Racconti Erotici > tradimenti > Come appresi di un cornino di mia moglie
tradimenti

Come appresi di un cornino di mia moglie


di quartofederico
08.05.2020    |    33.637    |    38 9.6
"Comunque mi preparai con più cura del solito..."


Mia moglie aveva deciso e, quando lei decide, non c'è verso di farle cambiare idea.
In effetti non aveva tutti i torti; erano anni che avevamo trascurato la nostra casa in montagna ed ora aveva proprio bisogno di una rinfrescata, oltre alla normale pulizia, e, tutto questo, era necessario farlo presto, perché avevamo programmato di andarci in agosto con una coppia di nostri amici.
Per ristabilire un minimo di serenità in casa, presi ad attivarmi onde trovare chi potesse fare questo lavoro.
Da premettere che la casa si trova in Toscana e che, per arrivarci, bisogna percorrere più di cinquecento chilometri, per cui, quando ci si va, è opportuno soggiornarvi non meno di dieci giorni.
Avevo parecchie ferie arretrate, per cui indovinate chi fu scelto per la bisogna? Logicamente il sottoscritto.
Contattai una ditta del posto e concordai con il capo mastro un incontro per il
primo pomeriggio del sabato successivo.
All'alba, in compagnia di mia moglie, che poi sarebbe tornata domenica in treno da Pisa, partimmo e arrivammo sul posto poco prima del "tocco", come dicono da quelle parti.
Una giornata di metà giugno, calda, afosa, ma incredibilmente fresca man mano che si saliva verso il paesetto.
Il capo mastro arrivò, mentre noi stavamo arieggiando casa; l'ispezione durò poco: c'era da rifare parzialmente un bagno e tinteggiare le camere da letto.
Il salone era ancora in ottimo stato, ma mia moglie volle che si ripristinasse il porfido ai lati del camino, cui sarebbe stata necessaria una bella pulita alla canna fumaria.
Furono stabiliti sia i costi che la durata dei lavori, che non avrebbero dovuto superare i dieci giorni.
"Caro, che vuoi di più? - disse mia moglie - Saranno due settimane di assoluto relax".
Eravamo soli e, dopo aver fatto un giro nel paesino, andammo a cenare in un ristorantino e poi ritornammo a casa.
A letto la notai assorta, a fissare il soffitto.
"A cosa pensi?" chiesi.
"Quante estati passate qui! Ricordi? Sembra ieri, eppure mancavamo da oltre cinque anni" rispose.
L'abbracciai e facemmo l'amore.
La domenica mattina ci svegliammo con il canto degli uccelli e scendemmo a piedi fino alla vicina chiesetta.
Ci intrattenemmo a salutare i tanti paesani che rivedevamo dopo tanto tempo e fummo costretti ad accettare un invito a pranzo da uno di essi che aveva un piccolo agriturismo.
Dopo di che, accompagnai mia moglie alla stazione e ritornai a casa.
La mattina dopo, si presentò il capo mastro con quattro di loro operai.
Due si stabilirono in bagno e cominciarono a smantellarlo, altri due, insieme al loro capo, vennero in camera da letto per cominciare a spostare i mobili.
Il letto e i comodini furono messi facilmente nell'altra camera; il comò al centro della stanza, così come, accanto ad esso, il grosso armadio.
Nello spostamento di quest'ultimo, però, qualcosa che si trovava su di esso e la parete, cadde per terra.
Uno degli operai raccolse da terra un quaderno, impolverato e quasi piegato in due e, dopo averlo sommariamente ripulito, me lo porse.
Lo presi tra due dita, giusto per non sporcarmi di polvere, e me lo portai giù in salotto, lasciando gli uomini al loro lavoro.
Poggiai il quaderno sul tavolo e, con uno straccio, lo ripulii dai residui di polvere.
Appena cominciai a sfogliarlo:
"Ma è la calligrafia di mia moglie" - mi domandai - Forse un diario?"
In effetti sfogliando le prime pagine sembrava proprio uno scritto di ricordi, risalenti a più di dieci anni prima, quando frequentavamo quella casa per non meno di quindici giorni nel mese di agosto, poi, finiti i ricordi, seguivano le ricette di cucina, raccolte un po' da tutte le vecchine del luogo.
Lo chiusi e, pensando che l'avesse perso, più che dimenticato, mi ripromisi di riportarglielo al mio ritorno.
I lavori proseguivano abbastanza velocemente, e così, il sabato successivo, decisi di preparare per la domenica un pranzo, prendendo spunto dal ricettario di mia moglie.
Ma ci volevano gli ingredienti per la ricetta, per cui recuperai il quadernetto e cominciai a sfogliarlo.
Ero arrivato quasi a metà blocco, finirono le ricette e... cominciarono le sorprese.
Dodici settembre:
Oggi ho avuto un tuffo al cuore: alla fermata del bus ho incrociato lo sguardo di un uomo bellissimo. Non so cosa mi sia successo, l'ho guardato con una strana ammirazione, ma quando ha alzato gli occhi e mi ha fissato credo che mi sia sciolta, come neve al sole.
Siamo saliti assieme e si è messo al mio fianco.
E' sceso una fermata prima di me e mi ha lanciato uno sguardo che era quasi un invito.
Scusa diario; so di apparire ridicola, ma mi sento come una collegiale al primo flirt, con la differenza, però, che sono sposata con prole.
Avrei voluto raccontarlo a qualcuno, ma non lo feci per non essere ridicolizzata.
Che strana sensazione! Guardavo mio marito e mio figlio quasi con un senso di colpa, come se avessi fatto chissà cosa.
Ero eccitata e la sera, a letto, feci una cosa che non mi succedeva ormai da anni.
Quando il mio lui si addormentò, mi abbassai il pigiama e cominciai a carezzarmi, come facevo da ragazza quando badavo a titillare il solo clitoride, senza forzare l'imene; era ciò che mi aveva raccomandato una carissima amica.
Mi sono tuffata in quelle vecchie manipolazioni, usando solo medio e anulare, i cui polpastrelli giravano attorno al mio cazzetto proteso e duro.
Pensavo all'uomo del bus; mi sarebbe bastato anche solo un leggero contatto; chissà chi era; nella fantasia erotica continuavo a prendere il bus, ma non capitava più di vederlo.
Il ritmo delle dita proseguì con maggiore velocità, fino a che aumentò in maniera tale che ebbi due o tre scossoni, sollevando il culo dal materasso e, come quando ero ragazza, riprovai il piacere virgineo di un tempo.
Credo di essermi addormentata subito dopo e, cosa ancora più strana, credo di averlo sognato.
La mattina fui svegliata da mio marito che, come d'abitudine, mi portò il caffè a letto; però, presa coscienza della realtà, mi convinsi che era stato davvero tutto un sogno.
Comunque mi preparai con più cura del solito.
"Non si sa mai - mi dissi - Potrei incontrarlo di nuovo ed è meglio non farsi trovare impreparata". Baciai mio marito, mio figlio ed uscii.
Alla fermata del bus, purtroppo, non c'era.
Ci rimasi talmente male che pensai di marinare il lavoro ed andarmene a zonzo, ma il dovere mi impose altra soluzione.
Ero, in parte, arrabbiata, per cui dovevo prendermela con qualcuno: subito mi sfogai con l'addetto della portineria, che aveva sbagliato a distribuire la posta; poi fu la volta dell'addetto alle pulizie.
Ero davvero inviperita, lo riconoscevo, ma, caro diario, lo sai, sono fatta così!
Il pomeriggio mi recai alla fermata per il ritorno e salii sul bus, facendomi spazio a gomitate tra gli altri passeggeri, per assicurarmi un posto a sedere.
Mancò poco che non svenissi! Egli era seduto lì e, vedendomi, si alzò per cedermi il posto.
Non ricordo cosa risposi: forse, grazie non si disturbi, ma egli non ammise repliche e, nel raggiungere il sedile reso libero, cercai il contatto strofinandomi di proposito con il fianco sul suo braccio.
Poco prima non ero svenuta, ma avevo il sangue in subbuglio.
Egli, invece, nulla... sembrava non essersi nemmeno accorto dell'emozione da cui ero presa.
Senza dare nell'occhio, lo scrutai per bene: sulla cinquantina, alto più di un metro e ottanta, capelli neri, baffetti sottili e mosca sul mento; elegantissimo, aveva occhi neri sembravano di ghiaccio; insomma il classico "bel tenebroso”.
Ero proprio sfortunata: il bus era mezzo vuoto, per cui non c'era stato nessun contatto, nemmeno per poterlo attribuire alla ressa.
Siamo scesi alla stessa fermata, ma degnandomi appena di un breve sguardo e un saluto, andò via in direzione opposta alla mia.
"Dai - pensai - mi sto creando un film in testa" e, delusa, rientrai a casa.
Non so se fu quella percezione di essere snobbata o se perché non volevo darmi per vinta, sta di fatto che il mio pensiero non smetteva di rivolgersi a lui.
L'indomani mi vestii in maniera più osé: gonna piuttosto corta e una camicetta stretta, che metteva in bella mostra le floride tette.
La fermata del bus era a duecento metri da casa e percorsi quel tratto con passo svelto.
Egli era già lì in attesa del pullman. Lì per lì fui presa da un senso di rinuncia, ma, poi, osai avvicinarmi e, con un sorriso stampato sulle labbra, gli rivolsi il saluto.
"Buongiorno, signora" rispose e, guardandomi, a sua volta mi regalò un sorriso a trentadue denti.
Salimmo sul mezzo e, questa volta, lo sentii appoggiarsi dietro di me.
Non feci un minimo movimento; il cuore era come impazzito, e quel contatto servì solo ad aumentare lo scombussolamento da cui ero presa.
Sapevo che sarebbe sceso prima di me, e, per non interrompere il contatto così insperatamente stabilito, mi mossi assieme a lui.
Strano, ma fece scivolare la mano e mi carezzò il culo: era proprio ciò che volevo e la cosa gli fu chiara perché ebbi un brivido che mi scosse tutta.
"Oggi, alle quattro, alla fermata del bus" mi sussurrò all'orecchio.
Non mi diede tempo per rispondere e scese.
Frastornata, giunsi in ufficio.
Me la stavo facendo addosso. Corsi in bagno e constatai di avere lo slip bagnato: non era pipì.
Meno male che, per abitudine, portavo sempre in borsetta un cambio di biancheria per cui tolsi quelle sporche e mi lavai la vagina con acqua corrente.
Ancora mille pensieri, mille dubbi affollavano la mia mente: dovevo andarci? Chi poteva essere? Che mi poteva succedere? Però, su tutti prevaleva quel desiderio, quella voglia che nei giorni precedenti mi aveva sconvolto la vita.
Dell' incontro non era il caso di parlare con nessuno, perché non mi piaceva passare per una puttana.
Ma, in effetti, da puttana mi stavo comportando: come definire, altrimenti, una donna sposata che vagheggiava un rapporto sessuale con uno sconosciuto? Oltretutto portava la fede nuziale, quindi era sposato proprio come me.
In fine una vocina mi disse: "Prova a vedere cosa succede e poi decidi".
Chiesi un permesso di due ore e alle quindici timbrai il cartellino.
La fermata del bus indicatami distava, al massimo, dieci minuti a piedi e, se mi fossi fermata sul marciapiedi opposto, magari avrei potuto vedere da dove usciva.
Una volta sul posto, ebbi una mezz'ora abbondante, per cercare di scoprire qualcosa. C'era una banca, una farmacia però chiusa, una scuola elementare e media.
Sicuramente era nuovo del posto, diversamente non sarebbe passato inosservato e l'avrei notato già da prima.
Camminando avanti ed indietro sul marciapiedi, si era in prossimità dell'ora stabilita e, mentre stavo per attraversare, mi sentii prendere sotto al braccio.
Era lui.
Attraversammo assieme e, quando fummo sull'altro marciapiede:
"Come ti chiami?" chiese con un fare risoluto e passando subito al "tu".
"Teresa - risposi - e tu?"
"Salvo, sono siciliano, sono qua per lavoro" aggiunse.
Camminavamo sottobraccio, quasi ci conoscessimo da sempre
"Vieni, prendiamo un caffè" e, senza aspettare che rispondessi, mi condusse in un bar.
Fortunatamente era una zona che praticavo poco e difficilmente qualcuno poteva riconoscermi, ma, per precauzione, dopo che ci fummo seduti ad un tavolino, indossai un paio di grossi occhiali scuri.
"Hai timore di qualcosa?" chiese.
Non risposi, ma il mio stato d'animo era facilmente intuibile.
Attendemmo che il cameriere ci servisse i caffè ed egli, mentre me lo zuccherava, mi si avvicinò e, in un sussurro, disse:
"Sei una "femmina" meravigliosa, da letto!"
Avrei voluto scappare, ma ero come incollata alla seggiola; non osavo dirgli quello che stavo provando.
Credo che il gorgoglio del mio stomaco fosse distintamente arrivato alle sue orecchie; mi sorrise e mi carezzò una mano.
"Sei sposata, vero?"
"Sì.... anche tu, vedo" ovviamente alludendo alla vera nuziale.
"Sì - rispose - Lo sai che mi hai attratto subito, ma non avrei mai osato, se non avessi fatto tu la prima mossa"
Ero rossa in viso, più per la voglia che per la vergogna: ormai ero decisa a tutto, aspettavo solo la sua prima mossa.
Arrivò con una richiesta che sicuramente non mi sarei aspettata.
"Che indossi sotto?" chiese
Lo guardai perplessa, ma quella domanda fece aumentare ulteriormente la mia eccitazione.
"Un tanga, perché?"
"Alzati, vai in bagno e toglilo" ordinò in maniera che non lasciava scampo.
Come un automa e con occhi bassi, mi alzai e chiesi alla cassiera del bar dove fosse il bagno.
Mi indicò quello delle signore e mi chiusi dentro; prima di "ubbidire", dovetti bagnare le tempie che mi pulsavano quasi avessi trentanove di febbre, poi mi alzai il vestito e mi sfilai le mutande.
Erano infinitesimali, così potei nasconderle nella manica della camicia e, cercando di essere più disinvolta possibile, uscii dal bagno.
Mi sentivo addosso gli occhi di tutti quelli che mi erano attorno, quindi, con passo spedito, ritornai al tavolo.
"L'hai fatto?" chiese, cui risposi con un cenno della testa.
"Passamele!"
Le sfilai dalla manica e, sotto il tavolo, gliele passai.
"Queste le tengo io - disse - Domani mattina organizzati per stare con me tutto il giorno. Ti aspetto alla solita ora e al solito posto"
"Come faccio? Non ho avvertito nessuno a lavoro" obiettai.
"Ricordati che volere è potere" e così dicendo si alzò, mi tese la mano, prese la mia e la sfiorò con un bacio.
Quella notte mi masturbai, non sfiorando il solo clitoride, ma con due dita completamente dentro.
Il mattino seguente mi svegliai con uno strano rimescolio nella pancia.
"Speriamo che non mi vengano proprio ora, le mie cose," pensai; in realtà dovevo solo andare in bagno.
Mio marito dormiva ancora, come pure il ragazzo e ne approfittai per mettere un po’ d'ordine nelle mie idee.
Sapevo benissimo o, perlomeno lo speravo, a cosa andavo incontro: mi ero costruita un'avventura al buio, ma il desiderio era davvero fuori misura.
Non volevo rinunciare, come avevo fatto tante altre volte, per cui stabilii che il dado era tratto e che non potevo più tornare dietro.
Nel frattempo, mio marito si era alzato e, notando quanto fossi assorta, mi chiese da cosa fossi angustiata.
"Niente solo un mal di pancia, che mi ha fatto correre in bagno" risposi.
Prendemmo il caffè in cucina e siccome era troppo presto me ne ritornai a letto, riappisolandomi.
Fui svegliata dalla suoneria del telefono e balzai sul letto.
Erano le sette: avevo solo tre quarti d'ora per prepararmi. Inoltre dovevo trovare il modo per comunicare la mia assenza in ufficio.
Approfittando del fatto che mio marito era in bagno, io, adottando tutte le cautele possibili, chiamai una mia collega dell'amministrazione e le chiesi di giustificarmi con il capo, in quanto prendevo una giornata di ferie.
Mosse qualche obiezione, ma poi, in ricambio di vari piaceri che le avevo fatto, acconsentì.
Subito dopo corsi a prepararmi e, anche se in tutta fretta, lo feci con cura.
Non sapevo dove mi avrebbe portata, per cui optai per un vestito comodo.
Uscii di casa in perfetto orario, e raggiunsi la fermata del bus.
Quando, da lontano lo vidi arrivare, mi sentii il cuore in gola.
"Ciao puntuale?" disse, guardando l'orologio, quasi a sottolineare "non vedevi l'ora!"
" Ciao " risposi, abbassando lo sguardo in una chiara forma di pudicizia.
"Ora prenderemo il bus come se dovessimo andare in ufficio, invece, scenderemo una fermata prima della stazione" preannunciò.
"Ma dove vuoi andare?" chiesi.
"Fidati" aggiunse.
Sul pullman eravamo vicini, ma non attaccati e, in breve, dopo aver passato la sua e la mia fermata, il mezzo si svuotò, per cui ci sedemmo.
Ne avevo proprio bisogno: le gambe non mi reggevano.
Se ne accorse e, in un sussurro, riprese:
"Stai calma! Sei ancora in tempo per ripensarci"
Il mio no, accennato con la testa, e il suo sguardo deciso e rassicurante, mi ridonarono la serenità, di cui avevo un disperato bisogno.
Dopo un altro quarto d'ora di corsa, il bus ci portò a destinazione.
Scendemmo e, con una certa sfrontatezza, mi misi sotto il suo braccio; camminammo così per un centinaio di metri.
Ad un tratto si fermò e, senza tanti preamboli, mi chiese:
"Usi precauzioni, vero?" chiaramente sottintendendo ad un qualche contraccettivo.
Usavo la spirale, ma non ebbi modo di pensare che potevano esserci, anche altre sorprese, per cui risposi: "Sì".
"Aspetta un attimo" ed entrò in farmacia
Mi vergognai come una ladra, ma ero eccitata e soprattutto pronta.
Di ritorno, mi strinse a sé, questa volta cingendomi la vita, ed entrammo in un alberghetto, proprio in una traversa di fronte alla stazione.
Evidentemente aveva già concordato con il portiere, perché, senza alzare lo sguardo su di me, gli diede la chiave e disse:
"Primo piano"
Per me era la prima volta. Essere o fare l'amante di uno sconosciuto, non era da tutte, ma di una puttana sì.
Aprì e mi fece entrare, mi seguì dentro, chiuse la porta e mi attirò tra le sue braccia.
Risposi al suo abbraccio e quando avvicinò le sue labbra alle mie, mi venne naturale aprire la bocca e cercare la sua lingua.
Fu un bacio lungo e voluttuoso, sapeva di fresco, di buono, di nuovo!
Mentre mi baciava, fece scendere le spalline del mio vestito e, staccandosi dalla bocca, cominciò a baciarmi il collo e dietro l'orecchio.
Buttai la testa all'indietro in preda ad un languore senza fine; egli non si fermava e, continuando a baciarmi, fece scivolare il vestito, rivelandomi in slip e reggiseno.
"Sei un incanto: girati" e, allontanandosi di mezzo metro, mi scrutava quasi fossi una scultura da ammirare.
Mi avvicinai e gli sciolsi il nodo della cravatta. L'avevo fatto tante volte a mio marito, ma ora era diverso.
La camicia volò via in un attimo e rimase a torso nudo.
Un gran bel maschio: peli ricci e neri gli impreziosivano il petto e, a seguire, scendevano fino all'ombelico e oltre.
Mi abbracciò e tirò giù il reggiseno facendo letteralmente esplodere le mie tette, che erano davvero strette in quel minuscolo pezzo di stoffa.
Cominciò a baciare i capezzoli, a morderli; mi faceva male, ma era bello, la sua lingua guizzava dall'una all'altra e mentre baciava e mordeva un capezzolo, con il pollice e l'indice torturava l'altro.
Mi liberai del reggiseno, mentre a sua volta si toglieva i pantaloni.
Mi riempii gli occhi di quel fisico che si manifestava un po' per volta; lo guardavo ancora, mentre si abbassava lo slip: un affare grosso e lungo schizzò fuori.
"Dai... togli le mutandine e stenditi sul letto" mi disse in tono imperioso.
Ero ancora frastornata dalla visione della sua nudità e, prima che potessi obbedire, fu lui a tirarmele giù e, mentre mi stendevo di traverso sul letto, me le sfilò completamente.
Anch'egli rimase per un attimo strabiliato ad ammirarmi, ma si riprese presto, mi allargò le gambe e mi tirò verso la sponda del letto; si inginocchiò, con davanti la vista completa del mio sesso gocciolante, e subito vi pose la bocca.
Per un attimo credo di aver perso i sensi: il piacere che stavo ricevendo mi proiettava, istante dopo istante, in un'estasi sempre più profonda.
Mi tirai indietro sul letto ed egli, per proseguire nella sua azione, mi seguì senza smettere un solo attimo. Riuscii, così, a girarmi e prendergli il cazzo in mano. Non mi riusciva di cingerlo tanto che era grosso e quando, allungando la testa, lo raggiunsi con la bocca, inizialmente non potei far altro che baciarlo e leccarlo dalla cappella alle palle.
Aveva il sapore di maschio, pulito, profumato, anche un po' troppo, e, quando riuscii ad accogliere la cappella in bocca, assaporai la prima stilla del suo nettare.
Fu lui il primo a staccarsi: si stese su di me, mi baciò in bocca; poi, prima strusciandolo, poi puntandolo sulle grandi labbra, cominciò a spingere.
Lo sentii farsi spazio dentro di me, entrò fin in fondo e solo allora alzai le gambe e gliele strinsi sui reni. Lo avevo letteralmente arpionato in segno di possesso assoluto: avrei voluto non farlo mai più uscire da me.
Con entrambe le mani mi stringeva il culo e cominciò a chiavarmi, alternando tenerezza a furioso possesso.
Lo sentivo dentro in tutta la sua possanza ed io lo fasciavo come una guaina.
Mi baciava ed io ricambiavo. Ogni colpo dimostrava tutto il suo desiderio per me, tanto da sbattermi in maniera da spostarmi sul letto.
Mi sentivo squassata e credo di aver urlato, mentre godevo; egli, però, proseguiva a chiavarmi come un toro inferocito. Ho gridato ancora una volta e ancora un'altra, e solo allora lo sentii irrigidirsi e, tirandolo fuori, mugolò il suo piacere.
Quattro o cinque schizzi di crema densa imperlarono la mia pancia, quindi, accasciandosi, mi baciò di nuovo e si riversò sul lato: mi diede l'impressione della morte di un guerriero.
Dopo poco gli chiesi:
"Perché non mi sei venuto dentro?"
"Desideravo farti constatare quanto fossi eccitato per te e quanto mi piaci"; poi, quasi fosse una pomata, mi strofino lo sperma sulla pancia, imbrattando i peli della mia vagina.
"Che fai, stupido?" dissi in tono scherzoso
"Lasciami giocare" e, così dicendo, mi pose le labbra sulla figa e prese a leccare i miei umori misti ai suoi.
Era la prima volta che provavo quel tipo di piacere: mi sentivo allagata, avrei dovuto correre a lavarmi, ma mi piaceva sentire quella lingua che si intrometteva fra le labbra della mia fica, ripulendomela .
Era una sensazione perversa, ma mi piaceva; poi egli aggiunse:
"Sta tranquilla, non abbiamo finito, abbiamo tempo anche per altro".
"E' una promessa o una minaccia?" dissi facendogli una smorfia.
"Guarda!" e mi mostrò il cazzo quasi di nuovo in tiro.
Avevo necessità di fare pipì; andai in bagno e, mentre mi sedevo, sulla tazza, lo vidi affacciarsi all'uscio.
"Dai... ti prego; esci, altrimenti non ci riesco".
Si allontanò solo il tempo che cominciassi a mingere, poi, ritornando sui suoi passi, mi venne vicino, mi allargò le gambe e mise la mano tra le mie cosce:
"Che fai, porco!" riuscii a dire, mentre proseguivo ad emettere il getto caldo sulla sua mano.
Dopo esserci lavati, ritornammo a letto.
Io girata verso di lui, sul fianco, e lui supino.
Lo guardavo in viso, aveva tutti i tratti del maschio meridionale.
Cominciai a carezzargli il petto, facendomi attorcigliare le dita dai suoi peli, poi scesi verso la sua pancia, fino a raggiungere il suo membro.
Era decisamente duro, nonostante avesse goduto meno di mezz'ora prima; carezzavo la cappella setosa e mi soffermai principalmente sulla boccuccia che dispensava il piacere.
"Ti piace?" chiese.
"Non è una cosa da chiedere ad una signora" mi schermii.
"Ti va di metterti a pancia sotto? Faccio piano, prometto"
Ebbi un attimo di esitazione.
Con mio marito l'avevo fatto, si e no, tre o quattro volte, in oltre diciotto anni di matrimonio e con richieste molto insistenti, ottenendo solo rifiuti; ora, a questo mio bel tenebroso, dovrei darglielo senza battere ciglio.
Si accorse della mia titubanza ed aggiunse:
"Che pensi? Se non ti va, non insisto".
Non lo feci finire: avevo deciso. Mi staccai da lui e mi girai a pancia sotto.
Rimase decisamente sorpreso dalla mia repentina decisione.
Mi spostò i capelli dalla nuca e cominciò a baciare proprio là, quasi sapesse che è una delle tante zone che mi procura i brividi.
Mi venne la pelle d'oca ed egli, avendo notato l'effetto che produceva sui miei sensi, insistette proprio in quel punto: all'attaccatura dei capelli.
Poi, scivolando verso il basso e sempre al mio fianco, la lingua percorse la spina dorsale fino ai glutei, per poi risalire, fermandosi a baciare le due fossette poste più in alto ai lati del sedere.
Ero di fuoco, il respiro si era trasformato in affanno: mi baciò prima l'una, poi, l'altra natica.
La sua irrefrenabile lingua raggiunse il solco e lo percorse in lungo ed in largo.
Quando lambì il perineo ebbi uno scatto in avanti; un misto di piacere e fastidio mi fece percepire che tra poco sarebbe avvenuto il "sacrificio".
Continuò a baciare e leccare e, quando si soffermò sulla mia rosetta, sentii un calore partire dall'ano e arrivare al cervello.
Ci sapeva proprio fare il mio uomo; la lingua frullava il buchino e si stava insinuando al suo interno. Ero in uno stato di eccitazione che non avevo mai provato prima; mi muovevo disordinatamente mimando il coito.
"Basta - urlai - non ce la faccio più. Lo voglio... che aspetti?"
Si fermò. Allungò un braccio e, dalla tasca della sua giacca, prese ciò che aveva comperato in farmacia.
Girai la testa per guardare. Era un tubetto bianco, come quello delle pomate.
"Cos'è?" chiesi; non mi diede la soddisfazione di rispondere; svitò il tappo, tolse la linguetta metallica di protezione e applicò davanti la cannula che era di dotazione.
Era una cannula lunga non più di cinque centimetri e molto stretta. L'avvicinò all'ano e spinse, iniettando dentro il mio retto una bella dose di crema.
Era fredda, per cui spostai l'attenzione sulla sensazione che stavo provando e mi resi conto, in ritardo, che mi aveva puntato la sua grossa cappella violacea sullo sfintere.
Il contatto con il cazzo, lì per lì, mi fece irrigidire: avevo serrato i glutei ed egli mi diede una sonora pacca sulla natica destra. Gridai, più per la sorpresa che per il dolore, e, proprio come si fa per le iniezioni, egli mi attirò a sé e mi penetrò per più della metà del pene.
Al dolore dello schiaffo sulle natiche, si aggiunse quello più irruento della dilatazione che stava subendo il mio culo. Un pensiero terribile, ma, nel contempo anche perverso ed eccitante, si formò nella mia mente: il cazzo di uno sconosciuto, dopo aver profanato la vagina di una moglie morigerata, ne stava violando anche il culo e, tutto questo, con la massima voluttà, che faceva di quella donna una "puttana" e l'inconsapevole marito un "cornuto".
Ebbe la delicatezza di fermarsi giusto qualche secondo, poi, senza preoccuparsi dei miei lamenti, proseguì come un treno, spingendo ancora di più, e fermandosi solo quando i suoi testicoli urtarono il mio perineo.
Questa volta la sosta durò un po' più a lungo e quando avvertì che ero rilassata, cominciò a scoparmi.
Ora il dolore aveva ceduto il posto ad uno strano piacere, una sensazione di leggero e piacevolissimo mal di pancia.
Ero concentrata sull'interno del mio culo, che sentivo pieno, quando lui era tutto dentro di me, ma incredibilmente vuoto, quando si ritirava: era una sensazione che avevo già conosciuto, ma che si era da tempo assopita nel mio cervello. Avevo la bava alla bocca, che, colandomi, stava bagnando il cuscino: a tratti, ero piena e, a tratti, vuota, ma anche felice e dolorante.
Dopo alcuni minuti di quella intromissione, lo sentii allontanarsi e ritirarsi da me. Mi sfuggì un urlo quando la sua cappella, con un osceno rumore, tipo bottiglia stappata, abbandonò il mio culo.
"Perché " - pensai - "mica è già venuto?"
Invece, con le sue manone, mi girò sul letto, mettendomi supina.
"Alza le gambe - disse - voglio vedere le espressioni del tuo viso mentre te lo godi tutto dentro, nelle viscere"; lo aveva detto con la foga di un satiro che violenta la ninfa e, perfino gli occhi, non sembravano più i suoi; come nella storia del dottor dottor Jekyll e Mr. Hyde, il mio buon e rispettoso maschio, era diventato una bestia che brutalizzava la sua femmina.
Devo anche aggiungere che, invece di spaventarmi, a vederlo così eccitato mi sembrò ancor più bello, quindi, senza obiettare, tirai su le ginocchia trattenendole con le mani sulla mia pancia.
Ero completamente aperta ed offerta.
In questa posizione non ebbe nessuna difficoltà ad entrarmi dietro ed io lo ricevetti tutto, in un sol colpo.
Comunque, forse per l'inclinazione diversa presa dal suo cazzo nell'entrare, non avevo più dolore e sembrava quasi che spingesse sul mio utero.
Le mie urla di piacere divennero costanti e seguivano il ritmo del coito; ad un certo punto ebbi la sensazione che mi fossero sfuggiti alcuni spruzzi di piscia. Per verificarlo, allungai una mano tra il mio ed il suo ventre e la ritirai bagnata di un liquido chiaro e vischioso: che vergogna! Avevo squirtato?
Intanto il piacere continuava ed egli non sembrava voler rallentare il ritmo.
Poi, ad un tratto, un suo bacio su un mio capezzolo divenne un morso e, quasi staccandomelo, lo sentii urlare mentre mi crollava addosso.
Solo allora mi resi conto che mi aveva riempito il retto di tanta crema calda.
Finalmente, libera dal suo peso, potevo stendere le gambe.
Egli ancora ansimava ad occhi chiusi: stava assaporando gli ultimi spasmi del piacere.
Anch'io avevo goduto tantissimo, ma ciò che mi rendeva euforica era il fatto di aver fatto godere all'inverosimile il mio amante sconosciuto.
Mi alzai dal letto e corsi in bagno. Scaricai dall'intestino tutto lo sperma inoculatomi, mi sedetti sul bidet e mi ripulii con acqua fredda.
Al mio ritorno in camera, lo trovai addormentato.
Lo lasciai riposare una mezz'oretta, poi lo svegliai.
"Che ore sono?" chiese
"Le dodici e trenta" risposi; si stiracchiò, si alzò e, a sua volta, andò in bagno.
Con una sfrontatezza che non mi riconoscevo, lo seguii ed egli, ancor più impudente di me, si lasciò ammirare mentre faceva la pipì, poi si lavò e chiese:
"Hai fame?"
Riconobbi che in effetti un po’ di languorino ce l'avevo, per cui ci rivestimmo e scendemmo giù nell'atrio.
Il portiere, prendendo le chiavi e con un pizzico di curiosità, mista ad ironia:
"Per oggi va bene o dovete ritornare" chiese.
Senza vergogna, risposi io
"Per oggi basta, vero tesoro?"
"Si basta" disse e prendendomi per mano, uscimmo dall'albergo.
Trovammo una pizzeria, ci sedemmo, ordinammo due margherite, birra per lui e coca cola per me, e, soddisfatti, ci regalammo ancora qualche momento di idillio.
"Caro diario,
mi è piaciuto vivere questa avventura d'amore e sesso, non perché fossi scontenta delle emozioni che mi riserva il mio adorato maritino, ma affinché sappia e si regoli di conseguenza.
Ora, rivolta a te, maritino mio: non puoi immaginare la fatica che ho fatto sabato, quando siamo arrivati, per imbrattare il quaderno con la polvere e la fuliggine del camino, per poi nasconderlo sull'armadio.
Ero certa che, una volta trovato, la tua curiosità ti avrebbe spinto a leggerlo.
Ora, se davvero vuoi conoscere lo scopo di tutto questo, vai avanti di due pagine."
Sfogliai le due pagine, peraltro bianche, e nella successiva lessi:
"Amore mio, non potevo tenerti nascosta questa mia avventura: mi sentivo sporca dentro; perciò ho scelto questo sistema per metterti al corrente di come mi sia lasciata prendere la mano da un amore, che sapevo impossibile, ma che ero decisa a vivere nella più completa sfrontatezza.
Se proprio non vuoi che ti sostituisca, non nel cuore, ma tra le cosce, datti una mossa e fammi tornare ad essere la tua femmina, fammi provare com'è essere una "puttana", la tua "puttana", proprio come ci è riuscito Salvo, nella fantastica storia che ho avuto la fortuna di vivere con lui.
TI AMO e, per aver svelato il mio segreto, certamente ancor più di prima.
Tua TERESA .



Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.6
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Come appresi di un cornino di mia moglie:

Altri Racconti Erotici in tradimenti:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni