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"Villa Mary......Un fantastico tuffo nel passato."


di quartofederico
27.12.2020    |    6.574    |    4 9.4
"Un visino sbarazzino con due occhioni neri e due labbra carnose, da dove compariva spesso e, quasi per vezzo, la punta della lingua..."
Io e Maria avevamo deciso di prenderci una pausa di riflessione.
A volte, straniarsi per un po', non può far altro che bene.
Mia moglie decise di allontanarsi da Villa Mary e accettò l'invito a Londra della sua amica Elena.
In quel periodo il lavoro era calato e di parecchio; praticamente l'agriturismo, data la stagione, era chiuso; si lavorava solo il venerdì e il sabato sera con il prive'.
Flavia e Vittorio, decisero pure loro di utilizzare le ferie residue e tornarsene a Milano.
Rimase Leda, che era diventata la factotum: bar, sala, un po' di riordino nelle camere e... si occupava anche di me.
Dulcis in fundo, lo chef mi comunicò che lasciava il lavoro, perché aveva ottenuto un ottimo ingaggio su una nave da crociera.
Certo, abbattere così i costi in quel periodo, era un toccasana per l'azienda, ma rimanere pure senza cuoco, significava chiudere tutto.
Però fu proprio il nostro chef a trovare un sostituto: un suo collega napoletano che, a detta sua, era bravissimo. Marco, così si chiamava.
Lo convocò proprio lui e volle affiancarlo per tutta la settimana di prova.
Arrivò di domenica sera e fu ospitato, provvisoriamente, dal mio chef.
L'indomani arrivarono assieme e, dopo un breve colloquio nel mio ufficio, si trasferirono in cucina.
Comunque, fui ben impressionato. Un uomo sul metro e settanta, capelli brizzolati sotto i sessant'anni, pulito educato e soprattutto molto professionale.
Li rividi solo all'ora di pranzo:
Tutto buonissimo e tutto preparato da Marco.
Non avevo ospiti, per cui lo invitai a restare in villa, fino a quando non avesse trovato un alloggio. Mi ringraziò e accettò. Si sistemò nella camera, quella usata di solito da Flavia e Vittorio e la sera cenò con me e Leda.
Cominciò a raccontare un po' di lui.
Era sposato, con i figli già sistemati. La moglie, l'avrebbe raggiunto al più presto, e voleva cercarsi pure lei un lavoro.
"Cosa sa fare?" chiesi
"Da ragazza, faceva la cameriera in un bar, poi ha lavorato come cassiera in un supermercato per diversi anni, ma per una riduzione del personale fu licenziata. Fortunatamente, con il mio lavoro, non è mai mancato nulla, ma lei vuole realizzarsi. Il guaio che, con la licenza liceale....." rispose
"Dai vedremo di darle una mano, per ora falla salire, un posto per dormire qua lo avete, fino a che non troviamo una buona sistemazione, può darti una mano in cucina; sa guidare?" chiesi.
Rispose di sì e contentissimo subito le telefonò, per comunicarle il nostro parlare.
Sarebbe venuta il sabato con la loro auto e Leda rimise in ordine la stanza, liberando completamente l'armadio dalle ultime cose che Flavia aveva lasciato.
Arrivò intorno alle diciotto e fu accolta dal marito e da Leda che, dopo averla presentata, la portò nel mio ufficio.
"Boss, mia moglie Marisa" disse
Ma io, già, la conoscevo! e pure lei si ricordò di me, ovvero di noi.
Allora avevo poco meno di venticinque anni e lei una ventina.
Frequentavo l'università, stavo preparando la tesi.
Lei lavorava in un bar vicino all'ateneo.
Una bellissima mora, un metro e sessantacinque, ben messa sia davanti che dietro.
Un visino sbarazzino con due occhioni neri e due labbra carnose, da dove compariva spesso e, quasi per vezzo, la punta della lingua.
L'avevo notata, mentre con modi garbati, serviva i vari studenti ai tavolini del bar, nell'ora di spacco dalle lezioni.
Poi una sera, di fine novembre, la trovai alla fermata del bus, che ci doveva portare a casa.
Faceva freddo e lei, tutta infagottata nel suo cappotto, si era rannicchiata in un angolo della pensilina, aspettando il pullman.
"Hai freddo?" le chiesi avvicinandomi.
"Sì tanto" rispose, riconoscendomi.
Avevo un paio di guanti in tasca e
"Anche se sono da uomo, indossali lo stesso: ti riscalderanno subito" le dissi, offrendoglieli.
Mi guardò e, con un sorriso compiacente, li prese e li mise.
Erano grandi ma accettò ben volentieri e gradì il mio gesto.
"E tu? Non senti freddo?"
Mi alzai il bavero del cappotto e misi le mani in tasca.
L'aiutai a salire sul bus e ci sedemmo vicini.
Scese un paio di fermate prima della mia e, alzatasi, si tolse i guanti e me li rese.
"Grazie ci rivedremo, ciao" mi disse e mi salutò pure con un gesto della mano.
I guanti stavo per indossarli io, quando mi accorsi della presenza di qualcosa in quello sinistro: era l'anellino che lei portava all'anulare che era rimasto dentro il guanto!
Lo recuperai, era una di quelle fascette d'oro che si regalavano i fidanzati; lo misi in tasca con il proposito di ridarglielo l'indomani.
Quindi aveva un fidanzato, ma la cosa invece di farmi desistere mi fece aumentare il desiderio di conoscerla meglio.
Non so descrivere la gioia che le procurai l'indomani, quando le restituii l'anello.
"Dove l'hai trovato - chiese - credevo di averlo perso qui al bar"
"Era nel guanto; te lo avrei portato ieri stesso, ma non sapevo esattamente dove...."
"Grazie, sai non avrei, proprio, saputo come giustificare l'accaduto con il mio ragazzo; fortunatamente che non c'è! E' di leva, forse torna per Natale."
Disse tutto questo con un filo di voce mentre mi passava la tazzina del caffè.
"Stasera ti ritrovo alla fermata dell'autobus?" chiesi timidamente.
"Si, esco alle venti" rispose, quasi dandomi appuntamento.
E anche quella sera prendemmo il bus assieme e come la sera precedente, prima di scendere, mi restituì i guanti che le avevo prestato.
Stavolta oltre al saluto con il gesto della mano, mi sembrò che si fosse sfiorate le labbra per mandarmi un bacio.
Ero davvero contento; mi piaceva e cominciai a pensare che anche io non le dovevo essere indifferente.
Il giorno successivo non era al bar, né per il turno di mattina, né per quello della sera.
Chiesi all'altra ragazza, che mi confermò che era il suo giorno di riposo.
Rimasi deluso, forse perché non me l'aveva detto; ma il giorno successivo la rividi e mentre sorbivo il mio solito caffè fu lei a dire:
"Stasera torniamo a casa assieme?"
"Certo con tanto piacere, e ricordami che debbo chiederti una cosa" risposi.
Andai via senza aggiungere altro che un "ciao".
Quella sera, fece un pochino più tardi, e prendemmo il bus a volo.
Facemmo una corsa mano nella mano fino alla fermata e salimmo sul mezzo con il fiatone.
Ricordo il suo sorriso soddisfatto e quel grazie per l'aiuto che le avevo dato.
Poi come il respiro si normalizzò
"Cosa volevi chiedermi?" chiese curiosa
"Mi piacerebbe se sabato pomeriggio venissi con me alla festa di laurea di Marcello, lo conosci vero?"
Mi guardò, forse stupita e non rispose. Si fece largo tra i passeggeri e si portò nella parte anteriore del pullman. Inizialmente restai immobile pensando che non avesse gradito questa mia richiesta, poi lei, vedendomi impalato vicino all'obliteratrice, mi fece cenno di raggiungerla.
Arrivai vicino a lei e, con gli occhi bassi, mi chiese:
"Davvero vuoi portarmi con te?"
"Certo" risposi, con l'ansia dell'attesa.
Un suo sorriso mi fece prevedere la risposta e
"Pure io sono contenta di accompagnarti - disse - domani ci accordiamo"
Volevo saltare per la gioia, ma mi trattenni e le strinsi tutte e due le mani, per trasmetterle la mia felicità.
E così fu! Si sarebbe fatta trovare alle diciassette e trenta alla fermata dell'autobus dove di solito scendeva.
In quell'epoca, possedevo una panda, che avevo comperato di seconda mano un paio di anni prima, con i soldi della borsa di studio e con i risparmi di alcuni lavoretti fatti durante l'estate.
La usavo pochissimo, il sabato e la domenica per fare qualche giretto con gli amici.
Io puntualissimo, quel sabato pomeriggio, la vidi sbucare da una traversa laterale alla strada principale.
Indossava un jeans a vita alta e una maglietta nera a maniche lunghe, con un disegno astratto, vivacemente colorato. Un giubbetto di stoffa jeans, imbottito e delle sneakers bianche con zeppe alte e calzerotti bianchi.
Occhiali tondi scuri e un borsello, anch'esso della stessa stoffa.
"Ciao, stai aspettando da molto?" chiese, appena salita in macchina.
"Sei un incanto! Lasciati guardare" aggiunsi, staccandomi dal marciapiede.
"Era un secolo che non andavo ad una festa: ho voglia di passare qualche ora spensieratamente" tenne a precisare.
Le ultime parole famose! Una noia incredibile: parenti che elogiavano, amici che per ogni nonnulla applaudivano e, prima di arrivare al discorso di Marcello, tanto richiesto dal suo pubblico, guardandoci negli occhi, pensammo bene di defilarci e fuggir via.
Avevo parcheggiato la macchina un paio di isolati prima e di corsa, dico di corsa, mano nella mano, la raggiungemmo.
"Perdonami, non sapevo a cosa stavamo andando incontro - dissi scherzando - Scommetto che non ti fidi, più, di me?" e rimisi in moto.
Abbastanza vicino alla casa del festeggiato, c'era, e credo ci sia ancora, un parco immenso con una terrazza meravigliosa che si affaccia sul golfo. Era il posto migliore, dove le coppiette si rifugiavano per intrattenersi in intimità.
Parcheggiai tra due alberi e spensi il motore.
Stavamo seduti in macchina e fu lei a voltarsi verso di me.
"E ora" disse in un soffio
Mi avvicinai e le sfiorai, con le mie, le sue labbra.
Il bacio leggero, presto si trasformò in uno passionale.
Aprì la bocca e feci scivolare la mia lingua, fino ad incontrare la sua.
La strinsi forte e, poi, con una mano libera, feci scattare la molla del ribaltabile e pian piano la stesi sul sediolino.
Si lasciò posizionare supina e quando le fui addosso, rispose con passione ai miei baci e alle mie carezze.
Aiutato da lei, le sfilai il giubbetto e feci volar via la mia giacca. Sempre con la mia bocca attaccata alla sua, le alzai la maglietta e tirai fuori dal reggiseno le sue bellissime tette.
Un capezzolo duro si ergeva imponente al centro di una areola scura, e non potei fare a meno di stringerlo tra le dita.
Si staccò dalle mie labbra e ne approfittai per lambire il lobo del suo orecchio destro.
Sobbalzò gemendo! Scesi a baciarle il seno, mentre con le mani carezzavo il corpo morbido e sinuoso.
Riuscii a raggiungere il bottone che chiudeva i jeans e le abbassai la lampo.
"Che vuoi fare?" sussurrò, cercando di fermare la mia mano.
Bastò ritornare a baciarle il collo e carezzarle il seno, per farla cedere del tutto.
Al secondo attacco fu lei ad aiutarmi ad abbassarle i pantaloni e, in un attimo, anche il suo minuscolo slip scivolò lungo le sue gambe.
Sentii sotto la mano una vagina turgida, carnosa, piena di serici peli, tra i quali feci scivolare le dita.
Fu lei ad aprire le cosce ed io mi ci ritrovai in mezzo.
Presi a carezzarla e, raggiunto il clitoride, cominciò a sculettare, a muovere il ventre disordinatamente.
Allungò la mano e la pose sulla mia, non per farmi smettere, ma per dare al mio polpastrello il ritmo più consono al suo piacere.
Quando però provai a scivolare tra le sue grandi labbra, mi fermò:
"No, fermati, non entrare" disse, tirandomi la mano.
Era vergine e mi trassi, ritornando sul suo cappuccio clitorideo.
Bastò veramente poco per farla avere un primo acme di piacere e, alzando il busto, raggiunse le mie labbra e mi baciò.
La presi letteralmente tra le braccia e riuscii a spingerla, facendola scivolare, verso il sedile posteriore.
Ora era stesa comodamente ed io ebbi più spazio per abbassare la testa cominciando un cunnilinguo, inizialmente pacato e lento, per continuare con un progressivo aumento di intensità.
Era spalancata davanti alla mia bocca, profumava di sesso il suo piacere e sapeva di gioventù.
Lei mi premeva la testa incollata al suo basso ventre e stava per esplodere di nuovo.
Raccolsi sulla lingua i suoi umori più intimi, quel sapore afrodisiaco che caratterizza la sensualità femminile, ma sempre diverso, da donna a donna.
Avevo il cazzo durissimo, volevo avere pure io il piacere che avevo donato.
Mi alzai e, passato sull'altro sedile, mi sbottonai il pantalone e lo feci scivolare giù.
Senza chiederglielo, lei allungò la mano e iniziò, dapprima a carezzarlo, e poi a segarlo velocemente.
Sembrava invasata, quasi me lo staccava, dovetti fermarla, ma poi, e senza che glielo chiedessi, si piegò su sé stessa e lo raggiunse con la bocca.
In un attimo la musica cambiò: prima con le labbra, per donargli bacini piccolissimi, poi con la lingua che lo percorse dal glande ai testicoli e poi con la bocca aperta lo accolse con tutta la voracità che poteva esprimere.
Era brava, lo confesso, succhiava e baciava con un fare da esperta e di certo non era nuova in quel genere di pratica.
Nel mentre, potei raggiungere il culetto con la mano destra e il dito medio ebbe modo di percorrere dal perineo fin su, tutto il solco delle natiche.
Si irrigidì, solo un attimo, quando passai il polpastrello sul buchino ambrato, ma, tornato indietro e raccolti i suoi stessi umori, mi soffermai con più incisività sul suo ano.
Mi guardò un attimo stupita, poi, quasi a volermi regalare il piacere di penetrarla, perlomeno là, si rilassò e mi permise di forzarlo con il dito.
Lei continuava a succhiare e leccare, ma, pensando che forse non voleva il mio seme in bocca, ero pronto a staccarmi da lei.
Mi riagguantò e, aumentando il ritmo, mi fece venire nella sua calda bocca.
Purtroppo, dopo quella meravigliosa sera, non ebbi più modo di amoreggiare con lei, e anche le nostre sere, alla fermata del bus, si diradarono.
Mi laureai ed era passato quasi un anno quando, un giorno, ritornando in quel bar, non la trovai. Preso dalla curiosità, chiesi di lei alla ragazza che lavorava al banco:
"Si è sposata il mese scorso" mi comunicò, e mi fissò in modo strano, quasi a consigliarmi di non cercarla.
Invece, il destino me l'aveva riportata a Villa Mary.
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