, questo non era un problema, perché in tempi relativamente brevi era di nuovo pronto per continuare l'amplesso. Con gli anni, i tempi si erano notevolmente allungati, per cui il sesso orale l'avevamo definitivamente messo da parte, sebbene, con il fidanzato precedente, ero ben lieta di slogarmi le mascelle. Lo presi a leccare prima in punta e poi con tutta la cappella in bocca; poi lo ritraevo fuori, per leccare l'intera asta. Glielo ripresi in bocca e, quasi a volermi soffocare, me lo spinse fino in gola. Andammo avanti così, per più di dieci minuti, mentre le sue mani non smisero mai di stringermi i capezzoli, ormai divenuti due acini d'uva.
Si fermò. Era evidente che aveva bisogno di riaversi ed io dovevo riprender fiato e poi, nudi e madidi di sudore, ci spostammo, mano nella mano, sopra il letto
Mi sedetti di traverso e lui mi aiutò a scivolare verso il centro. Mi tirò su le gambe e, allargatele, mi fece poggiare i piedi sul materasso. Se lui aveva il pene irrorato dalla mia saliva, io ero bagnatissima delle mie stesse secrezioni: avrei voluto impedirglielo, ma lui si stese con il viso tra le mie cosce e cominciò a baciare e leccare la mia passerina. Il piacere che me ne derivava, mi faceva sussultare sul letto ad ogni affondo di lingua. Arrivò così un primo orgasmo che, non solo inondò il suo viso, ma sentivo inumidire anche il letto. Poi, quando si alzò, capii che era arrivato il momento. Fino a quel momento, nella mia mente, c'era stato solo il desiderio di godere, di non bloccarmi, di darmi completamente senza alcuna remora, ma quando Marcello indirizzò la cappella verso le grandi labbra ebbi, per un attimo, un pensiero per Lucio. Durò una frazione di secondo, poi, appena lo sentii entrare e possedermi, sollevai le gambe e le strinsi sulla sua schiena. Dimentica del preservativo e dei buoni propositi, ormai ero in preda alla lussuria più fattiva. Mi sentivo riempita e godetti di quella pienezza. Era fermo dentro di me e, solo quando mi sentì rilassata, cominciò a scoparmi.
Credo che gli dissi di non venirmi dentro e mi sembrò di leggere sul suo viso un cenno di assenso e, difatti, dopo avermi donato un ulteriore orgasmo, si fermò e si trasse da me.
Avevo gli occhi socchiusi e scorsi che era in ginocchio tra le mie gambe a masturbarsi, quando quattro o cinque spruzzi mi bagnarono il ventre, giungendo fin sopra il seno. Poi si accasciò su di me e mi baciò.
Rimanemmo così abbracciati, bagnati del nostro piacere, fino a quando i primi brividi di freddo ci riportarono alla realtà. Fui io a spingerlo di lato e, nuda, saltai giù dal letto. Il suo sperma cominciava ad asciugarsi, per cui, senza nessun permesso, mi portai in bagno e, dopo aver fatto la pipì, mi fiondai sotto la doccia.
Impiegai poco e, quando uscii dalla toilette, lo trovai ancora steso sul letto, abbracciato ad un cuscino: si era addormentato. Non volli svegliarlo, mi rivestii in fretta e, presa la borsa, in silenzio, mi allontanai dalla stanza.
Il resto lo sapete. Avevo tradito Lucio, mio marito... E ora come glielo dico?
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